Israele di diritto divino
di Sebastien Fath
L’America protestante, segnata da una tradizione messianistica e da una minoranza fondamentalista attiva, porta sulla realtà israelo-palestinese uno sguardo filtrato da occhiali biblici, per il meglio e per il peggio.
Prima del 1967 gli avvenimenti di Israele e di Palestina furono letti prevalentemente secondo lo schema abramico. Si considerava in quel tempo che sia gli Israeliti sia i Palestinesi erano “figli di Abramo” e che perciò avrebbero dovuto bene intendersi. Con la guerra del 1967 tutto comincia a vacillare. Per i fondamentalisti americani, ma anche per molti protestanti evangelici, la riconquista israeliana della vecchia città di Gerusalemme è interpretata alla luce delle profezie bibliche. Il testo del vangelo di Luca, capitolo 21, versetto 24, viene citato in particolare come la chiave interpretativa degli avvenimenti, fondata su una parola attribuita allo stesso Gesù. Secondo quel testo, gli abitanti di Gerusalemme “cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti”. In virtù di questo testo, i protestanti evangelici pensarono che, dopo il 1967, Dio aveva ormai compiuto la profezia di Gesù: il tempo delle nazioni (quello della Chiesa) sta per compiersi, poiché il ristabilimento di Gerusalemme annuncia l’avvento definitivo di Gesù Cristo. In questa prospettiva l’esercito israeliano, Tsahal, appare come lo strumento di Dio, e nella stampa fondamentalista americana del 1967 certi bollettini di guerra sembrano riecheggiare i racconti guerrieri dell’Esodo o del libro di Giosuè.
Il periodo successivo alla guerra del 1967 ha ispirato a Hal Lindsey, autore vicino agli ambienti fondamentalisti, un’opera dal titolo roboante, The Late Great Placet Earth, (L’ultimo grande pianeta terra). Pubblicato nel 1970 esso contribuì a diffondere largamente l’idea che lo Stato di Israele è “ristabilito” da Dio stesso, quale preludio del ritorno imminente del Cristo… e alla manifestazione dell’Anticristo. Tutte le realtà politiche del tempo sono interpretate a partire dalla Bibbia, soprattutto dal libro di Daniele e dall’Apocalisse: la “Confederazione del Nord” è identificata con l’Unione sovietica, il neo-Impero romano corrisponde all’Unione europea… Sulla base di un concordismo per lo meno avventato, la Bibbia appare come una carta di Stato maggiore per la fine dei tempi. L’opera fu venduta a più di 25 milioni di copie e costituì “il” best seller” degli anni ’70 negli Stati Uniti. Ne derivarono direttamente due film e l’autore divenne un consigliere ascoltato del Dipartimento di Stato e del Pentagono. Hal Lindsey contribuì più che ogni altro autore a promuovere nella molteplice realtà dei media l’idea secondo la quale il “ritorno di Israele” si iscrive nel conto alla rovescia dell’Apocalisse.
Quando nel 1980 il parlamento israeliano dichiarò Gerusalemme nuova capitale dello Stato, si levarono molte proteste internazionali. In risposta, vari responsabili fondamentalisti ed evangelici americani, nel settembre, aprirono una “ambasciata cristiana internazionale a Gerusalemme”. Tale presenza simbolica intendeva manifestare, col rischio di avvelenare il conflitto, la legittimità divina dello Stato di Israele, “ristabilimento” (in corso) del “popolo di Dio” in vista del ritorno di Gesù. In seguito questa interpretazione non ha fatto una piega, e al momento in cui il processo di pace sembra ancora una volta insabbiarsi, molti fondamentalisti americani si rallegrano della fermezza (...). Queste convinzioni non piovono dal cielo. Esse si radicano in una corrente teologica, il “dispensazionalismo”.
Il dispensazionalismo trova la sua origine nel pensiero di John Nelson Darby (1800-1882), ex prete anglicano, convinto del fallimento delle Chiese organizzate. Per sessant’anni di predicazione Darby non ha smesso di sviluppare l’idea secondo la quale i cristiani devono interpretare la storia alla luce delle sette “dispensazioni”, ognuna delle quali riflette un periodo di relazioni particolari tra Dio e le sue creature. Dopo il tempo dell’innocenza (Eden), viene quello della coscienza (fino al Diluvio), quello del governo umano (fino a Babele), quello della promessa (Abramo), della Legge (con Mosè), della Grazia (il tempo della Chiesa)… Infine sorge il Regno o Millennio. Il tempo della Chiesa appare allora quasi come una parentesi, che non annulla in niente la promessa fatta a Israele. Nel momento in cui l’ultima “dispensazione” giunge al termine, l’orologio di Dio ricomincerà a segnare l’ora per Israele. Dopo un periodo di relativa marginalità, la teoria dispensazionalista conobbe, con la creazione dello Stato di Israele (1948) un interesse crescente fra i protestanti evangelici. Una simile lettura della storia, collegata a forti convinzioni pre-millenariste, è molto in voga negli ambienti fondamentalisti. I pre-millenaristi sostengono l’idea di un regno effettivo, terrestre, del Cristo dopo la Parusia. La storia è dunque il luogo di una catastrofe annunciata, accompagnata dal ritorno clamoroso del Messia, pronto per il Regno. La sintesi fra il dispensazionalismo di Darby e il pre-millenarismo (dottrina molto più antica) si è operato a più alta scala negli Stati Uniti, forse a causa della portata particolare, oltre Atlantico, dei temi messianici del “popolo eletto”.
Israele costituisce il punto nodale di queste interpretazioni bibliche: là infatti Darby, e al suo seguito i numerosi esegeti fondamentalisti, situano l’epicentro del Millennio. Alla fine del “tempo della Chiesa” il Messia tornerebbe in Israele per il suo regno millenario, dopo aver radunato il popolo della Promessa. Intorno al tema principale sono state intessute innumerevoli variazioni teologiche. Esso ha la più grande influenza su molti dei fondamentalisti americani, da Pat Robertson a Jerry Falwell, passando per Tim Lahaye, Bill Bright e su una discreta maggioranza di Evangelici moderati. Poiché supera largamente la frangia fondamentalista, si può ritenere che siano circa 40 milioni i “sionisti cristiani” che portano avanti oggi l’idea di una legittimità divina dello Stato di Israele. La loro influenza militante si fa sentire in Israele (nonostante molti malintesi) (...). Contro tutte le logiche di conciliazione politica, la sola “elezione” che valga, secondo loro, è il decreto divino per cui “la Palestina appartiene agli Ebrei”.
(da Le monde des religions, n.17)
Gli Ebrei sono sempre il popolo eletto?
“Risposta: Sì, assolutamente. Anche se oggi, secondo me, il motore scelto da Dio per l’evangelizzazione del mondo è la Chiesa, Israele ha sempre un compito da svolgere fra le nazioni. Israele sta per avvicinarsi al centro del disegno profetico di Dio. Io credo che il tempo dei Gentili (Luca 21, 24) si è compiuto con la conquista da parte degli Ebrei della Vecchia Gerusalemme nel 1967, o sta per terminare in un prossimo futuro (…) Se Israele desidera restituire una parte del suo territorio ai suoi vicini, è affar suo, ma io non sono d’accordo. (…) Sento che il destino dello Stato di Israele è senza dubbio la più cruciale questione internazionale che il mondo oggi deve affrontare. Credo che il popolo di Israele non ha soltanto un diritto teologico, ma anche un diritto storico e legale sul paese. Personalmente sono un sionista, e mi fondo su convinzioni radicate nella mia lettura dell’Antico Testamento (…) Credo personalmente che Dio tratta con le nazioni in funzione dell’atteggiamento che le nazioni hanno verso Israele. Fondo questo giudizio su quel che Dio ha detto ad Abramo: “Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò” (Genesi 12, 3). Di conseguenza penso che l’America dovrebbe senza alcun esitazione portare un sostegno finanziario e militare allo Stato di Israele. Il mio appoggio politico a Israele è incondizionato.”
(Estratto da un libro di interviste con Meril Simon, Jerry Falwell and the Jews, Jonathan David Publisher, NY, 1984)