Mi dispiace che non parlo italiano. Mi dispiace che non posso parlare direttamente con voi e devo chiedere all'interprete di tradurre. Adesso stavo osservando il vostro atteggiamento di ascolto; già da quasi due ore voi siete silenziosamente in ascolto. Questo mi provoca un pieno rispetto del vostro atteggiamento, e vi pregherei allora di avere ancora un po' di pazienza...
In questo momento sono giunti in Europa dal Giappone 25 monaci zen per sperimentare la vita monastica cattolica. Ogni monastero in ogni paese d'Europa (cioè in Francia, Belgio, Olanda, Germania, Inghilterra e anche in Spagna e in Italia) sta ospitando i monaci zen. Questa nostra visita è il terzo scambio interreligioso la prima era stata nel 1973 e la seconda nel 1979, traducendo l'ideale del Concilio Vaticano II del contatto con le diverse religioni. Adesso e la terza volta che ci incontriamo e, come mi hanno chiesto, vi dovrei spiegare la pratica dello zen.
Per noi praticanti dello zen, lo scopo, la base della pratica è arrivare alla stessa chiarezza interiore di Buddha; per giungere a questo ci sono tre elementi fondamentali: Dai-Shin-Kon (grande, fede, radice), si può tradurre Grande Fede; Dai-Gi-Dan (grande, domanda, massa) si può tradurre Grande Domanda; Dai-Fun-Shi (grande, energia, perseveranza) si può tradurre Grande Perseveranza.
La prima, Grande Fede, ci dà la sicurezza che «tutti gli esseri viventi non sono altro che Buddha, cioè tutti gli uomini hanno la saggezza e la virtù di Buddha. Ognuno ha la saggezza originale e valore equivalente, perciò, se e quando vuole, può ottenere il risveglio. Quando uno risveglia il sé, si libera dagli attaccamenti e dai pregiudizi, acquista la 'libertà'»
La seconda, Grande Domanda, è la domanda esistenziale da ricercare dentro di sé. «Quale è la verità che ha ciascuno?» «Come arrivare alla vera libertà?» Questa grande domanda costituisce la caratteristica dello Zen ed è diversa dal dubbio della coscienza dell'intelletto.
La terza, Grande Perseveranza, significa la volontà di approfondire se stesso; decidere di non fermarsi mai finché non si è ottenuto il risveglio di se.
Questi tre elementi sono inscindibili e la volontà di perseverare nella Via li lega e ci fa superare tutti gli ostacoli.
Questo è l'atteggiamento base della pratica dello Zen.
La pratica dello Zen
Allora in che cosa corsiste la pratica dello Zen?
Il Maestro Dogen dette questa definizione: «Studiare la via di Buddha significa approfondire se stesso; approfondire se stesso significa dimenticare se stesso; dimenticare se stesso significa vivere negli altri; vivere negli altri significa far cadere il corpo e lo spirito, sia di se stesso, sia degli altri», cioè superare il dualismo io-altro da me.
Il primo patriarca Zen, Daruma, definì «lasciare tutte le percezioni, i giudizi che collegano noi al mondo esterno, non avere l'ansia interiore, essere fermi come una muraglia, solo allora si può entrare nella Via». Il Maestro Rinzai, patriarca dell'ordine Rinzai, aggiunse «non soffermarsi sui pensieri che sono nati, non inseguire i pensieri che non sono ancora nati. Chi è capace di questo atteggiamento è come se avesse superato 10 anni di pratica». Egli indica come si deve essere nella vita di ogni giorno e la Verità dell'uomo: dentro il nostro corpo che vive, esiste l'Uomo Vero che supera ogni titolo e onore; egli entra e esce continuamente in ciascuno. Cercate di vedere questo: «kokoro (lo spirito) non ha forma, perciò esiste dovunque. Il kokoro che esiste negli occhi, vede; nelle orecchie, ascolta; nel naso, odora; nella bocca, parla».
Questo stato avvicina allo spirito di S. Francesco che vedeva la verità in tutto: nel canto degli uccelli, nei fiori, nel sole, nella luna, nel vento, negli alberi, nella pietra. Tutt'uno con il sé. Chi risveglia il vero sé, può entrare nello stesso universo dove non esiste più differenza tra est ed ovest, né la differenza di idee. Perciò i patriarchi Zen testimoniarono che la vera Pace nasce dal risveglio del vero Sé.
Venendo qualche volta in Europa, ma anche guardando come si studia lo zen negli Stati Uniti, vedo che ci sono diversi punti di comprensione dello zen. Vorrei allora dare delle spiegazioni. Nell'Europa lo zen è «meditazione zen», cioè zen viene tradotto come meditazione; però questa meditazione, questo meditare su qualche cosa, non indica il vero zen. Io direi che lo zen è la piena vitalità che ha ciascuno dentro di sé.
Lo Zen e lo Za-Zen
Cioè lo zen è risvegliare ognuno di noi nel nostro vero sé, non sentirsi immergere in qualche sentimento, in qualche cosa un po' sentimentale, è cioè risvegliare la vera entità, il vero nostro sé. Quello che anche noi qui pratichiamo come za-zen, meditazione seduta, non è che una piccolissima parte della pratica dello zen. Allora non bisogna confondere lo za-zen, lo zen seduto, con lo zen. Ma che cosa è allora za-zen? Questo za-zen è sedersi senza muovere il corpo, immobilità: ma non muovere il corpo significa anche non muovere interiormente, nella nostra interiorità, non muovere neanche dentro. Perciò non è necessario spiegare come si deve fare, basta sedersi silenziosa-mente. Si può vedere ciascuno che si muove o non si muove, che sta veramente ben radicato oppure no. Così, per fare un esempio, nella vostra cucina, quando cucinate usate tanti oggetti, come coltelli o pentole. Ma dopo averli usati dove vanno questi oggetti? I coltelli devono essere riposti nei cassetti dove stavano prima e così le pentole vanno messe dove devono stare, silenziosamente. È proprio questo lo zen. Dovrebbe essere come si deve, dove si deve. Anche voi quando fate lo za-zen, se cominciate a pensare tante cose mentre lo fate, allora non farete più lo za-zen. Così come le pentole e i coltelli che stanno al loro posto non parlano e stanno silenziosamente lì con tutta la loro entità anche lo za-zen deve stare lì con tutta la sua entità, esistere come nostra entità. Le pentole e i coltelli naturalmente quando non li usiamo stanno fermi, ma quando li usiamo lavorano pienamente, il loro scopo è proprio quello di essere usati, l'attività è la loro vera forma. Così anche il vero zen è piena attività, cioè lo za-zen è una parte dello zen, ma il vero zen è come una pentola che cuoce qualche cosa, il vero zen deve essere attività.
Quando cuoce una cosa la pentola non pensa e non dubita perché deve stare sul fuoco... Lavora pienamente, ma sempre sotto controllo nostro. Allora noi che usiamo questi oggetti se non abbiamo le idee chiare, se abbiamo dentro qualche dubbio, non possiamo utilizzarli bene. Allo za-zen non serve un luogo speciale, non serve un'idea speciale.
Nella meditazione, cosiddetta meditazione zen, non si deve pensare, non ci si deve muovere, si deve stare silenziosamente, muoversi il meno possibile. Nello zen, al contrario, dobbiamo lavorare, ci dobbiamo muovere e pensare, porci domande per avere questo sviluppo nostro. Lo zen è sempre cosciente ora e qui, cioè quello che stiamo facendo ora è piena coscienza.
Accadde un episodio anni fa. Un giorno un maestro, un rosci zen, andò a vedere un circo. Il maestro vide una ragazzina che stava su un pallone grande e poi in equilibrio muovendosi a destra e a sinistra, dove voleva. Alla vista di questa ragazza sul pallone il maestro gridò «là, proprio là». Perché li, in quel momento, la ragazza viveva totalmente nell'equilibrio, cioè tutto era non pensare ad altro, tutta la sua esistenza stava sul pallone. Ma quando questa ragazzina scese dal pallone tornò una normale, semplice, ragazzina. Ascoltando questo episodio forse potete anche capire bene il vostro stato: ognuno di voi ha il suo lavoro e la sua responsabilità. In quel momento, in quel vostro mondo, lo zen vive pienamente dentro ciascuno di voi. Lo zen non serve a dare spiegazioni, perché ognuno di noi conosce come deve vivere pienamente la propria vita; ma quando comincia ad avere dubbi, quando comincia l'insicurezza allora non c'è più lo zen. Chiederei a tutti di vivere guardando bene dove mettere i piedi, con la sicurezza di vivere pienamente la vita; questo è lo zen.
Shodo Harada
(da Rocca 1 ottobre 1987, pp. 46-47)