Il Nuovo Testamento indica che il mistero della morte e risurrezione di Cristo è collegato alla Pasqua dei Giudei, senza però precisare con cura i dettagli di questa associazione. Secondo i vangeli sinottici, l’ultima cena fu un pasto pasquale, per cui il giorno della morte sarebbe quello dopo la Pasqua giudaica, cioè il 15 di Nisan; secondo il vangelo di Giovanni, invece, l'ultima cena si colloca "prima della Pasqua" (Gv 13,1), per cui la morte di Cristo avvenne lo stesso giorno, anzi proprio alla stessa ora, in cui gli agnelli pasquali venivano sacrificati.
Alla fine del sec. II, alcune Chiese celebravano la Pasqua di risurrezione facendola coincidere con la Pasqua giudaica, indipendentemente dal giorno della settimana, mentre altre Chiese la celebravano la domenica seguente. Tale situazione fu anche il motivo della nota contesa tra la Chiesa di Roma e le Chiese dell'Asia Minore, che indusse S. Policarpo, vescovo di Smirne, a recarsi a Roma per discutere la questione con papa Aniceto (155-166): benché non raggiungessero nessun accordo, i due si congedarono in pace, nel rispetto delle differenti tradizioni. Dopo qualche decennio, la questione si ripropose allorché papa Vittore (189-199) cercò d'imporre a tutte le altre Chiese la consuetudine romana di celebrare la Pasqua la domenica; la qual cosa avrebbe causato gravi danni alla comunione ecclesiale se non ci fosse stato l'intervento pacificatore di Ireneo di Lione.
Nel 325, con l'intento di favorire l'unità, il Concilio di Nicea stabilì che tutte le Chiese avrebbero dovuto celebrare la Pasqua la domenica seguente la luna nuova di primavera. Tale disposizione non chiarì del tutto la questione, in quanto in questo modo si aveva una data fissa secondo il calendario lunare, ma mobile secondo il calendario solare, perché l'anno lunare è più corto di quello solare di undici giorni. Pertanto, immediatamente dopo Nicea, restarono ancora delle differenze nel meccanismo di determinazione della data della Pasqua, almeno fino al sec. V, allorché Dionigi il Piccolo risistemò il computo "alessandrino", ottenendo l'universale consenso delle Chiese sul sistema di datazione.
Il problema si ripresentò nel sec. XVI, con la riforma decretata da papa Gregorio XII. Fino ad allora, infatti, tutte le chiese seguivano il Calendario Giuliano - introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C., terzo anno del suo consolato - il cui computo, però, non era del tutto preciso, poiché, avendo trascurato il calcolo di una frazione di tempo, aveva accumulato, alla fine del sec. XVI, circa 10-11 giorni di differenza, che turbavano i mesi e le stagioni. Dopo anni di studio, la risoluzione fu proposta da papa Gregorio XIII, il quale, con la Bolla "Inter gravissimas", del 24 febbraio 1582, soppresse 10 giorni dall'anno in corso e stabilì che, ogni quattro secoli, tre anni, che avrebbero dovuto essere bisestili, non fossero considerati tali.
Tale riforma fu accettata senza difficoltà dalla cristianità occidentale, che si basò sul nuovo calendario per calcolare la data della Pasqua, mentre fu rifiutata dalle Chiese orientali che continuarono a regolarsi secondo il vecchio Calendario Giuliano.
Solo dopo alcuni secoli, le Chiese orientali si posero il problema di un necessario aggiornamento: nel 1920, un'enciclica del Patriarcato Ecumenico proponeva alle Chiese ortodosse la convenienza di una revisione del vecchio calendario. L'enciclica venne discussa in un Congresso Pan-Ortodosso, svoltosi a Costantinopoli nel 1923, il cui esito fu piuttosto negativo, poiché fu causa di ulteriori divisioni all'interno dell'Ortodossia.
Da allora in poi, si ebbero altre discussioni su questo problema, che non fruttarono risultati immediati, ma contribuirono a prendere coscienza del disagio di celebrare separatamente un evento così importante. La questione veniva maggiormente avvertita nella sua dimensione pastorale. Infatti, in Medio Oriente, laddove le diverse comunità cristiane vivevano più unite in una società a maggioranza non cristiana, i capi delle Chiese cercavano di incoraggiare e facilitare la celebrazione della Pasqua in comune.
Di recente, alla luce di una rinnovata e più seria attenzione, il problema è stato affrontato da due consultazioni del Consiglio Mondiale delle Chiese, a Iasi, in Romania, e a Ditchingham, in Inghilterra, ambedue nella prima metà del 1994. Il rapporto di quest'ultima sollecitava le Chiese a riprendere gli sforzi di nuove intese ecumeniche, in primo luogo alla riscoperta del significato della domenica e alla ricerca di una comune celebrazione della Pasqua. Specie quest'ultima veniva indicata come una questione urgente, in quanto l'accordo su una data comune per la Pasqua, anche se provvisorio, avrebbe favorito ulteriori sviluppi ecumenici. Allo stesso modo, il Comitato Esecutivo del Consiglio Mondiale delle Chiese, nella seduta di Bucarest, nel settembre 1994, ha raccomandato una "rinnovata attenzione al soggetto della comune celebrazione della Pasqua, tenendo presente che nel 2001 coincidono le date della Pasqua secondo i calendari dell'Occidente e dell’"Oriente",
Il problema è stato dibattuto in un incontro interecclesiale, svoltosi ad Aleppo, in Siria, dal 5 al 25 marzo 1997. All'incontro, sponsorizzato dalla I Unità del Consiglio Mondiale delle Chiese e dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, hanno partecipato molti teologi ed esperti delle principali confessioni cristiane, ai quali si sono aggiunti i segretari delle comunioni ecclesiali del mondo radunati per l'annuale meeting.
In un'atmosfera di preghiera comune e di studio, tutti si sono ritrovati concordi sulla necessità di rimuovere il segno doloroso della separazione che differenzia la data della Pasqua. Essi, pertanto, hanno considerato la possibilità della scelta di un giorno comune per la celebrazione del mistero pasquale e hanno approfondito il problema nei suoi diversi aspetti (teologico, storico, liturgico, catechetico e pastorale).
La consultazione di Aleppo ha prodotto un documento, offerto a tutte le Chiese cristiane, nel quale sono contenute importanti osservazioni e raccomandazioni.
Il documento, in diciannove articoli, è diviso in due parti: presentazione del problema nei suoi vari aspetti, e raccomandazioni.
La prima parte inizia con la constatazione dei notevoli passi che le Chiese hanno fatto sulla via dell'unità: esse hanno imparato ad offrire una testimonianza comune in vari modi e in molti settori, anche se non hanno risolto tutti i loro problemi. Uno di questi, che implica grandi conseguenze per tutti i cristiani, è proprio la necessità di concordare una data comune per la celebrazione della Pasqua, festa della risurrezione di Cristo. La sua celebrazione in giorni diversi, da parte delle varie confessioni, è il segno di una testimonianza divisa su un aspetto fondamentale della fede apostolica, che compromette la credibilità e l'efficacia dell'annunzio del Vangelo al mondo. È giunto ora il momento di affrontare con decisione questo problema.
Dopo aver tracciato l'iter dei vari incontri e tentativi di concordare una data comune per la Pasqua, il documento offre una sintetica riflessione storico-teologica sulla risurrezione del Signore, a fondamento della comune fede cristiana. Intesa come estrema vittoria sulla morte e sul peccato, la risurrezione di Cristo non è solo un evento storico, ma è anche il segno della potenza di Dio su tutte quelle forze che vogliono distogliere l'uomo dal suo amore; e questa è una vittoria non solo da parte di Cristo per se stesso, ma per tutti quelli che sono uniti a Lui. La risurrezione, pertanto, è l'estrema espressione del dono del Padre, dono di riconciliazione e di unità in Cristo, attraverso lo Spirito Santo.
L'attività missionaria degli apostoli aveva al centro del suo annuncio l'evento della risurrezione del Signore, allo stesso modo che i Vangeli l'avevano posto al culmine della vita terrena del Cristo. Per questo, nella Chiesa antica, il primo giorno della settimana divenne subito il giorno principale per le assemblee cristiane, proprio perché era il giorno in cui il Signore era risorto da morte. In questo modo, il credo dei primi cristiani era già radicato nella loro relazione col Cristo risono e rifletteva la nuova realtà inaugurata da Lui.
La prima parte del documento si conclude evidenziando l'importanza che ebbe il Concilio di Nicea (325) nel dirimere tale questione nei primi secoli; i suoi principi normativi sono ancora oggi da tenere presenti, proprio perchè quell’intervento conteneva la manifesta intenzione di favorire l'unità delle Chiese. In modo particolare sono da prendere in considerazione i seguenti elementi:
a) nonostante le differenze dei metodi nel calcolare la data della Pasqua, gli attuali principi dei computi delle Chiese, sia orientali che occidentali, si rifanno sostanzialmente a quanto stabilito da Nicea;
b) le decisioni di questo concilio erano l'espressione del desiderio di ristabilire l'unità tra le Chiese, poiché la divisione su questo problema veniva sentita come uno scandalo;
c) il concilio aveva affermato la connessione intima tra la pasqua biblica e la celebrazione cristiana, ma aveva rigettato il principio di dipendenza del computo cristiano da quello giudaico, in quanto ritenuto non corretto (non perché non importante);
d) la decisione di Nicea si ispira a un ricco simbolismo e manifesta un sostanzioso contenuto teologico;
e) Nicea insegna ai cristiani di oggi che bisogna fare uso della scienza contemporanea nell'individuare con precisione una data astronomica (l'equinozio di marzo e la luna piena).
La seconda parte del documento è costituita da due articolate raccomandazioni, che le Chiese devono seguire in vista di un accordo comune.
La prima raccomandazione è proprio quella di restare fedeli alla norma nicena, cioè mantenere la celebrazione della Pasqua la domenica seguente il plenilunio di primavera. Il calcolo della data deve essere effettuato in modo scientifico e nel modo più accurato possibile, avendo come riferimento il meridiano di Gerusalemme, cioè del luogo storico dove Cristo è morto e risorto. Questa raccomandazione è fatta per più motivi, tra cui il fatto che la Chiesa deve tenere a mente le sue origini, incluso lo stretto collegamento tra la pasqua biblica e la risurrezione di Cristo, un legame che riflette il flusso ininterrotto della salvezza. Inoltre, la Pasqua ha una dimensione cosmica, nel senso che in essa si rivela lo stretto legame tra la creazione e la redenzione. Il calcolo basato sui cicli del sole e della luna riflette questa dimensione cosmica molto più che un sistema a data fissa.
Recepire questa raccomandazione comporterà non poche difficoltà per molte Chiese, specie quelle orientali, che dovranno educare i fedeli a questa fedeltà a Nicea, con pazienza e tatto; per molte di esse, vissute a contatto con religioni non cristiane e con ideologie materialistiche, la fedeltà al vecchio calendario era il simbolo della lotta per l'integrità della fede e la libertà.
La seconda raccomandazione è essenzialmente un invito, a tutte le Chiese, ad intraprendere un periodo di studio e di riflessione per stabilire, al più presto, una data comune per la Pasqua, secondo le indicazioni sopraccitate. Nel 2001, per una fortuita coincidenza dei due computi, tutti i cristiani potranno celebrare nello stesso giorno la Pasqua del Signore, iniziando insieme il nuovo millennio nella testimonianza del Cristo risorto. Questa celebrazione comune della Pasqua, per essere autentica testimonianza e segno di speranza cristiana al mondo, non può restare un'eccezione.
In questo frattempo, tutte le Chiese devono riflettere su quanto proposto dal documento e considerare seriamente le sue raccomandazioni, poiché se le troveranno accettabili nei principi, dovranno cercare i modi per renderle efficaci, concordando una data comune. Nel 2001, infine, una consultazione generale delle Chiese potrà raccogliere le reazioni e verificare il progresso fatto verso l'accordo su questo problema. Per facilitare le cose, al documento è stato allegato uno schema in cui sono riportate le possibili date di una Pasqua in comune per i primi venticinque anni del terzo millennio (sono anche indicate le date secondo i Calendari Giuliano e Gregoriano e la data della Pasqua Giudaica).
Tra i primi commenti a questa proposta, riportiamo quella del teologo ortodosso Thomas Fritzgerald, direttore esecutivo del Programma per l'Unità e il Rinnovamento del Consiglio Mondiale delle Chiese. "Noi stiamo parlando delta risurrezione di Cristo - afferma il teologo - un segno della nostra unità e riconciliazione. Non esiste festa più grande della Pasqua, tuttavia quando guardiamo a come la celebriamo noi lo facciamo in modo così diviso". Auspicando la possibilità di un accordo come ci fu nella Chiesa antica, allorché l'intervento autoritativo di Nicea portò alla celebrazione pasquale nel segno dell'unità, conclude: "la risurrezione è un evento divino che irrompe nella realtà, ed è possibile che la variazione della data, che la celebra ogni anno, ci aiuti a pensarlo in questo modo".
(A cura del CENTRO RUSSIA ECUMENICA 00193 Roma – Vicolo del farinone 30)