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Mercoledì, 18 Giugno 2008 01:05

Ecumenismo protestante. Le componenti del dialogo ecumenico (Renzo Bertalot)

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Il dialogo tra cattolici e protestanti in Italia ha dovuto imporsi, non senza fatiche, svincolandosi dalle polemiche pregiudiziali e dall'anticlericalismo. Ancora dieci anni or sono non sembrava esservi molto spazio teologico per la possibilità di un incontro positivo.

Ecumenismo protestante
Capitolo terzo

Le componenti del dialogo ecumenico

di Renzo Bertalot

Il dialogo tra cattolici e protestanti in Italia ha dovuto imporsi, non senza fatiche, svincolandosi dalle polemiche pregiudiziali e dall'anticlericalismo. Ancora dieci anni or sono non sembrava esservi molto spazio teologico per la possibilità di un incontro positivo.

Le nostre stesse strutture di pensiero non erano pronte ad affrontare una situazione diversa da quella tradizionale, né v'era la preoccupazione perché lo fossero, tanto impossibili si prospettavano i cambiamenti all'interno del paese e tanto illusorie sembravano le voci provenienti dall'estero.

Eppure non sono mancati, sul piano individuale e in seno alle correnti di carattere liberale, degli spiriti avvertiti, dei pionieri, che hanno saputo mantenere aperta la possibilità di Dio nell'impossibilità degli uomini. (1)

Anche tra le generazioni post-liberali si potevano notare parole di speranza e di fiducia.

V'è di più. Infatti, questa speranza e questa attesa andavano maturando nella consapevolezza di non essere una novità del XX secolo, ma di essere l'espressione genuina di una lunga tradizione ecclesiastica: «... noi valdesi... portiamo nella nostra tradizione un 'ecumenicità spirituale, ideologica e storica che non è di oggi e che oggi non dev'essere trascurata e compromessa...». (3)

In una situazione di questo genere il protestantesimo italiano non poteva non attendersi l'intervento di una voce altamente significativa: Giovanni Miegge, teologo d'avanguardia, capace di affrontare e mediare problemi e situazioni al momento del loro sorgere, animato dal desiderio sincero di ascoltare oggettivamente l'eco del suo tempo. Egli non nutriva certamente nostalgia nei confronti di Roma, anzi aveva saputo esprimersi con fermezza e senza riserve su argomenti allora ritenuti fondamentali nel dissenso tra cattolici e protestanti. Nel seguire gli sviluppi della mariologia aveva manifestato le sue perplessità sul futuro della fede cristiana all'interno della pietà cattolica. «Naturalmente, Cristo non sarà dimenticato. Egli resterà al centro degli onori ufficiali. Maria sarà ancora concepita come la mediatrice tra Lui e gli uomini. Si continuerà a dire che si risale da Maria a Cristo. Ma la vera forza diffusiva e persuasiva, il vero fascino religioso, la funzione effettiva di polarizzare efficacemente la fede, l'amore, la devozione delle moltitudini, sarà interamente esercitata dalla Vergine Maria. Quel giorno si potrà dire che nel cattolicesimo il cristianesimo avrà ceduto il campo ad una religione diversa». (4)

Intanto giungevano dall'estero notizie confortanti sul dialogo tra cattolici ed evangelici. La rivista cattolica “Istina” pubblicava nel 1957 una serie di articoli protestanti riguardanti i rapporti ecumenici con Roma. Il domenicano Le Guillou li commentava positivamente. Si notava non solo una grande apertura ecumenica, ma anche una chiara anticipazione di quei temi che oggi occupano il primo piano negli incontri teologici. Roger Mehl riassumeva la situazione con queste parole: «L'ecumenismo nell'ora attuale deve assumere due forme: un ecumenismo all'interno del Consiglio Ecumenico, che deve e può essere un ecumenismo di progresso, ed un ecumenismo laterale con Roma, che per il momento non può essere che un ecumenismo di attesa. L'unità di queste due forme è la speranza che entrambe le sostiene». (5)

Da parte cattolica si diceva: «Il Movimento Ecumenico costituisce un appello di Dio a cui la Chiesa nella sua missione non può pensare di sottrarsi, se è vero che la missione della Chiesa è di far comprendere e di far vivere - in risposta ai bisogni dei tempi e dei luoghi - il messaggio evangelico, implicante per ciò stesso un'interpretazione attuale della Scrittura». (6)

Giovanni Miegge, guardando a questi contatti d'oltre frontiera e nel mediarli al protestantesimo italiano concludeva con queste parole: «Insomma, le posizioni sono nette, la volontà di reciproco ascolto è altrettanto chiara. L'impossibile dialogo è una realtà, e in queste disposizioni di spirito non potrà essere che fecondo. Se Dio lo vuole; o meglio poiché Dio lo vuole». (7)

Per i lettori attenti, simili affermazioni avrebbero potuto segnare un momento decisivo anche per l'Italia. Bisognava allora, come sempre, accogliere queste indicazioni profetiche, che segnalavano una precisa volontà di Dio, con animo disponibile per nuovi studi e nuovi impegni. Ma non è purtroppo normale che le voci profetiche acquistino immediatamente un'attenzione determinante. Accade invece che queste suscitino riserve e perplessità a volte celate, a volte caute, per molto tempo.

L'apertura in Italia

Il cattolicesimo nostrano non aveva le stesse aperture di quello d'oltralpe. Miegge lo sapeva e non si asteneva dal fare delle considerazioni malinconiche a proposito dell'atteggiamento ecumenico di P. Carlo Boyer. Sarebbe stato meglio non parlare affatto di ecumenismo, ma piuttosto di un «missionarismo sentimentale, che preferisce convertire gli eretici con la persuasione anziché con la violenza...». (8)

Il tema del gran ritorno costituiva un ostacolo anziché un incentivo al dialogo. «Eppure anche in queste condizioni si può accettare di dialogare - diceva Miegge -. Noi pure abbiamo la nostra intenzione in quest'incontro: è il rinnovamento della Chiesa cattolica. Questa prospettiva è probabilmente tanto utopistica quanto quella del gran ritorno; essa è in ogni caso altrettanto sincera ed apertamente dichiarata da parte nostra quanto l'intenzione cattolica di ricondurci alla disciplina della Chiesa romana... Bisogna cessare i nostri rapporti soltanto perché, da una parte e dall'altra, si spera di convincere l'interlocutore?». (9)

Era necessario trovare delle vie nuove. L'occasione si presentò con l'apparizione del volumetto Il Movimento Ecumenico di Alberto Bellini, che riprendeva e mediava al pubblico cattolico i lavori del P. Maurice Villain e dell'Abate Couturier.

Miegge notava nella presentazione del cristianesimo non cattolico, fatta da Bellini, un atteggiamento nuovo. Non si parlava più di conversione o di ritorno, ma di convergenza. «Il Bellini ripete qui un concetto che è stato più volte espresso, e che costituisce ormai, si può dire, un luogo comune dell'ecumenismo cattolico. I valori specifici delle confessioni evangeliche sono autentici valori cristiani, ma essi hanno ricevuto dal fatto della separazione un certo carattere di unilateralità. Soltanto quando saranno inseriti nel contesto più vasto di una nuova cattolicità, troveranno il loro perfetto equilibrio e il loro pieno valore. Questa tesi merita di essere considerata seriamente». (10)

Naturalmente c'erano delle riserve da fare, questo soprattutto nei confronti dell'identificazione della “vera ed unica Chiesa” con la Chiesa cattolica, ma l'impostazione del problema, voluta da Bellini, era per Miegge «riguardosa» e «teologicamente esatta e profonda». (11)

Vi erano infatti delle osservazioni e delle proposte «che ove fossero accettate potrebbero effettivamente creare una situazione nuova di apertura e di dialogo». (12) «La adozione del metodo biblico non potrebbe essere soltanto di forma; è assai prevedibile che conduca a revisioni anche di contenuto. Così pure la rinnovata attenzione per il primato della grazia, la coscienza del Cristo presente, e la proposta di mettere i vari dogmi nel posto loro naturale nella Rivelazione potrebbero suggerire un programma di riforma teologica molto interessante». (13) «Insomma, dalle caute espressioni del Bellini, si delinea un tema di grandissima importanza: quello del rinnovamento della Chiesa come invito all'unione. Soltanto sullo sfondo di una prospettiva simile, le proposte dell'A. ricevono il rilievo di cui sono degne». (14) Ritroviamo, in questo incontro, i più caratteristici sviluppi dell'attuale situazione ecumenica, sviluppi ricchi di suggerimenti che non mancheranno di essere validi per molto tempo ancora.

Giovanni Miegge si soffermava, in seguito, a considerare l'ecumenismo spirituale dell'Abate Couturier e ne commentava la formula «pregare per l'unità come e quando Dio vorrà». «E un atto - egli diceva - di abbandono al Signore della Chiesa che la conduce dove egli vuole». (15)

Miegge si spegneva poco tempo dopo, il 30 luglio 1961, senza conoscere gli sviluppi ecumenici di Nuova Delhi e del Concilio Vaticano II. Le sue ultime parole, in rapporto al dialogo con la Chiesa cattolica, non possono che essere sottolineate e riproposte oggi all'attenzione del protestantesimo italiano. «E da parte nostra si deve pure dire: il giorno in cui veramente la Chiesa cattolica romana accettasse di essere così rinnovata nello spirito, non soltanto da integrare in sé le varie cristianità orientali e riformate, ma da lasciarsi veramente integrare da esse, accogliendo il loro spirito nella sua robusta individualità storica e non qualche edizione ridotta, al formato di una nuova controriforma, quel giorno la Chiesa di Roma avrebbe cessato di essere una Chiesa latina d'Occidente per risorgere in una nuova cattolicità, comprendente in una larga complexio oppositorum tutto ciò che di vivo e vitale è sorto sul tronco millenario della fede cristiana. Si dirà che quel giorno non verrà mai, o comunque è molto lontano. E sia pure. Ma se, nonostante tutto, quel giorno dovesse venire, anche il problema dell'unità si porrebbe in termini del tutto nuovi». (16)

Con la morte di Giovanni Miegge il protestantesimo italiano perdeva l'uomo capace di mediare, con riconosciuta autorità, i temi fondamentali del dialogo. In un momento d'importanza ecumenica decisiva ci trovammo, non senza pericolo, privati di una ricca sorgente d'informazione di cui avevamo potuto disporre con abbondanza e con fiducia.

Karl Barth

Il pensiero di Karl Barth ha avuto un'influenza determinante sul protestantesimo italiano e sulle sue esigenze culturali. La Facoltà Valdese di teologia ha saputo armonizzare il suo contributo specifico con i suggerimenti più vivi della teologia barthiana. In questo si era particolarmente distinto Giovanni Miegge che, con zelo, aveva mediato i valori del rinnovamento biblico in mezzo a noi.

Non è una novità il dire che Karl Barth è stato capace di affermazioni molto forti contro il cattolicesimo, ma queste non possono essere ridotte all'allineamento tradizionale della polemica protestante e dell'anticlericalismo. Barth, infatti, non considera la polemica come la nostra parte, ma come la parte che lo Spirito del Signore riserva a Se stesso nell'evento della Parola di Dio.

Il polemista tradizionale doveva ben presto trovarsi a disagio, anziché appoggiato, di fronte al teologo di Basilea. Fin dalla prefazione alla sua monumentale opera della Dogmatica, egli concentrava il suo dissenso con Roma sulla nozione della analogia entis. «Al che mi permetto di aggiungere - scriveva Barth - che tutte le altre ragioni che si possono avere per non farsi cattolico, mi sembrano puerili e destituite di peso». (17) Queste parole, scritte nel lontano 1932, aprivano nuovi campi d'indagine, mentre gli argomenti tradizionali della polemica si trovavano severamente sotto il giudizio di mancanza di peso e di puerilità.

Barth contrapponeva, all'analogia entis, l'analogia fidei, ma questa contrapposizione non riusciva facile neppure agli uomini che avevano intrapreso con lui il rinnovamento biblico. Emil Brunner, per esempio, scrive molti anni dopo: “L'analogia fidei non può sostituire l'analogia entis, perché ad ogni punto l'analogia fidei presuppone l'analogia entis». (18) La sorpresa fu perciò tanto più grande quando Giovanni Miegge segnalava in Italia l'opera di Hans Urs von Balthasar: Darstellung und Deutung seiner Tbeologie, pubblicata a Colonia nel 1951.Balthasar, allora gesuita, arrivava alla conclusione che lo stesso Tommaso d'Aquino pensa «nei limiti (innerhalb) della analogia fidei, che comprende in sé, come un suo momento, l'analogia entis». (19) Miegge notava concludendo - siamo nel 1952- che le possibilità di un incontro non erano più disperate anche se queste presupponevano un rinnovamento del cattolicesimo. (20)

Il discorso non è stato lasciato cadere. Henry Bouillard l'ha ripreso nei suoi studi su Karl Barth. (21) Egli ci informa che Barth era stato orientato nella sua posizione anticattolica da P. Przywara, nel 1926-27, ma che la situazione andava riesaminata. Lo stesso autore cattolico avrebbe d'allora dato una diversa evoluzione al suo pensiero. (22)

In realtà il termine analogia entis non si trova in Tommaso d'Aquino. È vero invece che sia Barth sia Tommaso si propongono di rovesciare il discorso tradizionale su Dio, il primo affermando la sola opera della grazia e il secondo negando il modus significandi. Per entrambi Dio solo parla bene di Dio. V'è un chiaro parallelismo, indicato dal vocabolario stesso, tra la rappresentazione di Tommaso e la Vorstellung di Barth. (23) Tenendo quindi presenti le diverse situazioni e le diverse preoccupazioni teologiche, nulla impedisce di dire che Tommaso pensava in termini di analogia fidei come Barth. Perciò le tesi di Balthasar, di Söhgen - l'analogia fidei assume l'analogia entis nel rapporto grazia e natura - e di molti altri studiosi cattolici, che danno un posto centrale alla cristologia, non solo sono valide, ma nulla sembra opporsi ad una loro ufficialità nel sistema teologico cattolico. (24)

Le deformazioni che hanno portato alla posizione di Barth, attraverso P. Przywara, sono nate intorno al XVI secolo. In modo particolare vanno ricordati i due tomisti dell'epoca: Suarez e Caietano. Suarez divulgò il concetto di analogia entis, ma la sua interpretazione presta il fianco ad una confusione tra l'essere di Dio e l'essere dell'uomo. L'analogia attributionis è intrinseca, mentre per Tommaso d'Aquino essa è una forma di giudizio che nega il modus significandi, e, per Barth, è estrinseca a causa della giustificazione per fede. (25) Caietano fa dell'analogia entis un'analogia di proporzionalità. Sarà Caietano ad avere maggior seguito nell'interpretazione di Tommaso d'Aquino.

Chiarita la situazione, Barth cessa le sue critiche. Non si rifiuta di parlare di un'ontologia all'interno della fede. Sembra quasi impossibile trovare nei suoi scritti che l'uomo dev'essere preparato alla grazia mediante la natura o che «lo spirito umano è naturalmente cristiano». (26)

Intendiamo porre il problema e non certo risolverlo. Se prima del Concilio era possibile avviare simili confronti, a maggior ragione bisognerebbe riprenderli ora, da una parte e dall'altra, ed avere anche il coraggio di trarne le conseguenze. Le contrapposizioni tradizionali hanno finito il loro tempo sia nella forma sia nella sostanza.

Un'altra sorpresa doveva lasciare senza fiato i discepoli e gli avversari di Karl Barth. Nel 1957 appariva il libro di Hans Küng: Rechtfertigung. Il noto teologo cattolico richiamava l'attenzione degli studiosi al centro stesso della protesta della Riforma, discutendo la dottrina della giustificazione per fede e confrontando la posizione barthiana con quella del Concilio di Trento. L'inattesa conclusione rilevava un accordo sostanziale tra le due posizioni. Karl Barth scriveva, nella prefazione a quest'opera cattolica, che, stando così le cose, non gli restava che ritornare a Trento per confessare: «Patres, peccavi». (27)

Rimaneva tuttavia aperta la domanda: si sarebbe la Chiesa cattolica riconosciuta nella presentazione del Küng? Sembrava quasi evidente che non ci fosse altro da aspettarsi se non una risposta negativa. Ma questa risposta non venne e le tesi del teologo cattolico non sono state sconfessate. Anzi, da parte cattolica, ci si informa di un consenso generale. (28) Si potrebbe addirittura pensare che gli accenni alla giustificazione, contenuti nell'enciclica Ecclesiam suam di Paolo VI, si muovano nella stessa direzione.

Ci troviamo così di fronte ad una nuova apertura ecumenica che non può essere lasciata cadere con leggerezza, a meno di assentarsi e di disinteressarsi dell'attuale situazione dei rapporti tra cattolici e protestanti. Non bisogna infatti dimenticare - e lo ripetiamo - che ci troviamo nel vivo del dissenso del XVI secolo. È troppo poco fermarsi oggi, come prima del Concilio Vaticano II, a deplorare «l'immenso e tragico malinteso di Trento». (29)

Barth riservava ancora altre sorprese ai suoi lettori. Chi lo aveva seguito attraverso le numerosissime pagine della sua Dogmatica, leggendolo in chiave anticattolica, non poteva che riaversi difficilmente da quest'ultima presa di posizione. Il teologo di Basilea non aveva usato delle espressioni facili nei confronti di Roma, ma si era mantenuto libero dal pregiudizio e perciò non mancava di rallegrarsi per l'opera di rinnovamento intrapresa dal Concilio di papa Giovanni.

Il Consiglio Mondiale delle Chiese, per Barth, dava prova di essere eccessivamente preoccupato di poter inaugurare un dialogo autentico e dei rapporti sereni con Roma, mentre questa preoccupazione non doveva essere che esterna, secondaria e formale. Era, infatti, in gioco qualcosa di molto più importante: il rinnovamento della Chiesa. Occorre ascoltare a nuovo la Parola e pentirsi. Non ha perciò importanza donde inizi il cammino verso l'unità. Con il Concilio Vaticano II Roma ha dimostrato di non essere estranea a queste esigenze bibliche. Certo queste esigenze non sono intese come noi le intendiamo, ma non per questo si può in partenza precludere loro la qualifica di evangeliche. Barth notava nel cattolicesimo del Concilio un coraggio ed un dinamismo vivamente impegnati e si chiedeva se noi, a nostra volta, non avessimo dovuto essere altrettanto incitati al rinnovamento. «Perché invocare lo Spirito del Signore pensando agli altri e non alle nostre chiese, alle nostre dottrine, ai nostri regolamenti, alle nostre predicazioni, alle nostre teologie e alle nostre confessioni ecclesiastiche? Non rischiamo di farci sorpassare, in zelo, da Roma? Non trova forse la voce del Pastore maggior eco di là che di qua? Perché dovremmo rimanere, con volto tragico e triste, confinati entro i nostri tradizionali conformismi?». (30)

Le sorprese che Karl Barth riservava ai suoi discepoli e ai suoi avversari continuano ancora. Da un certo ambiente, abituato a vagliare attentamente le notizie, si è sentita la necessità di non dare rilievo - da qui la sensazionalità dell'informazione - alla visita a Roma di Karl Barth, visita avvenuta dal 22 al 29 settembre 1966.

Non avendo potuto partecipare ai lavori dei Concilio, come osservatore, per ragioni di malattia, il teologo di Basilea decideva di rivedere la sua valutazione dell'attuale cattolicesimo recandosi di persona alla fonte dell'informazione. Egli aveva preparato una serie di domande di critica e di chiarificazione da rivolgere al Segretariato per l'Unità dei Cristiani. Forse un giorno ci sarà dato di conoscere i risultati delle discussioni che ne seguirono; per ora sappiamo soltanto qualcosa dell'accoglienza riservatagli e della sua gratitudine. Sappiamo, per esempio, del suo incontro con Paolo VI e dello scambio di doni avvenuto in quell'occasione. Ma c'interessa soprattutto notare alcune delle sue considerazioni che sono un po’ il bilancio del suo soggiorno romano.

«Il papa non è l'Anticristo». (31) Ciò che è contrario al protestantesimo, nei decreti del Concilio di Trento, esiste solo sulla carta, cioè nel testo del Denzinger. Le conversioni all'una o all'altra Chiesa non hanno senso se non come conversione a Gesù Cristo, Signore dell'Una, Santa, Cattolica e Apostolica Chiesa. Che ognuno si lasci chiamare, nel proprio posto e nella propria Chiesa, alla fede nell'unico Signore e al suo servizio. (32)

E’ meglio non commentare queste affermazioni. Bastano da sole a lasciare perplessa, pensosa e preoccupata gran parte del nostro ambiente italiano.

Oscar Cullmann

Molti pastori italiani ricordano Oscar Cullmann come un loro professore, perché, per anni, egli ha lavorato generosamente in Italia in qualità di docente di Nuovo Testamento. Come esegeta egli interpella, innanzi tutto, i documenti biblici per poter capire maggiormente, dal punto di vista delle fonti, i problemi che dividono il cristianesimo. I risultati a cui è giunto non hanno tardato ad ottenere i più larghi consensi al di qua e al di là delle barriere confessionali.

Ricordiamo: la colletta ecumenica per i poveri, la distinzione fra tradizione apostolica e tradizione subapostolica, la formula tutti quelli che invocano il nome del Signore, la figura di Pietro e la storia della salvezza. (33)

E’ dunque strano notare che un teologo come Cullmann, che ha avuto un largo posto in mezzo al protestantesimo italiano e che è stato capace di farsi ascoltare con rispetto nel campo cattolico, non abbia trovato tra i suoi correligionari la stessa apertura dopo l'inizio del Concilio Vaticano II.

Prima del Concilio ogni sua conferenza veniva ampiamente diffusa; ora dobbiamo notare che i suoi interventi su problemi ecumenici non vengono più segnalati. Ve ne sono almeno tre di notevole importanza, che rimangono tuttora ignorati da quelli che non hanno accesso a pubblicazioni interconfessionali o straniere. Facciamo riferimento alla conferenza stampa tenuta a Roma, in occasione della prima sessione del Concilio, all'articolo: Tra le due sessioni del Concilio. Esperienze e speranze di un osservatore protestante, e ad un suo contributo Bible et second Concile du Vatican, apparso in una raccolta di saggi preparata dagli osservatori luterani al Concilio. (34)

Allo stato attuale della situazione ecumenica - osservava il Cullmann - non si vede e non è auspicabile una fusione con Roma. (35) Gli osservatori protestanti al Concilio hanno avuto modo di esprimere le loro critiche, sicuri di facilitare così il compito comune a cattolici e a non cattolici. (36) Ma questo non significa condividere la posizione degli «integristi», che non desiderano cambiamenti nel cattolicesimo e «vogliono continuare macchinalmente una polemica tradizionale». (37) Questo non è stato l'intento dei Riformatori. «Non si tratta di fare un salto a Roma... ma, insieme con la Chiesa cattolica, di mano in mano, noi vogliamo camminare verso la stessa mèta, e questa mèta comune si chiama Gesù Cristo, e la strada che vi conduce si chiama Spirito Santo. Questo è il cammino dell'unità». (38)

Soprattutto non bisogna dimenticare il posto che i padri conciliati hanno voluto riservare alla Bibbia nei loro lavori. Questo interesse, se saprà essere intensificato, non potrà che facilitare ed accrescere il dialogo. «Il problema ecumenico e il problema biblico si condizionano reciprocamente». (39)

Il contributo del Cullmann al discorso con Roma non può e non deve oggi essere sottovalutato. La formula della pienezza cattolica e della carenza dei non cattolici, varata con il decreto De Oecumenismo, si trova oggi al centro della discussione ecumenica. A nostro avviso nessuno meglio del Cullmann ha saputo mettere a fuoco la situazione dicendo che, per quanto riguarda i protestanti, non si tratta di un deficit, ma di una concentrazione dello Spirito Santo. (40)

Le organizzazioni ecumeniche

Abbiamo fino a questo punto limitato i nostri sguardi ai teologi che hanno determinato sensibilmente la cultura protestante italiana e ci siamo attardati a cogliere alcuni degli aspetti più significativi del loro apporto all'incontro tra cattolicesimo e protestantesimo.

La Chiesa non assume le sue caratteristiche connotazioni teologiche soltanto in rapporto ai suoi dottori, ma anche, e sempre di più, in rapporto alle altre denominazioni all'interno del Consiglio Ecumenico delle Chiese. La Chiesa valdese aderisce essa pure al Movimento Ecumenico e ne partecipa ai lavori, alle assemblee e ai propositi in vista di una maggior crescita nell'unità.

Il Comitato Centrale del Consiglio Ecumenico si pronuncia, quando lo ritiene opportuno, su situazioni importanti per la vita delle chiese. È logico quindi che vi sia una dichiarazione immediatamente dopo la chiusura della prima sessione del Concilio Vaticano II, sulle relazioni con il cattolicesimo romano. Ne riproduciamo il terzo comma. Le esortazioni ivi contenute sono rivolte a tutte le comunità delle chiese rappresentate nel Movimento Ecumenico. Uno «degli effetti della prima sessione del Concilio Vaticano è stato di suscitare nuove e felici possibilità di stabilire delle relazioni fra cattolici romani ed altri cristiani. Ciò non significa che i grandi problemi di fede e di costituzione siano sulla via di avere una soluzione. Al contrario, rimangono delle realtà cui dobbiamo guardare in faccia. È molto importante affermare questo per poter essere onesti nel nostro confronto. Ma vi sono altresì seri motivi per sperare che la nuova atmosfera renda possibile l'inizio di un autentico dialogo ecumenico fra la Chiesa cattolica-romana e le altre chiese, dialogo che permetta di affrontare le profonde divergenze dogmatiche in uno spirito di amore e di umiltà. Noi insistiamo perché tutte le occasioni siano colte affinché questo dialogo sia iniziato e proseguito ad ogni livello della vita delle chiese». il Cardinale Bea accettava l'invito, rivoltogli dal Segretario Generale del Consiglio Ecumenico delle Chiese, a visitare la sede di Ginevra. In quell'occasione veniva ufficialmente comunicata, da parte cattolica, l'adesione alla proposta di formazione di un Comitato Misto, composto di otto rappresentanti del Consiglio Ecumenico e di sei della Chiesa cattolica, avente per scopo di esplorare i principi e i metodi del dialogo e della collaborazione.

«L'Osservatore Romano» riportava, il 20febbraio, la notizia citando tra l'altro le seguenti parole di Visser't Hooft, rivolte al Cardinale Bea: «Le vostre parole, ispirate da una profonda convinzione che il Signore della Chiesa raccoglie il suo popolo, ci hanno profondamente commossi. Ma in particolare desideriamo ringraziarvi per essere stato così cortese da portarci la notizia ufficiale dell'accettazione, da parte della Chiesa cattolica, della proposta fatta dal Comitato Centrale del Consiglio delle Chiese nella sua riunione di Enugu. Questa proposta - ha aggiunto - non era inattesa per Vostra Eminenza. Ma il fatto che la vostra Chiesa e il Consiglio Mondiale abbiano ora pubblicamente espresso il loro desiderio di avere contatti è un fatto storico. Ora il lavoro può cominciare».

Da questo primo momento si è fatta molta strada e gli incontri del Comitato misto si susseguono rapidamente. Nel febbraio 1967 usciva il primo rapporto ufficiale del lavoro svolto. In esso troviamo elencati una serie di problemi che stanno lentamente maturando. Citiamo tra l'altro: la diversa visione dell'ecumenismo, la natura del dialogo, la funzione degli osservatori e dei consulenti, la formazione di gruppi misti di studio (es. Cattolicità ed Apostolicità, la preghiera in comune...), la missione e gli attriti dovuti al proselitismo, la preparazione comune dei laici e la cooperazione assistenziale. Altri argomenti attendono di essere esaminati: la preparazione teologica nella prospettiva ecumenica, il battesimo, il matrimonio, la libertà religiosa, il proselitismo e la gioventù. (41)

Intanto è avviata la collaborazione tra l'Unione delle Società Bibliche e la Chiesa romana per il congiungimento delle forze nella diffusione del testo in tutte le lingue. (42)

L'Alleanza Mondiale delle Chiese Riformate, di cui la Chiesa Valdese è membro, si pronunciò sui rapporti con Roma in occasione della sua ultima assemblea generale tenutasi a Francoforte sul Meno dal 3 al 13 agosto 1964. Erano presenti osservatori cattolici ufficialmente invitati. Il documento conclusivo dei lavori si rallegra anzitutto per il nuovo clima e le sue conseguenze per le relazioni che esprimono la buona volontà di entrambe le parti e che si sostituiscono al mero antagonismo precedente. Mette in rilievo, inoltre, che molti settori del pensiero e della vita si sono aperti al dialogo e alla collaborazione e che si p6ssono affrontare insieme quei problemi già oggetto del più ampio disaccordo.

Il nuovo clima può essere considerato come l'iniziativa dello Spirito Santo, per l'avanzamento di tutta la Chiesa e richiede, perciò, un deciso lavoro di ripensamento delle proprie dottrine, anche se vi sono delle gravi divergenze e, cattolici e riformati, non concepiscono l'unità cristiana allo stesso modo.

Ciononostante il documento di Francoforte dichiara esplicitamente:

“Noi dobbiamo incoraggiare le Chiese membri dell'Alleanza a sollevare l'interesse per le relazioni tra cattolici e protestanti, in ogni loro singola comunità, almeno nei seguenti modi:

1. incoraggiando i membri di Chiesa a mettere da parte la soddisfazione di se stessi, il sospetto e il pregiudizio;
2. condividendo, quando ciò è possibile, esperienze di culto comuni e reciprocamente accettabili;
3. stabilendo piccoli gruppi di studio con membri competenti da ambo le parti;
4. lavorando insieme nell'interesse di un miglioramento sociale;
5. pregando insieme». (43)

E’ significativo che in consessi ecumenici di scala mondiale si giunga a queste esortazioni ed incoraggiamenti al dialogo nonostante tutte le difficoltà che si conoscono e che non vengono né nascoste né sottovalutate. Le riserve e le preoccupazioni non sono sufficienti a precludere ogni speranza ecumenica. È altresì significativo che le resistenze a questi contatti non hanno trovato espressione neppure in una dichiarazione di minoranza.

Questo non va dimenticato, soprattutto in Italia.

Note

1) Le pagine che seguono riflettono largamente i temi svolti nell'opuscolo: Le Componenti del Dialogo ecumenico, Centro Evangelico di Cultura, Venezia 1965. Tra questi abbiamo riservato un posto particolare a Ugo Janni, per l'attualità del suo pensiero e per la vasta ripercussione della sua opera in Italia. Cfr. G. MIEGGE, Ecumenismo Cattolico, in «Protestantesimo», 2/'61, p. 92. Per capire lo spirito nel quale questi uomini vanno riesaminati oggi cfr. W. A. VISSER'T HOOFT in «S.OE.P.I.», 11/'66 a proposito di Nathan Söderblom.

2) V. SUBILIA, Il Movimento Ecumenico, Roma 1948, p.76.

3) Ibidem, p. 130. Oggi la posizione è cambiata.

4) G. MIEGGE, La Vergine Maria, Claudiana, Torre Pellice 1959, p. 279.

5) Citato da G. MIEGGE, Ecumenismo e Cattolicesimo, in «Protestantesimo», 2/'57, p. 74.

6) Ibidem, p. 80.

7) Idem.

G. MIEGGE, Tre anni di Storia Valdese, in «Protestantesimo», 1/'60, p. 28.

9) G. MIEGGE, Rapports actuels entre catholiques romains et protestants en pays latins, «Foi et Vie», 5/'58, p. 343.

10) G. MIEGGE, Ecumenismo Cattolico, «Protestantesimo», 2/'61, p. 93.

11) Idem.

12) Ibidem, p. 95.

13) Ibidem, p. 96.

14) Ibidem, p. 95.

15) MIEGGE, Ecumenismo Cattolico II, «Protestantesimo», 3/’61, p. 353.

16) Idem.

17) K. BARTH, Dogmatique, ed. fr. I, 1, +, Labor et Fides, Ginevra 1953, p. XII.

18) E. BRUNNER, The Christian Doctrine of Creation and Redemption, ed. ingl., The Westminster Press, Filadelfia, p. 24.

19) Citato da G. MIEGGE, Una interpretazione cattolica di Karl Barth, «Protestantesimo», 3-4/'52, p. 330.

20) Idem.

21) H. BOUILLARD, Karl Barth II, Aubler, Parigi 1957, pp. 190ss.

22) Ibidem, p. 276 n.

23) Ibidem, p. 207.

24) Ibidem, p. 275.

25) Ibidem, p. 195.

26) «Ermuss kraft seiner Natur für die Gnabe formal vorbereiter sein», K. BARTH, Die Kirchliche Dogmatik, III, 2, Evangelischer Verlag Zollikon, p. 333. Lo «spirito umano è naturalmente cristiano», K. BARTH, The Humanity of God, John Knox Press, Richmond Virginia, p. 60.

27) Citato da J. BOSC, Le catholicisme romain et Karl Barth, «Foi et Vie», 5/'58, p. 384.

28) A. V., Catholiques et Protestants, Editions du Seuil, Parigi 1963, p. 289.

29) J. DE SENARCLENS, Héritiers de la Réformation, II, Labor et Fides, Ginevra 1959, p. 163.

30) K. BARTH, Réflexions sur le deuxième Concile du Vatican, Labor et Fides, Ginevra 1963.

31) K. BARTH, Ad Limina Apostolorum, EVZ - Verlag, Zurigo 1967, p. 18.

32) Idem.

33) O. CULLMANN, Il Cristianesimo primitivo e il problema ecumenico, «Protestantesimo», 2/'57, La Tradition, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1953; Tutti quelli che invocano il nome del Signor Gesù Cristo, «Protestantesimo», 2/'61, trad. it. A. V. Il primato di Pietro nel pensiero cristiano contemporaneo, Bologna 1965; Saint Pierre Disciple, Apòtre, Martyr, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1952; Heils als Geschichte: heitgeschichtliche Existenz im N. T., Tubinga 1965, trad. it. Il mistero della Redenzione nella Storia, Bologna 1966.

34) O. CULLMANN, Entre deux sessions de Concile, «Foi et Vie», 1/'63, pp. 13ss; O. CULLMANN, «Bible et second Concile du Vatican» in A. V., Le dialogue est ouvert, Delachaux et Niestlé, Neuchâtel 1965.

35) O. CULLMANN, «Entre deux...», cit., p. 30.

36) Ibidem, p. 14.

37) Idem.

38) Ibidem, p.42.

39) A. V., Le dialogue est ouvert, cit., p. 246.

40) O. CULLMANN, Gli osservatori cristiani al Concilio, «Missioni Cattoliche», 1/'63, p.53.

41) Information Service, The Secretariat For Promoting Christian Unity, 1/1967, Città del Vaticano.

42) Idem.

43) Reports from Frankfurt, World Alliance of Reformed Churches, Ginevra 1964, p. 46.

Letto 4788 volte Ultima modifica il Mercoledì, 17 Novembre 2010 18:44
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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