Domenica di Pasqua. Una assemblea di 650 persone si accalca in una immensa sala di preghiera. Sulle sedie e sui tappeti stesi al suolo li aspettano delle uova di Pasqua. I presenti sono in gran parte cristiani, ma non sono venuti a celebrare la resurrezione del Cristo. Di fronte a loro un quadro a colori che rappresenta Buddha, dei fiori e dei ceri.Siamo al Village des Pruniers, nel sud-ovest della Francia, luogo sacro del buddismo fondato una ventina d’anni fa dal maestro vietnamita Thich Nhat Hanh. In un silenzio assoluto fa il suo ingresso una figuretta, seguita dai suoi discepoli. “Thay”, il “maestro” come lo chiamano i suoi adepti, prende posto e rompe il silenzio. Con voce dolce impartisce gli insegnamenti che i praticanti, schiena ben diritta in posizione di meditazione, sono venuti ad ascoltare. Egli si adatterà poi alla tradizionale seduta di domande e risposte, tenendo l’assemblea in sospeso fino alla fine della sessione. Sono di tutte le età, di tutte le classi sociali. Ma che cosa vengono a cercare questi cristiani in questo ritiro buddista in questo giorno cruciale dell’anno liturgico?
Fra loro Francine. Questa francese di origine vietnamita, convertita al cristianesimo circa vent’anni fa, non trova nessuna contraddizione nel fatto di ascoltare gli insegnamenti buddisti invece di assistere alla messa. “La cosa più importante per me è di pregare, poco importa dove, spiega. Prima ci tenevo molto ad andare in una chiesa i giorni delle grandi feste cristiane, ora ciò non ha più importanza. Posso raccogliermi e pregare Gesù sia in una chiesa che davanti a Buddha.” Secondo Thich Nhat Hahn non c'è nessuna incompatibilità fra il fatto di essere cristiani e quello di venire a raccogliersi in un luogo di ritiro buddista. “Al contrario, dice, i cristiani hanno la possibilità di approfondire la loro fede venendo qui. Non c'è nessun conflitto, sono a loro agio: noi offriamo loro una nuova illuminazione sulla loro religione, specialmente grazie alle tecniche di meditazione.” Secondo il maestro, gli insegnamenti di Buddha e di Gesù non sarebbero così lontani fra di loro. La differenza si troverebbe nella loro formulazione: “È come se si confronta un mango e un arancia. La loro apparenza non è simile, ma gli elementi che costituiscono questi frutti sono gli stessi. L'acidità e lo zucchero sono appunto dosati in maniera diversa”. Secondo Thich Nhat Hahn il buddismo sarebbe meno dogmatico e più comprensibile del cristianesimo: “Il suo insegnamento è più adatto alla sofferenza di oggi, procura degli strumenti che aiutano le persone a vivere, come quelli che riguardano l'atteggiamento del corpo, la maniera di camminare, di respirare, di parlare, spiega. A questo si aggiunge l'apprendimento della vita in comunità, quale rimedio per questa società caratterizzata nel nostro secolo dall'individualismo. Qui ciascuno porta il proprio contributo e partecipa alla costruzione della comunità. Ciò procura un senso di sicurezza che consente alle persone di crescere più armoniosamente”.
Da più di vent'anni sono migliaia le persone che vengono dal mondo intero per meditare e imparare questi famosi strumenti insegnati dal maestro. Accolti da monache vietnamite, essi si ripartiscono nelle sette frazioni che costituiscono il villaggio. Elemento centrale di questa vita in comune sono le “campane di piena coscienza”che ritmano le attività di ognuno. Al loro suono tutto si ferma. Per alcuni secondi, allora, la respirazione diventa l'unica preoccupazione di ciascuno. Scompare ogni nozione di tempo. “Le persone vengono a deporre qui la loro sofferenza”, spiega Minh Tri, una frequentatrice abituale del luogo. Come Eliane, ex-professore di economia e di gestione, che ha operato una ventina d'anni fa la sua rottura con il cristianesimo. Arrivata al Village des Pruniers in un momento drammatico della sua vita, vi è rimasta per due anni: “Avevo bisogno di un rifugio per ritrovarmi e fare un lavoro di trasformazione e di guarigione. Delusa dal cristianesimo dovevo ritrovare la mia propria morale. Ho trovato nel buddismo quel che mi mancava nella mia religione di origine: degli aspetti pratici per aiutarmi ad acquietare la mia sofferenza e ricostruirmi. La Chiesa è troppo attaccata alle apparenze. Quello che mi ha sedotto è l'aspetto spoglio delle cose, la scarsità del rituale. Tutto è limitato all'essenziale. Ciò che qui è importante è il rispetto dell'evoluzione del cammino individuale. Al Village des Pruniers ho trovato gli utensili pratici che mi hanno aiutato a vivere”.
Il buddismo: più che una terapia
Il buddismo sarà allora una gruccia psicologica per cristiani in rotta? Una terapia antidolore? Non soltanto. Per alcuni, come Patrice, sono le nozioni di peccato e di colpevolezza che l'hanno distolta dal cristianesimo. Altrettante ragioni che si aggiungono a quelle menzionate in uno studio condotto da Dennis Gira, direttore aggiunto dell'Institut des sciences et de theologie des religions à l'Université catholique de Paris: “Una grande insoddisfazione di fronte alla società attuale, specialmente a quella del consumismo, una certa difficoltà a comprendere il discorso su Dio, il bisogno di avere un maestro o una guida spirituale,o ancora la volontà di appartenere a una società che non sia segnata dalla violenza, come ha potuto essere la Chiesa in alcuni momenti poco gloriosi della sua storia (crociate o Inquisizione): altrettanti motivi che decidono i cristiani a rivolgersi verso una religione che sembra portar loro delle risposte molto più pratiche ai loro interrogativi spirituali“, spiega.
Una conversione armoniosa
Ma se un certo numero di cristiani si volgono verso il buddismo, non fa eccezione l'inverso. È il caso di Anne, una buddista diventata cristiana. Primogenita di una famiglia di dieci figli, Anne è stata educata nel Vietnam nella più pura tradizione buddista, con una madre molto praticante. “L'accompagnavo spesso al tempio, si pregava tutte le sere davanti all'altare degli antenati e davanti al Buddha…” ricorda. A 22 anni Anne fugge dal paese e sbarca nel nord della Francia: “Ho provato una grande solitudine quando sono arrivata, racconta, perché non c'era più né cerimonia né tempio per sostenermi. L'atmosfera spirituale del mio paese mi mancava”. Sposata in chiesa, con il marito cattolico, decide di far battezzare i suoi figli. In un primo tempo la giovane non cerca di convertirsi, ma semplicemente vuole conoscere meglio i Vangeli. “Vivevo allora in un campo militare con mio marito, vedevo intorno a me quelle persone molto pie e la loro fede nel Cristo mi commuoveva”, ricorda. Decide allora di farsi battezzare insieme al suo terzo bambino.“Era allora una continuità con la mia religione buddista. Essa cambiava soltanto volto e prendeva quello del Cristo. Era una specie di trascrizione in un'altra lingua della stessa cosa.” Anne vive un periodo di “doppia appartenenza”, poi si appassiona sempre di più alla persona di Gesù. E spiega: “Per me è qualcuno che è prima di tutto umano, in carne e ossa. Questo aspetto mi è molto piaciuto e non l'ho trovato nella religione buddista. È importante di vedere un uomo capace di dare la vita per amore e poi mostrare la strada. Sono molto commossa dal Cristo e, se dovessi riassumere la mia vita, direi semplicemente che sono una buddista che ha incontrato Gesù”. Lascia allora la religione della sua infanzia per praticare solo il cristianesimo, in modo sereno e naturale. “Quando si sposa una religione, spiega, bisogna farlo nella sua totalità e accettare le sue qualità, i suoi difetti. Bisogna impegnarsi a fondo accettando di andare fino alla fine. la perfezione non esiste. La Chiesa ha i suoi punti deboli, lo so, ma non è grave, perché Dio è al di là di tutto questo”.
La lacerazione di una doppia appartenenza
Se per Anne la transizione si è compiuta in modo indolore, non così per Françoise, per la quale la doppia appartenenza è stata sinonimo di lacerazione e di dolore.
Cattolica, incontra il buddismo alla fine degli anni '70 con suo marito, attraverso Arnaud Desjardin. e poi il maestro tibetano Kalou Rimpoché. La coppia si reca in un centro tibetano in Borgogna che frequenterà assiduamente per una quindicina di anni. Françoise pertanto non lascia da parte il cristianesimo e tenta di vivere le due religioni. Anche se appassionante la lunga esperienza di doppia appartenenza si dimostra difficile a viversi. “Non riuscivo a conciliare le due religioni, perché penso di essere una persona fedele e ho avuto la sensazione di tradire il Cristo, anche se mi contorcevo in tutti i modi per cercare di riunire le due tendenze. Nel buddismo tibetano, aggiunge, bisogna avere un maestro spirituale e consegnarsi a lui completamente. Io non potevo e non volevo perché il mio maestro spirituale è Gesù Cristo. Se in quel tempo ho tanto tentato è perché mio marito era molto più di me attirato dal buddismo: ne aveva bisogno per il suo equilibrio, era una delle sue ragioni di vita e io non volevo perderlo. Ma alla sua morte, nel 1993, me ne sono allontanata.” Nel 2002, pochi anni dopo la morte di suo marito, Françoise si trova di nuovo di fronte a un lutto terribile, la morte di sua figlia. “Mi sono allora ritrovata di fronte alla persona del Cristo, rendendomi conto che nulla può sostituirlo o lo supera e ho deciso di riconsegnarmi unicamente a lui. Sono ritornata ai miei primi amori.” Guardando indietro, Françoise dice di non rimpiangere la sua avventura buddista. Pensa oggi di avere arricchito e riscoperto il suo rapporto con il cristianesimo. “Ciò mi ha consentito di volgere uno sguardo nuovo alla mia religione e soprattutto di ridare un vero significato alle parole che uso, che si erano svuotate di senso.”
Vangelo e zazen
Siamo in una saletta di preghiera annidata nel sottotetto del convento delle Clarisse nel 7° arrondissement di Parigi. Al fondo della sala troneggia una scultura del Cristo in croce. Sotto una foto del maestro zen giapponese Narita, posata sopra una Bibbia aperta. Sul pavimento dei zafus, piccoli cuscini tondi e tappeti di color viola. Sono cinque donne che si riuniscono tutte le settimane in questo luogo cattolico per fare zazen. Gambe incrociate nella posizione del loto, schiena ben dritta, occhi semi chiusi, le dita della mano sinistra posate su quelle della destra, si concentrano sulla respirazione. Nella stanza fluttua odore di incenso. La seduta comincia in un silenzio assoluto, con una lunga meditazione, seguita da una lettura dei Vangeli: oggi un testo di san Luca. Terminata la sessione le partecipanti lasceranno la sala di preghiera per raggiungere, alcuni piani sotto, nella cappella del convento, le suore benedettine che le aspettano per Compieta. Le persone presenti si dichiarano tutte vicine al cristianesimo, ognuna a sua modo, e dichiarano che utilizzano la pratica del zazen per approfondire la loro fede.
Può essere per alcuni l'inizio di una lunga ricerca spirituale e un primo passo verso il buddismo. Come Evelyne che, dopo essersi allontanata dalla Chiesa cattolica, scopre la pratica dello zazen in un momento cruciale della sua vita. “Ho avuto un sentimento di ritorno alla fonte, di ritrovarmi”, spiega. Decide allora di mettersi in relazione con il gruppo di meditazione del maestro zen giapponese Deshimaru. Parte per il Giappone e diventa la sola donna che sia stata formata e promossa discepola dal successore del maestro Deshimaru, il maestro Narita, del quale riceve la trasmissione. Anche se è fortemente implicata nel buddismo, rimane però sempre presente il suo attaccamento al cristianesimo “come un filo rosso”. Evelyne fa di tutto per dimenticarlo: “Non volevo pensarci perché sapevo che non si deve mescolare tutto, ma mi ha riacciuffata”. Un giorno di Pasqua cede: “Mi sono precipitata alla chiesa come una vera assetata, confida, poi ho cominciato a tralasciare i sesshin (ritiri buddisti) per recarmi alla messa, un po' a piedi, un po' in stop”. Decide di accantonare il problema, ma questo risorge al momento della trasmissione da parte del maestro Narita.
Una svolta buddista riconciliatrice
Sono sei mesi che è in Giappone: “Ero in treno, partendo dal monastero dove aveva avuto luogo la cerimonia, e tutto mi è ripiombato addosso. Ho ricevuto questa verità. ho realizzato d'improvviso che non avevo che una strada da prendere e che non potevo ignorare il “lato cristiano” della mia personalità, spiega con emozione. Era un sentimento violentissimo; presa dal panico ho avuto bisogno di scrivere a due persone quel che mi succedeva: a mia madre (che non la finiva di pregare perché io ritornassi al 'recinto' del cattolicesimo) e al mio maestro.” Tutto si concretizza poco dopo, quando Evelyne deve portare la comunione a sua madre morente. “Non c'era un prete disponibile e ho dovuto fare quel gesto, con la testa ancora rasata, e ho sentito in quel momento uno sconvolgimento profondo che mi ha fatto prendere coscienza dell'urgenza del mio ritorno al Cristo”. Evelyne sente allora il bisogno imperioso di comunicarsi di nuovo per potersi riconciliarsicon il cristianesimo. “Posso dire oggi che il buddismo è stato onesto con me per ricondurmi verso la mia religione e non avermi 'trattenuta'. Sono stata accolta, educata e nutrita dal buddismo. Una volta cresciuta sono stata pronta per ritornare alla mia famiglia cristiana”. Per questo Evelyne riconosce che l'accompagnamento di cui ha beneficiato è stato fondamentale.
Questo è lo scopo di Benoît Billot che tenta di aiutare le persone a “riconciliare” diversi aspetti del cristianesimo e del buddismo per favorire quello che chiama “un lavoro di unificazione”. Questo monaco benedettino scopre il buddismo all'inizio della sua vita religiosa e comincia a praticare mattina e sera la meditazione: “Ho fatto la scoperta straordinaria di imparare a gestire il silenzio, spiega, ho davvero scoperto una 'sapienza del corpo' caratterizzata da una decuplicata attenzione alla circolazione delle energie, alle sensazioni…”. Benoît Billot parte poi per il Giappone per tuffarsi nei monasteri zen. Un momento importante nella sua vita monastica e spirituale: “Sono stato portato a guardare dal di fuori la mia tradizione: è stato sconcertante, disturbante e destabilizzante, ma assai fecondo”. Per il monaco benedettino è l'inizio di una nuova riflessione sulla vita. Dopo il ritorno in Francia, segnato dall'inizio di una psicanalisi e da un anno sabbatico in cui si dedica a studiare gli insegnamenti di Willigis Jäger e di Karlfried Graf Durckheim, decide di condividere le sue esperienze creando un luogo consacrato alla meditazione, che permetta di conciliare i differenti aspetti del cristianesimo e del buddismo, chiamato “ La Casa di Tobia”.
Fra gli altri obbiettivi figurano: la considerazione del corpo e la maniera di riuscire a gestire la respirazione, la sessualità, la circolazione delle energie…“Siamo passati da una visione ascetica e monastica del corpo a una visione meccanicista destinata al godimento e alla performance, constata. Oggi è importante saperlo gestire e servirsene per farlo partecipare alla vita spirituale”. E quando gli si chiede chi è che viene a La Casa di Tobia per approfittare dei suoi insegnamenti, Benoît Billot riconosce che se molti vengono per scoprire diversi aspetti del buddismo e del cristianesimo, lui non esita a ricordar loro che è necessario riferirsi a un unico centro: “per girare, une ruota deve avere un solo asse. Per me si tratta di Cristo”. E questo innamorato del giardinaggio non può impedirsi di rifilarci la metafora vegetale: “È interessante innestare tutti questi rami sul grande tronco rappresentato dal Cristo. Quando l'innesto prende modifica la circolazione della linfa e l'aspetto esteriore dell'albero. Vi è una interazione. In questo lavoro di vita spirituale non è difficile far coabitare due maniere di pensare, credo persino che possano essere complementari…”.
Aurelie Godefroy
(da Le monde des religions, 18)