Ecumenismo protestante
Introduzione
di Renzo Bertalot
Dire che l'ecumenismo è un prodotto del XX secolo significa svalutare la storia della Chiesa cristiana. Dire, invece, che il XX secolo ha visto maturare ed imporsi il problema ecumenico significa prendere atto di una delle realtà storiche dell'epoca in cui viviamo.
I Riformatori del XVI secolo hanno sperato fino all'ultimo momento che la loro azione si svolgesse all'interno della Chiesa. Basti ricordare, a questo proposito, l'invio di una delegazione al Concilio di Trento, la quale si trovò poi costretta a ritornare sui suoi passi essendo già stati discussi ed approvati gli argomenti relativi ai temi fondamentali della Riforma. Non vanno neppure dimenticati i tentativi di colloquio e di dialogo come quelli di Ratisbona nel 1541, conclusisi in prese di posizioni che sapevano troppo di compromesso per essere accettate da entrambe le parti. Il substrato ecumenico della teologia della Riforma, cioè la nozione dell'invisibilità della Chiesa, permetteva ai Riformatori di guardare con grande speranza al di là della forma del cristianesimo loro contemporaneo. Essi sapevano che Dio ha sempre avuto ed avrà sempre, quaggiù, un popolo che gli è fedele e che vive della sua parola, anche se ai nostri occhi carnali e limitati questa realtà può sfuggire o certe nostre strutture ecclesiastiche possono farcela dimenticare.
Nel XVI secolo i tempi non erano maturi per un incontro sereno. Le polemiche avevano dilaniato gli spiriti ed allineato i teologi su posizioni difensive sempre più rigide.
L'esigenza di fedeltà alla propria vocazione e la viva coscienza delle nuove responsabilità, assunte nei confronti della parola biblica, avevano il sopravvento sulla unità della Chiesa.
La storia del cristianesimo degli ultimi quattro secoli, con le sue guerre di religione e le sue persecuzioni, è, in fondo, la storia di questa fedeltà ad ogni costo.
Nel XX secolo si è finalmente presa coscienza della situazione ecumenica e si è imparato a dialogare. Il cristiano, nella sua fedeltà maturata attraverso secoli di sofferenza e di isolamento, poteva, con sicurezza e non certo per viltà, accingersi ad ascoltare ed a capire la testimonianza dell'altro.
La necessità di questo radicale cambiamento di rotta veniva segnalata per bocca delle giovani chiese, sorte nei paesi di missione. Il loro grido d'allarme, che qui riportiamo, risale alla Conferenza Universale delle Società Protestanti di Missioni, riunita ad Edimburgo nel 1910.
«Voi ci avete inviato dei missionari che ci hanno fatto conoscere Gesù Cristo; non possiamo che ringraziarvi. Ma voi ci avete portato anche le vostre distinzioni e le vostre divisioni; alcuni ci predicano il metodismo, altri il luteranesimo, il congregazionalismo o l'episcopalismo. Noi vi domandiamo di predicare il Vangelo e di lasciare a Cristo il Signore di suscitare Lui stesso all'interno dei nostri popoli, sotto la sollecitazione del suo Spirito Santo, la Chiesa conforme alle sue esigenze, che sarà la Chiesa di Cristo in Giappone, la Chiesa di Cristo in Cina, la Chiesa di Cristo in India, libera finalmente da tutti gli "ismi" con cui voi avete classificato la predicazione dell'Evangelo in mezzo a noi». (1)
Fu chiaro per tutti che il Signore della Chiesa stava tracciando delle vie nuove davanti al suo popolo e che non sarebbe più stato possibile tornare indietro: il discorso ecumenico era avviato. La convinzione generale, in quei primi momenti, era che la dottrina divide mentre la prassi unisce. Perciò si cominciò a lavorare seriamente sul terreno pratico e a ricercate la possibilità di una più fattiva collaborazione tra le chiese cristiana. Non si poteva, tuttavia, fare molta strada senza che maturasse l'esigenza di superare questa prima fase dell'incontro ecumenico, per giungere, al più presto, ad un dialogo sul piano dottrinale. L'unità esteriore e pratica poneva seriamente il problema dell'unità interiore che ne costituiva il movente principale e la motivazione profonda.
e di Edimburgo nel 1937 diedero il primo posto alle questioni di carattere teologico e furono vagliate le possibilità d'incontro tra le varie correnti e tradizioni ecclesiastiche. Si passò, dapprima, ad un confronto diretto delle diverse denominazioni cristiane, ma si giunse rapidamente ad esaurirne l'interesse ecumenico e ad irrigidirsi su posizioni ritenute insuperabili. Con coraggio e con perseveranza si passò allora ad un confronto indiretto, sul terreno biblico, che subito si presentò ricco di promesse e di nuove aperture. La divisione era vissuta con profondo dolore nella coscienza di essere trovati mancanti di fronte al Signore. Ma proprio in questo dolore, nella comune confessione di peccato e nel comune desiderio di continuare a lavorare insieme, cresceva una nuova consapevolezza dell'unità in Cristo. L'unità non poteva più essere intesa come una realizzazione meramente futura, ma anche come un dono ottenuto, da rendere evidente nella riconoscenza.
L'ultimo conflitto mondiale costringeva tutti a segnare il passo in attesa di tempi migliori.
si poté finalmente giungere alla prima grande assise ecumenica: la conferenza di Amsterdam. La dottrina e la pratica confluirono insieme nell'opera di rinnovamento ecumenico della Chiesa. Il dissenso dottrinale si riassumeva in due posizioni principali: quella, detta del cattolicesimo non-romano, che mantiene in vigore la successione apostolica e sottolinea particolarmente l'istituzionalità della Chiesa, e quella, più prettamente protestante, che insiste sul libero costituirsi della Chiesa là dove il Signore rivolge la sua Parola agli uomini. Dinanzi alla possibilità di nuovi trinceramenti confessionali diventava necessario non trascurare la ricerca di nuove vie di lavoro. Intanto la Chiesa ortodossa, isolata soprattutto per ragioni politiche, cominciava ad interessarsi al problema ecumenico e ad offrirvi il contributo della sua teologia.
Nelle assemblee che seguirono, in modo particolare in quella di Evanston del 1954, il problema ecclesiologico fu inquadrato nella prospettiva della Chiesa in cammino, tra la risurrezione e il Regno di Dio, ed impegnata tra la vittoria decisiva del Cristo Risorto e la manifestazione del Cristo veniente.
Nell'assemblea di Nuova Delhi del 1961, alla quale parteciparono per la prima volta ufficialmente gli osservatori cattolici romani, si giunse ad una più ampia visione dell'orizzonte ecumenico. La Chiesa ortodossa aderiva al Consiglio Mondiale delle Chiese. Il Consiglio Internazionale delle Missioni, che fino a quel momento aveva continuato indipendentemente il proprio lavoro, s'inseriva a pieno diritto nel movimento ecumenico e ne arricchiva la meditazione dottrinale con l'apporto della sua specifica componente missionaria. La situazione ecumenica veniva allora sintetizzata con queste parole:
«Ad Amsterdam noi ci siamo impegnati a restare insieme. Ad Evanston abbiamo ringraziato Iddio di averci concessa la grazia di rimanere insieme e ci siamo proposti di crescere insieme. Possiamo ora ricevere la grazia di consacrarci a Dio per avanzare insieme, a partire da Nuova Delhi, verso l'unità visibile che abbiamo già ricevuto e che riceveremo ancora dal Cristo, Luce del mondo» (2)
Il lavoro continua. Siamo giunti ormai al punto in cui la ricerca ecumenica non può continuare senza tenere presenti gli sviluppi del cattolicesimo romano da Papa Giovanni in poi. Come prepararsi a questa nuova dimensione del dialogo?
Nelle pagine che seguono abbiamo cercato di porre questo interrogativo a coloro che ci hanno preceduti nella fede, i nostri padri, e a coloro che credono oggi con noi, i nostri fratelli. Naturalmente abbiamo dovuto fare delle scelte e nel farle abbiamo adoperato un criterio.
Quale? L'esperienza ecumenica fatta da Edimburgo a Nuova Delhi vuole essere la risposta a questa domanda.
L'incontro con Roma s'inserisce, infatti, in una simile prospettiva. Le difficoltà incontrate si ripetono; le esigenze di precedenza della dottrina sulla pratica sono le stesse; la necessità di evitare i punti morti, seguendo diverse vie di lavoro, si ripropone con la stessa insistenza.
Ci fermeremo innanzi tutto (cap. I), su una prima parte storica per conoscere il potenziale ecumenico della conformazione ecclesiastica protestante. Dopo un rapido sguardo alla Riforma, dovendo occuparci della situazione italiana, ci soffermeremo (cap. II), ad esaminare la figura di uno dei pionieri dell'ecumenismo, Ugo Janni, che ha avuto ed ha un significato particolare per il suo pensiero e la sua opera svoltasi in anni difficili ecclesiasticamente e politicamente.
Cercheremo in seguito (capp. III e IV), di fare il punto sul sorgere e sullo sviluppo dei primi contatti con il cattolicesimo. Ne esamineremo sia le componenti che sembrano perfettamente inserite nella prospettiva ecumenica, sia le correnti che sembrano contraddirla in nome di principi dogmatici, ritenuti insindacabili.
Nella seconda parte tratteremo di alcuni problemi dottrinali in relazione al decreto De Oecumenismo, alla costituzione De Ecclesia e al concetto di Chiesa come sacramento (capp. V, VI, VII).
Infine (capp. VIII, IX e X), una parte pratica sulla libertà religiosa, sul contributo dell’ecumenismo alla pace e sulle premesse del dialogo.
Note
1) Citazione da: Pattaro, Origini del problema ecumenico, in «Humanita», 11-12, 1964, Morcelliana, Brescia, p. 1248.
2) Citazione da: Capra, Problematica dell’ecumenismo, Ibidem, p. 1359. (…)