Ecumene

Sabato, 02 Febbraio 2008 23:03

Dialogo per "superare ogni divisione" (intervista a Samuel Kobia)

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Dialogo per "superare ogni divisione"

intervista a Samuel Kobia *


Il dialogo? “Più si è vicini alla vetta più bisogna fare attenzione perché nessuno rimanga indietro”. Anche perché “le questioni morali, più che le questioni teologiche classiche, stanno minacciando di dividere le Chiese e le comunioni mondiali cristiani”. E per questo bisogna parlarsi, con calma. Perché qualche traguardo è vicino. Il reverendo Samuel Kobia per il dialogo ha speso una vita. Pastore metodista, 61 anni, dal 2004 è segretario del World Council of Churches (Wcc), il Consiglio ecumenico delle Chiese che annovera trecentoquarantasette fra Chiese e comunità religiose. Il 16 giugno del 2005 ha fatto visita a Papa Benedetto XVI, pochi giorni prima di recarsi in Russia per incontrare il patriarca Alessio II. Dall'inizio degli anni Ottanta è attivo nel favorire il dialogo e l'unità, a partire dal Consiglio nazionale delle Chiese del Kenya, il Paese dove è nato. Un impegno costante, in ogni angolo del mondo. Oggi dunque il reverendo Kobia ritiene che il dialogo passi anche attraverso il confronto sui temi etici, oltre che teologici. Le sfide della globalizzazione inoltre chiedono alle Chiese di dare risposte convincenti all'individualismo e al capitalismo esasperato, tenendo conto delle difficoltà poste dalla rinascita di movimenti nazionalisti e fondamentalisti. Compiti difficili ma non proibitivi, perché il reverendo Kobia ha due sogni: approfondire i rapporti con Roma e vedere entro la metà del secolo ogni cristiano “benvenuto alla mensa del Signore in ogni chiesa”.

Osservatore Romano: Per la prima volta il giornale del Papa intervista il segretario del Consiglio ecumenico delle Chiese. E accade in occasione dei 100 anni della settimana di preghiera per l'unità. Cento anni passati con quale bilancio?

Samuel Kobia: Cento anni fa, la Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani sfidava l'odio e l'ostilità che avrebbe spinto i paesi cosiddetti cristiani verso la Prima guerra mondiale. La cooperazione ecumenica e la ricerca di unità tra le Chiese ha certamente svolto un ruolo nel superare il retaggio di due guerre mondiali e costruire rapporti pacifici in Europa.
Chi avrebbe pensato, all'inizio dello scorso secolo, che solo pochi decenni dopo ortodossi, anglicani, luterani, riformati, metodisti, battisti e Chiese di altra tradizione avrebbero lavorato insieme nel Consiglio Mondiale delle Chiese? Certamente il Concilio Vaticano II è stato uno spartiacque e ha aperto le porte a una cooperazione ecumenica significativa tra la Chiesa cattolica romana e molti membri del World Curch Council.

O.R. Parlando di ecumenismo sono in molti a sottolineare ciò che ancora divide e le difficoltà da superare. Perché di solito si mettono meno in evidenza i passi compiuti e gli obiettivi raggiunti?

S.K. Cercare l'unità visibile della Chiesa è come scalare una montagna. Il cammino diventa più erto e difficile più ci si avvicina alla vetta. Qualcuno vorrebbe fare una sosta prima di procedere, altri vorrebbero affrettarsi, forse perché ritengono che la meta sia vicina; ma sottovalutano la distanza che ancora rimane e i rischi che corrono arrampicandosi troppo in fretta. Più si è vicini alla vetta, più occorre fare attenzione affinché arriviamo tutti insieme e nessuno venga lasciato indietro o precipiti.

O.R. Si pensa in alcuni ambiti ecumenici, ma anche tra i cattolici, che il dialogo tra Roma e il Wcc sia più difficile rispetto al dialogo con le Chiese ortodosse. È fondata questa impressione, quali sono i motivi di questa maggiore difficoltà?

S.K. Il Wcc è una associazione di trecentoquarantasette Chiese membro, di tradizione ortodossa, protestante e anche di altre tradizioni. Non è facile paragonare il dialogo tra la Chiesa cattolica romana e quelle ortodosse con il dialogo multilaterale che il Wcc persegue attraverso la Commissione Fede e Costituzione. Le persone alle quali lei si riferisce forse non sanno che il Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani partecipa pienamente al lavoro di questa commissione. Naturalmente, sia la Chiesa ortodossa sia quella cattolica romana sottolineano il ruolo centrale del vescovo e della successione apostolica. Non tutte le Chiese membro del Wcc concordano con ciò. Questo rimane uno degli ostacoli sul cammino verso l'unità della Chiesa.

O.R. In ambito ecumenico ora si cerca di andare in profondità. Dopo il dialogo della carità ora si punta a considerare il dialogo teologico. Pensa che potranno sorgere nuove difficoltà?

S.K. In effetti, il dialogo teologico sull'insegnamento e sulle pratiche delle Chiese è sempre stato una dimensione fondamentale del movimento ecumenico e del Wcc. Inoltre, il Wcc ha sempre considerato l'unità, la testimonianza e il servizio congiunto come tre dimensioni correlate della vita e della missione della Chiesa. Oggi le tensioni sorgono non tanto intorno alle questioni teologiche classiche dell'unità della Chiesa, quanto su convinzioni etiche e morali. Le questioni morali stanno minacciando di dividere le Chiese e le comunioni mondiali cristiane. Secondo alcuni è in gioco la verità del Vangelo. Dicono che bisogna scegliere fra unità e verità. Questa situazione riguarda molte Chiese, a prescindere dalla loro tradizione teologica.

O.R. Benedetto XVI ha trovato un generale riscontro positivo nell'ambito ecumenico quale interlocutore affidabile ed esperto dei problemi sul tappeto. Ci sono delle attese particolari da parte del Wcc nei suoi confronti?

S.K. Abbiamo grande rispetto per l'impegno ecumenico di Sua Santità Papa Benedetto XVI. All'inizio del suo pontificato il Papa ha ribadito il suo pieno impegno per l'ecumenismo e ha detto che il cammino verso l'unità visibile è irreversibile. Ciò ci è servito come grande incoraggiamento e ispirazione. Siamo molto grati per il sostegno che offre al cardinale Kasper e al Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani.

O.R. Può delineare un bilancio di massima nel dialogo tra Roma e Wcc? Ci sono speranze per nuovi progressi?

S.K. Permettetemi di dare un esempio dei risultati del dialogo e della cooperazione tra il Vaticano e il Wcc. Ai tempi del Concilio Vaticano II la Chiesa cattolica romana non era membro di nessun consiglio di Chiese nazionale o regionale. Tuttavia, nel 1971, solo sette anni dopo la promulgazione del decreto sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, la Chiesa era entrata a far parte dei consigli nazionali delle Chiese in undici Paesi. Nel 2003 questo numero era salito a settanta. La Chiesa cattolica romana ora fa parte di tre organizzazioni ecumeniche regionali su sette. Le Chiese membro del Wcc e la Chiesa cattolica romana devono affrontare molte sfide comuni nel contesto sociale, politico, culturale e religioso e nel panorama ecclesiale in rapido cambiamento.

O.R. Che significato assume per il Wcc la Settimana di preghiera per l'unità che quest'anno festeggia il suo centesimo anniversario?

S.K. La Settimana di preghiera per l'Unità dei Cristiani offre un'opportunità a ogni congregazione e alle Chiese locali di praticare insieme l'ecumenismo in maniera fondamentale ed essenziale. Spesso non raggiungiamo le Chiese locali con le nostre pubblicazioni e gli altri mezzi di comunicazione; il materiale per la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani invece le raggiunge. La pagina dedicata alla Settimana di preghiera è tra le più visitate nel sito internet del Wcc.

O.R. Quali sono le iniziative del Wcc per la Settimana?

S.K. Abbiamo celebrato il centenario la scorsa domenica a Ginevra, insieme con le Chiese locali della regione ginevrina e con i rappresentanti delle Chiese provenienti da diversi parti del mondo. Volevamo dimostrare che la Settimana di preghiera ha un profondo significato per l'ecumenismo locale e per la cooperazione ecumenica in tutto il mondo.
Abbiamo volutamente programmato l'incontro del gruppo congiunto di lavoro della Chiesa cattolica romana e del Wcc a Roma durante il periodo della Settimana di preghiera. Venerdì parteciperò, insieme con i membri del gruppo, alla celebrazione ecumenica in occasione del centenario che si terrà nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, presieduta da Papa Benedetto.

O.R. Il Wcc celebra quest'anno anche i suoi sessanta anni di vita. Può tracciare un bilancio dei risultati e delle difficoltà registrati in questi decenni?

S.K. Il Wcc è cresciuto molto in questi 60 anni. Mentre la maggior parte delle Chiese fondatrici hanno sede in Europa e in Nord America, il Wcc è diventata un'associazione di Chiese veramente mondiale nel 1961, quando molte Chiese del sud si sono unite ad essa insieme con il Consiglio Missionario Internazionale. E un numero rilevante delle Chiese ortodosse orientali degli ex Paesi comunisti potrebbero entrare a far parte del Wcc durante l'assemblea che si terrà a New Delhi. Un altro importante passo avanti è stato la partecipazione di osservatori ecumenici al Concilio Vaticano II e l'istituzione del Segretariato per l'unione dei cristiani, poi diventato il Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani. Si sono sviluppati vincoli strutturali tra il Wcc e la Chiesa cattolica romana. L'Assemblea di Uppsala nel 1968 ha segnato una svolta nella testimonianza sociale del Wcc. L'impegno per la giustizia e contro il razzismo venne messo in cima all'agenda. Negli ultimi venti anni la globalizzazione ha cambiato il contesto in cui viviamo a tutti i livelli. I profondi cambiamenti dopo la caduta del muro di Berlino hanno inciso sui rapporti con le Chiese membro ortodosse. Ci siamo dovuti confrontare con una crisi profonda nel 1997, subito prima dell'assemblea di Harare. Oggi ringraziamo Dio perché questa crisi ha messo in evidenza alcune delle nostre debolezze fondamentali. La Commissione speciale sulla partecipazione ortodossa al Wcc ha avviato cambiamenti importanti nell'ethos e nei processi decisionali del Wcc. Ritengo che le Chiese vedono sempre più e di nuovo l'importanza e la necessità della cooperazione ecumenica attraverso il Wcc.

O.R. Quali sono i principali impegni e obbiettivi che attendono il Wcc nei prossimi mesi?

S.K. Nel programma abbiamo introdotto una nuova enfasi sull'accompagnamento delle Chiese nelle situazioni di conflitto. Ci stiamo preparando a inviare «lettere viventi» — vale a dire delegazioni delle Chiese membro che visitano una Chiesa membro che deve affrontare sfide difficili — nel mio paese natale, il Kenya, e anche in Sudan. Le «lettere viventi» contribuiscono al Decennio per superare la violenza che culminerà in una Convocazione Ecumenica Internazionale per la Pace nel 2011. Con il tema «Gloria a Dio e pace in terra», questo evento è inteso a rafforzare la testimonianza di riconciliazione e di pace giusta delle Chiese.
Un'altra priorità per le Chiese membro del Wcc è la situazione nel Medio Oriente e la necessità urgente di pace nell'intera regione. Attraverso il Forum Ecumenico Israele Palestina, costituito di recente, possiamo accompagnare le Chiese a un livello più profondo, aumentando la loro capacità di contribuire ai processi di pace in loco. Molte delle nostre Chiese membro e dei nostri interlocutori ecumenici hanno anche intensificato il lavoro nell'ambito dei cambiamenti climatici, riconoscendo le gravi conseguenze del riscaldamento globale su molti aspetti della vita.

O.R. Quali aree di conflitto interreligioso la preoccupano maggiormente?

S.K. Abbiamo osservato conflitti mortali di dimensioni etniche e interreligiose nascere in troppi posti negli ultimi anni, talmente tanti che non posso nemmeno elencarli. Uno degli sviluppi recenti che mi incoraggia è la lettera firmata da centotrentotto religiosi e studiosi musulmani. È un'iniziativa notevole e sfida le Chiese a rispondere con voce coerente.

O.R. Di fronte alla modernità e alle sfide della secolarizzazione secondo alcuni osservatori il Wcc si sente meglio attrezzato della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse. È un'opinione fondata?

S.K. È quello che si diceva in passato. Molti pensavano che le Chiese non avessero altra scelta che adattarsi al mondo moderno secolarizzato. Non credo più che ciò sia vero. Abbiamo visto la rinascita della religione e nuove politiche d'identità in risposta alla globalizzazione. Le comunità in molte parti del mondo si oppongono al forte individualismo e all'egemonia dei valori liberali occidentali. Questa è una delle ragioni per il crescente fondamentalismo. Osservo però anche l'emergere di nuove risposte al contesto che cambia, specialmente tra i giovani. Tutti noi dovremo adattarci alle nuove realtà del ventunesimo secolo, ma spero che possiamo farlo senza essere troppo relativistici. Dobbiamo rimanere saldamente radicati nei nostri valori cristiani fondamentali.

O.R. La figura di Gesù Cristo è diventata una delle questioni attuali anche nell'ambito della cultura laica. Esiste un comune sentire tra i cristiani su Gesù rispetto alla sensibilità laica e secolarizzata?

S.K. Papa Benedetto XVI ha scritto un libro molto istruttivo su Gesù. Gesù Cristo, figlio di Maria e figlio di Dio, che è una cosa sola con il Padre e con lo Spirito Santo, è l'origine e il centro della nostra fede cristiana. Mentre una simile affermazione è incompatibile con una mentalità secolarizzata, è il terreno comune per le Chiese membro del Wcc e per molte altre comunità cristiane. Unisce i cristiani attraverso l'ampio spettro delle denominazioni. Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, ci ha sempre ricordato che Gesù crocifisso e abbandonato è al centro della spiritualità dell'unità. Sono lieto di andarla a trovare sabato.

O.R. Quali sono i risultati emersi dalla tavola rotonda di Ginevra in occasione della settimana di preghiera per l'unità?

S.K. Quando ai partecipanti alla tavola rotonda all'inizio della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani a Ginevra è stato chiesto di dare esempi concreti dei risultati della mancanza di unità delle Chiese, la risposta di suor Sheila Flynn, religiosa domenicana che opera tra persone che convivono con hiv e aids nei pressi di Johannesburg, è stata: «Il risultato della mancanza di unità nel nostro contesto è la morte!». Questa affermazione mostra che l'unità della Chiesa non è soltanto una domanda o un concetto che qualche teologo o funzionario ecclesiastico potrebbe considerare importante. No, è un interrogativo che riguarda ogni singolo cristiano, poiché è una questione sulla vita o sulla morte. L'unità è imperativa per la credibilità della testimonianza della Chiesa nel nostro mondo.

O.R. Quali sono le basi per un dialogo fecondo tra le Chiese? In che modo la cultura e l'economia influenzano questo dialogo?

S.K. Il dialogo non può ignorare le condizioni contestuali delle Chiese. La cultura e l'economia sono fattori importanti che incidono sulla vita dei cristiani e sul loro reciproco percepirsi. Per molto tempo, i cosiddetti «fattori non teologici» non sono stati presi sufficientemente sul serio. La credibilità degli interlocutori nel dialogo soffrirà se lo scandalo del crescente divario tra ricchi e poveri o l'egemonia della cultura consumistica, che va di pari passo con l'espansione dell'economia globale, non verranno affrontati. La credibilità è un presupposto per la fiducia e la confidenza reciproche, necessarie per un dialogo fecondo.

O.R. Trecentoquarantasette fra Chiese e comunità religiose fanno parte del Wcc. Quale di queste sta portando contributi nuovi e/o nuovi impegni per l'organizzazione?

S.K. L'appartenenza al Wcc è stata ripetutamente definita come il desiderio delle Chiese membro di essere «insieme sul cammino» verso l'unità visibile e la testimonianza comune. In questo modo, le Chiese membro sono preparate a portarsi avanti reciprocamente, ognuna offrendo un dono particolare all'associazione, un dono che aiuta tutti noi a riconoscere la nostra unità in Cristo.

O.R. Qual è la sua visione personale dei futuri rapporti con Roma e del cammino ecumenico in generale?

S.K. La mia visione del movimento ecumenico è che entro la metà del ventunesimo secolo avremo raggiunto un livello di unità tale che i cristiani ovunque, a prescindere dalla loro affiliazione confessionale, potranno pregare e venerare insieme e sentirsi i benvenuti alla Mensa del Signore in ogni chiesa; e che attraverso questo esempio la Chiesa potrà aiutare l'umanità a superare ogni divisione e i popoli del mondo a riuscire a vivere insieme in pace e armonia, indipendentemente dal loro sfondo culturale e dalla loro identità. A tal fine, sono convinto che i rapporti tra il Wcc e Roma saranno più forti e profondi negli anni a venire. Personalmente sono impegnato a portare questo rapporto verso vette più alte.


* L’intervista con Samuel Kobia, segretario generale del Consiglio
ecumenico delle Chiese, è stata realizzata da Marco Bellizi e pubblicata da L’Osservatore
Romano’
il 24-01-2008.

Letto 1743 volte Ultima modifica il Domenica, 16 Marzo 2008 17:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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