Fatwâ
di Maria Domenica Ferrari
La fatwâ è un parere giuridico non vincolante in merito a questioni civili o religiose. Per molti aspetti ricorda l'istituzione romana dello jus respondendi.
Una fatwâ può essere chiesta da un singolo musulmano a titolo privato, da un giudice (qâdî), da un’istituzione. Chi svolge tale compito si chiama muftî.
Un muftî si limita a dare indicazioni su di un comportamento, molto spesso pratico, dal punto di vista della correttezza rispetto alla shari‘â. Non sentenzia su di un fatto compiuto.
Da mettere in rilievo è il fatto che una fatwâ è una semplice opinione, lo stesso richiedente può rivolgersi a vari mufî e se questi esprimono pareri diversi, conformarsi a quello che più lo soddisfi.
La futyâ (l’atto di emettere fatwâ) permise, e permette, se ben utilizzata di proporre nuove interpretazioni, dell'apparente immodificabile shari‘â.
Le fatwâ dei grandi muftî potevano essere riportate nei libri di diritto.
Una fatwâ ha forza di legge solo se un giudice si conforma ad essa.
Accanto a muftî non ufficiali, tali perché accettati come autorevoli da una comunità, fin dalle origini dell'Islam sono esistiti muftî designati e utilizzati dal potere esecutivo. Grande sviluppo di tale carica si ebbe soprattutto con gli Ottomani, quando il muftî di Costantinopoli divenne la più importante carica amministrativa religiosa sunnita, indipendente dal sovrano.
Un esempio di fatwâ, emessa nella zona di Gerusalemme nel secolo scorso, riguarda uno shaykh beduino che aveva ripudiato la moglie non intenzionalmente. Nella richiesta lo shaykh spiegava i motivi che avevano causato questo ripudio involontario: il fratello voleva sposare una donna che lui non approvava, ed aveva promesso solennemente che se il fratello si fosse sposato contro la sua volontà, e questa donna fosse entrata in casa sua, lui avrebbe sciolto il proprio matrimonio.
Il giudice applicando la legge della scuola giuridica hanafita, si pronunciò per lo scioglimento del matrimonio poiché gli hanafiti non danno importanza all’intenzionalità in tali decisioni. Lo shaykh che non voleva ripudiare la moglie, si trovò in una situazione per la quale la legge musulmana prevede che la donna prima debba sposarsi con un altro uomo, divorziare da lui e solo allora può risposarsi con il primo marito. Lo shaykh scontento di tale decisione si rivolse allora ad un muftî della scuola shafi‘ita, che invece prevede l’elemento dell’intenzionalità nella formula del ripudio ed ottenne una fatwâ che considerava ancora valido il suo matrimonio.