La controversia fra i mutaziliti e gli hanbaliti
Il Corano è creato o increato?
di Rochdy Alili *
Bagdad, sec. IX. I mutaziliti ritengono che il Corano è creato da Dio, dunque c’è un inizio nella sua storia e si può interpretare, mentre gli hanbaliti affermano che esso è eterno, increato, preesistente e da prendere alla lettera.
La controversia del “Corano creato” ancora oggi agita le coscienze perché agli uni sembra legato a un periodo di inquisizione e agli altri come un’occasione perduta per l’islam di accedere fin da quel tempo a una concezione “moderna” della Rivelazione divina. Essa fu lanciata dal califfo al-Mamun (813-833), che era giunto al potere nel tempo in cui, nella lontana Europa del Nord, Carlo Magno terminava il suo regno. Questo califfo, della dinastia abbaside, installata in Irak nel 750 e fondatrice di Bagdad, tentò lungo tutto il suo regno di stabilire una legittimità religiosa al califfato.
Un secolo prima di al-Mamun, il suo trisavolo, Muhammad b. Ali, organizzò una propaganda utilizzando questi malcontenti e la fedeltà di molti musulmani alla famiglia del Profeta. Non era un discendente di Maometto, ma del suo zio, al-Abbas, e non mancò di approfittare di una ambiguità fra le sue rivendicazioni e quelle degli sciiti. Alcuni decenni dopo questa opera di propaganda, un solido esercito formato da Iraniani e da discendenti di tribù arabe esiliate nella provincia del Korasan, nell’Iran orientale e in Asia centrale, costituito da emissari di questi nuovi pretendenti, riuscì a conquistare il potere per i figli di Muhammad b. Ali, i primi califfi abbasidi, fra cui al-Mansur, il fondatore di Bagdad e bisnonno di al-Mamun.
Stabilire una legittimitàMolto presto si chiarì la confusione fra gli abbasidi e gli sciiti e i nuovi sovrani dovettero subire l’opposizione da parte di questi ultimi, mentre i tradizionalisti mantenevano il loro consueto sospetto nei confronti del califfato. Il potere abbaside si basava dunque sempre esclusivamente su una forza militare, quella dell’esercito del Korasan. Perciò al-Mamun pensò bene, un mezzo secolo dopo l’inizio della dinastia, di appoggiare su solide basi la sua legittimità religiosa. Aveva accanto a sé dei letterati che davano alla ragione un’importanza capitale nel loro approccio ai temi dalla teologia musulmana. Erano i mutaziliti, chiamati così perché si erano messi a parte (i’tazala) dalle controversie del secolo precedente. Su Dio professavano una dottrina rigorosa che faceva di Dio un’essenza unica alla quale nulla poteva associarsi, neppure la sua Parola. Il Corano dunque era per loro una creazione, e non un’essenza divina come dicevano i tradizionalisti. Credevano anche alla libertà dell’uomo e alla sua responsabilità di fronte a Dio, tenuto egli stesso dalla ragione a retribuire, secondo i criteri della giustizia, le azioni della sua creatura.
Non è detto che al-Mamun condividesse tutti questi dogmi, ma alcuni dei mutaziliti lo sostennero nella sua scelta, come erede, di un discendente del ramo più prestigioso dello sciismo, Ali al-Rida. Ma, ahimé, Ali al-Rida morì ben presto. Una diecina di anni dopo, il califfo, che conservava una simpatia per lo sciismo e rimaneva dominato dalla superiorità dei mutaziliti, intraprese una lotta contro i dottori tradizionalisti che avevano acquisito presso il popolo il monopolio dell'interpretazione di un testo sacralizzato dal quale traevano grande influenza. Egli impose il dogma del “Corano creato” alle persone sulle quali aveva un'autorità religiosa: i funzionari, i giudici e i “testimoni professionali”, incaricati di attestare gli atti giuridici. I tradizionalisti resistettero, guidati da Ibn Hanbal, un insegnante che acquistò prestigio con questa fiera opposizione al califfo.Ciò che divideva fondamentalmente i mutaziliti dai tradizionalisti, presto chiamati “hanbaliti”, era la concezione dell'onnipotenza divina. I primi, costituiti da una élite intellettuale spesso sprezzante, vedevano Dio come una essenza assoluta, inaccessibile e inconoscibile, ma tenuta, dalla ragione e dalla giustizia, a lasciare libero l'uomo e a giudicarlo secondo i criteri di una rigorosa equità. Gli hanbaliti, sostenuti dalle classi popolari, pensavano che gli atti dell'uomo erano predeterminati da Dio, che giudicava la sua creatura in quanto Onnipotente, senza essere costretto dalle concezioni umane di giustizia, ma con la più assoluta misericordia, se lo giudicava bene. Quanto all'unicità di Dio, essa non era lesa dal fatto che il Corano, non creato ma creatore di discernimento, partecipasse dell'essenza divina. Non era neppure lesa dal fatto che Dio apparisse, in questo Corano, dotato di attributi umani. Questa Parola increata era un modo, per l'essenza divina, di rendersi accessibile all'uomo e di manifestargli la sua misericordia. Occorreva dunque crederla e seguirla in tutto ciò che diceva e non pensare che i deboli concetti della ragione umana potessero servire a concepire Dio e a comprendere la vie del Divino.
Vittoria dell'ortodossia
Dopo vari anni al-Mamun si risolse a costringere con vigore i tradizionalisti. Dalla frontiera dell'Impero bizantino dove era in guerra, comandò al prefetto di polizia di Bagdad di arrestare Ibn Hanbal e altri fautori e di imporre dovunque il dogma del Corano creato. Era l'inizio della mihna o inquisizione, che cominciò a perseguitare i tradizionalisti sotto l'autorità del gran cadi mutazilita Ibn Abi Duad. Nel frattempo morì al-Mamun. Suo fratello al-Mutasim (833-842), e poi al-Wathiq (842-847), continuarono la sua politica. Infine, di fronte allo scontento popolare, il califfo al-Mutawakkil (847-861) condannò il mutazilismo, destituì Ibn Abi Duad, rese a Ibn Hanbal la libertà di insegnare, perseguitò gli sciiti, umiliò cristiani ed ebrei. Il califfo perdette anche il sostegno militare poiché dei mercenari turchi indocili, recrutati da al-Mutasim, avevano sostituito l'esercito ormai logoro del Korasan. Così, con questi hanbaliti poco preoccupati di riflessione teologica razionale e con questi pretoriani turchi, si affermavano i promotori dell'ortodossia che si sarebbe imposta nell'islam nei secoli futuri.(in Le monde des religions, n. 10, pp. 48-49)