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Venerdì, 22 Giugno 2007 02:02

Fasi della cultura europea d'oltralpe. La teologia della crisi e la cultura europea in Paul Tillich (1886-1965) (Renzo Bertalot)

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Fasi della cultura europea d'oltralpe

La teologia della crisi
e la cultura europea
in Paul Tillich (1886-1965)*

di Renzo Bertalot


A- Chi è PaulTillich

Nacque in Prussia nel 1886. Insegnò filosofia e teologia a Marburgo, Dresda, Lipsia e Francoforte. Fu molto sensibile ai movimenti del proletariato e molto vicino alle rivendicazioni socialiste che gli sembravano esprimere una “fede inconscia”, animata da uno spirito profetico aperto a richiamare molte indicazioni dell'Antico Testamento. Fu tra gli organizzatori del socialismo religioso europeo. Nel 1933 perse la sua cattedra con l'avvento del nazismo ed emigrò negli Stati Uniti. Insegnò all'Union Theological Seminary di New York e nel 1955fu eletto professore all'università di Harvard. Tillich raggiunse l'America con l'animo pieno di amarezza. Aveva conosciuto la demonia della cultura tedesca. Dentro di sé conobbe il vuoto di una civiltà distrutta e, guardando al passato, non poteva non parlare della maledizione europea. Era affascinato dai nuovi orizzonti che si aprivano sul continente americano per l'incontro fecondo con tutte le culture viventi. Il meglio di ogni tradizione nazionale diventava il patrimonio della riflessione del nuovo mondo. L’ampio respiro e l'apporto veramente universale di tante e diverse civiltà mettevano in rilievo gli aspetti demoniaci delle società europee, capaci di asservire anche gli spiriti più avvertiti del XX secolo.

Tra le sue numerose pubblicazioni va ricordata soprattutto la sua Teologia Sistematica che, nonostante il forte ritardo, apparirà anche in Italia edita dalla Claudiana. Di quest'opera R. Niebuhr, noto teologo americano, ha detto: “La lettura della Teologia sistematica può trasformarsi in un grande viaggio alla scoperta di una nuova concezione della vita umana, ricca e profonda, comprensiva eppur dettagliata in presenza del mistero di Dio: una presentazione nobile e profonda accuratamente ragionata e completa dei maggiori temi della vita”.

B - La società borghese

un pastore anglicano raccontava: “Nacquero i nonni e c'era la regina Vittoria, nacquero i padri e c'era la regina Vittoria, nacquero i figli e c'era la regina Vittoria, nacquero i nipoti e c'era ancora la regina Vittoria. Regina per oltre sessant'anni!”

In Italia, abbiamo vissuto qualcosa di analogo in chiave risorgimentale antiaustriaca. Francesco Giuseppe, prima come principe poi come imperatore, ci accompagnò in tutte le guerre d'indipendenza. Durante la sua vita, vide passare i re sabaudi, da Carlo Alberto a Vittorio Emanuele III, e tutti gli eroi del nostro risorgimento e della nostra unità nazionale: un sogno d'immortalità che lasciò al suo seguito molti apprezzamenti e tante nostalgie. Non faceva eccezione l'era guglielmina tedesca: una società sostanzialmente “sana”. Nel passato Berlino aveva entusiasmato Kierkegaard come un grande sogno irripetibile. Hegel aveva conquistato con la sua filosofia molti filoni del pensiero moderno. Il suo mulino a tre pale (idea-natura-spirito) continuava a macinare; i neo-hegeliani si fecero sentire anche in Italia. Il concetto di Weltgeist, inoffensivo sul nascere, con il tempo offri il fianco alle dittature europee che s'affacciavano all'orizzonte. Il socialismo era ai suoi primi successi con il proletariato. La religione, che aveva saputo farsi il nido nelle società europee, fu contestata come “oppio dei popoli”, innanzi tutto dagli stessi teologi anglicani (C. Kingsley) e poi universalmente da K. Marx. In America il socialismo nascente e le chiese si trovarono fianco a fianco nell'affrontare i problemi del capitalismo selvaggio. La “concorrenza” fu continuamente denunciata come “demoniaca”. La nozione di Regno di Dio non fu soltanto rinviata all'escatologia trascendente, ma si cercò di tradurla in segni concreti e immanenti nell'evoluzione sociale. Il processo di “socializzazione” aveva avuto i suoi momenti fortunati e godeva in generale dell'ampio sostegno delle chiese. (1)

Kant, al di qua e al di là dell'oceano Atlantico, continuava a essere un punto di riferimento per molti pensatori. Il suo ragionamento, volutamente limitato all'interno del finito (pur essendo un uomo di fede: sosteneva infatti la sola grazia contro l'insondabile mistero del male), faceva di lui il “filosofo del protestantesimo” e il baluardo contro i sistemi chiusi e a carattere assolutistico. (2)

Intanto le notizie che giungevano sulla rivoluzione russa screditarono le proteste del proletariato; le forme più aberranti del capitalismo tradizionale ripresero vigore. Le chiese ufficiali in Europa si erano facilmente adagiate su situazioni rassicuranti, favorendo un connubio tra trono e altare e opponendosi alle idee rivoluzionarie. Nel tentativo di resistere a fermenti ritenuti pericolosi e sgretolanti, l'apologetica protestante andava perdendo terreno e forza di convinzione contro l'invadenza del progresso scientifico. L'ortodossia protestante, il rigore delle dottrine e l'aspetto sempre più eteronomo dell'etica cristiana allontanavano dalle chiese il proletariato che si ritrovava indifeso e alienato, ridotto a pura merce di scambio. Lo stesso va detto dei giovani sedotti dalle innovazioni, dalle correnti umanistiche e dalla secolarizzazione incipiente.

Il cattolicesimo si richiamò alla sua esperienza monolitica medievale e alla teologia di Tommaso d'Aquino. Il movimento modernista era troppo socialisteggiante per una chiesa arroccata e sicura nella sua tradizione. All'estero, si parlava di un cattolicesimo “addormentato” (A. Harnack). In realtà il papato aveva seri problemi da risolvere: la proclamazione di due dogmi, il Sillabo e la fine dello Stato della Chiesa. Inoltre, il modernismo raccoglieva l'interesse di uomini famosi come E. Buonaiuti, G. Belvederi, A. Manaresi, A. Fogazzaro, A. Roncalli e veniva considerato un'“eresia” condannabile e condannata. Soltanto dopo il concilio Vaticano II, fu possibile affermare che la reazione vaticana era eccessiva e “ingiusta”. (3)

Per motivi diversi le chiese avevano lasciato troppo spazio a quelle certezze che, nel passato, avevano dato buona prova di solidità. La sopravvivenza di tendenze assolutistiche non trovò in generale le Chiese ben disposte ad affrontare i tempi nuovi. Eppure bastò l'incidente di Sarajevo, con l'assassinio dell'arciduca ereditario d'Austria, Francesco Ferdinando e della sua consorte, per porre fine ai sogni di grandezza di molte generazioni. La storia ci aveva riportati con i piedi sulla terra. Si trattò ovunque di crisi, di un senso d'impotenza di fronte a mali dilaganti e incontrollabili.

C - La teologia della crisi

Se la prima guerra mondiale mandò in frantumi tante sicurezze di mondi chiusi e arroccati nel loro ottimismo, la teologia suonò contemporaneamente le sue campane a distesa e si destò di fronte a un forte appello in favore di un ritorno alla Sacra Scrittura, alla Parola di Dio. Fu K. Barth, ma non fu il solo, a rompere l'incantesimo. La religiosità (o religione) sbocciata dal basso e rivolta verso l'alto, come una nuova torre di Babele non rappresentava un momento di salute, ma piuttosto di malattia; non era armonia, ma disarmonia; non era un amico ma un nemico: un giogo, una perdizione, una sventura, un inferno, un demonio, un vicolo cieco e una catastrofe. Era diventata una parola pagana della specie homo. Ecco allora il grido dell'apostolo Paolo: “La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà?” (Rm 7,24). Di qui, il ritorno alla Parola, al governo della storia da parte del “Vivente”. Se Cristo è la Parola di Dio, egli è tutto o non è niente. (4) Chi cerca se stesso non troverà nulla, ma chi è trovato da Dio troverà se stesso. Kant, il filosofo del protestantesimo, aveva avuto ragione di sbarrare la strada a ogni tentativo di raggiungere il “noumeno”. Limitando la riflessione umana al mero “fenomeno”, egli aveva reso un grande servizio alla teologia. Salire dal basso verso l'alto è la via del “criptoteologo”; la via del “criptofilosofo” è, invece, quella in senso contrario. Per K. Barth e i suoi colleghi sono strade vietate. L'importanza della religiosità o religione è molto relativa, può essere necessaria dal punto di vista dello studio, ma potrebbe anche trasformarsi in una ribellione alla grazia.

P. Tillich condivide con K. Barth, E Gogarten, E. Brunner e D. Bonhoeffer il movente della protesta teologica. Kant rimane un punto fermo e un severo avvertimento: trascenderne le intuizioni e procedere verso il noumeno non è possibile. Tra teologia e filosofia non c'è un terreno comune né una sintesi. Il “soprasensibile” di Kant non è il “soprannaturale”. In questo senso, egli ha reso un servizio prezioso alla fede cristiana, liberandola dalle tentazioni metafisiche che sono un “tradimento” della teologia. (5)

D - Il socialismo religioso

Tillich, pur accettando la severa critica barthiana sulla religione come ribellione alla grazia, andava interrogandosi sulla gestione divina della storia. Il mondo non è una nave senza timone abbandonata a tutte le intemperie. Dio incide con i suoi interventi sui nostri condizionamenti. I potenti non sono intramontabili. Occorre interrogare la nostra precaria condizione umana, sempre penultima, per capire lo spirito che la anima. L’annuncio del Vangelo non può essere inteso come una risposta a domande mai poste. Quali sono dunque le domande, le attese e le speranze dell'umanità? Tillich vede nel socialismo una fede nell'elezione storica del proletariato, fede alla quale soggiace una carica profetica che ricorda l'Antico Testamento e la figura del servo sofferente del Signore. Marx e Tillich intendono l'uomo semiticamente? Il profetismo socialista consiste nel rifiuto dell'alienazione umana e condivide il “principio protestante” che spezza tutte le sicurezze mal poste, sia in ambito religioso sia in quello sociale. Nella prospettiva profetica socialista c'è un forte anelito missionario che investe tutto il mondo operaio e l'avvenire di tutta la società. È vero che dove c'è speranza c'è religione, ma non è vero il contrario (così E. Bloch) perché allora si riterrebbero sicuri gli arroccamenti e le scelte sociali ormai al tramonto e verrebbe meno il coraggio di negare le utopie illusorie. Occorre un'anima per il proletariato e il socialismo religioso si propone al tempo giusto, quello della crisi, come il dono adatto per questo compito speciale. (6)

E- Kairòs

Negli sviluppi futuri del suo pensiero, nella sua Teologia sistematica, Tillich non esiterà a identificare il kairòs centrale della storia con Gesù in quanto Cristo. Il kairòs è, infatti, il centro di una circonferenza grande quanto il disegno di Dio e ampia quanto la salvezza dell'umanità. Il kairòs centrale si riflette in tanti kairoi sparsi nel tempo e nello spazio. Sono segni originali non derivati, ma che si verificano “attraverso” l'uomo e la storia e diventano “trasparenti”: l'infinito attraverso il finito. Sono eventi in cui il Signore prende le redini dell'accadere e si fa timoniere del succedersi delle epoche.

Nel periodo turbolento della crisi, Tillich vede l'incidenza centrale del Cristo (kairòs) in una serie di interventi (kairoi) nell'evolversi delle culture. In quei momenti la società dà segni profetici. La crisi distrugge l'accumularsi delle sicurezze e degli adattamenti. Si tratta di anticipazioni escatologiche del Regno di Dio che sconvolgono il presente e negano le illusioni, le ideologie e le idolatrie.

Ma la crisi determinata dai kairoi vuole anche essere un richiamo alla grazia della creazione e un appello alla conversione. Con l'apostolo Paolo la crisi è intesa come l'esortazione costante e continua a non conformarsi al presente secolo (Rm 7,4), ma a lasciarsi trasformare dalle “strutture di grazia” (Gestalten of grace). Ogni singolo kairòs è un dono, un donatore di senso, un veicolo dell'assoluto e un'apertura verso Dio, una nuova santificazione del condizionato e della sua profanazione. Senza sconvolgere l'impulso escatologico implicito nel socialismo, il kairòs odierno vuole essere un superamento della sua incredulità utopica, un trasparire dell'eternità nel tempo. Il finito riceve il lievito dell'infinito senza mai tradursi in un organizzazione sociale. I kairoi sono il realismo della fede di fronte al realismo incredulo dell'utopia. Infatti si può addirittura diventare conformisti della rivoluzione. In un mondo in continua trasformazione l'etica va intesa come etica dei kairoi. (7)

E- Il seguito

Lo scoppio della seconda guerra mondiale non fu un fulmine caduto dal cielo come la prima. Le dittature, affermatesi in Europa, lasciavano intendere l'avvicinarsi di un futuro rovente. Le chiese troppo spesso avevano ceduto alla tentazione di farsi il nido accanto al potere, anche se vi furono proteste significative. In contrapposizione ai “cristiano-tedeschi”, fiancheggiatori di Hitler, si formò in Germania la “Chiesa confessante” che, sotto la spinta di K. Barth, formulò le tesi di Barmen in antitesi al nazismo. La morte di D. Bonhoeffer rimane un esempio e un simbolo permanente. Lo stesso Tillich nella riunione di “Fede e Azione” (Oxford 1937) fu l'estensore di un documento sulle dittature contemporanee. Era troppo tardi.

Nel dopoguerra Tillich concentrò il suo insegnamento sul kairòs intorno alla figura di Cristo, il Nuovo Essere. Tutta la sua Teologia sistematica si pone in questa prospettiva (ragione, essere, esistenza, vita e storia). La teologia della crisi si riflette, ora, nel concetto di angoscia di fronte al non essere. Dal punto di vista pratico, il malessere delle chiese, e non solo della società, si concentrava sulla nozione di “provincialismo”. Chi aveva sofferto all'interno delle strettoie mentali europee era ora in grado di dare un nome alla malattia, al fine di isolarla e richiamare l'attenzione di quanti sarebbero ancora stati in grado di accogliere il suo avvertimento. Il “provincialismo” è l'unità di misura coltivata a casa nostra, con la quale andiamo misurando il mondo intero e ogni singola manifestazione di pensiero, per giudicarli mancanti. Più recentemente si parlerà, con ampie risonanze, di “integrismo” e di “esclusivismo”. È la classica tentazione delle ecclesiologie cosiddette “alternative”, che non trovano riscontro nella teologia di K. Barth, nella Sistematica di P. Tillich, nelle dichiarazioni del Consiglio Ecumenico delle Chiese e in quelle dell'Alleanza Riformata Mondiale. Se abbiamo veramente imparato che la comunione è reale anche se reciprocamente imperfetta, diventa necessario vivere sulla linea di confine, rifiutando il mito tedesco (la Germania sopra tutti) o la “mistica fascista” messa, a suo tempo, in circolazione in Italia.

In linea con il pensiero di Tillich potremmo dire che è impegnativo e necessario sapere quello che noi pensiamo di Dio, ma è determinante e decisivo sapere quello che Dio pensa di noi.

G - La cultura

Gli sconvolgimenti dell'ultimo secolo hanno prodotto anche lo scontro delle culture. Le lontane radici comuni del cristianesimo non riuscivano a suscitare i consensi necessari. In realtà, una radicale “autonomia” della cultura incentivava le libertà e le creatività, ma incoraggiava il vivere senza chiare regole condivise; lo “stare ai patti” si sgretolava lasciando dietro di sé la minaccia del vuoto. L'“eteronomia”, d'altra parte, spingeva alla rassegnazione ed esauriva i suoi principi nel vano tentativo di renderli adatti all'evolversi delle situazioni.

Per Tillich era necessario “trascendere” la contrapposizione, cioè aprirsi al nuovo emergente e mantenere quanto di ancora valido ci era stato trasmesso. La sua formula risolutiva divenne presto famosa in tutto il mondo: la religione (religiosità) è la sostanza della cultura e la cultura è la forma della religione. In altri termini la cultura non crea sostanza, ma l'attinge dai significati, dai valori, dalle paure, dalle proteste e dalle attese in atto tra la gente. La cultura raccoglie, ordina e classifica quanto di vivo (il volere) è in circolazione (Volkgeist di Hegel, lo spirito di un popolo) e gli dà una “forma” (il volere voluto) condivisibile (possibilmente senza rassegnazioni) da tutti credenti e non credenti (apud omnes gentes). È il caso specifico della cultura tibetana condivisa da musulmani e buddisti. In questo senso, la cultura ha una portata “unificante”; pur tenendo conto delle “particolarità” ci libera dai “particolarismi” che alimentano superstizioni e fanatismi. Il legislatore trasforma in lettere di alfabeto, cioè in leggi, il “volere” ancora informe della nuova situazione. La cultura diventa, così, la “culla” del diritto positivo (le leggi scritte), ma ne è anche la “bara” perché appena nato è già vecchio a causa della pressione esercitata progressivamente dal volere in formazione. (8)

Conclusione

L’Europa in via di formazione unitaria dovrà comunque prendere atto delle diversità delle culture e dei loro condizionamenti. Accanto all'occidente latino e all'oriente ortodosso si trova la forte componente del protestantesimo. È importante che le chiese sappiano evitare la costituzione di tre super-etnie di diversa tradizione cristiana. Se le chiese non si impegneranno in questa direzione non sarà possibile incoraggiare al cambiamento le piccole etnie formatesi qua e là sul continente. Questo è forse il debito più urgente che non dobbiamo perdere di vista e che ci attende nei confronti della nuova società europea. Non sarà un compito facile perché, nella sua tradizione, l'Europa non ha avuto una disposizione fraterna verso il diverso. La libertà di cui godiamo è il dono di perseguitati da ogni sorta di “integrismo”, perciò impegna innanzi tutto la nostra umiltà e la confessione coraggiosa del nostro demerito.

Note

* Il testo è ripreso e annotato da R. Bertalot La teologia della crisi e la cultura europea in Paul Tillich, in Rivista di teologia morale, n.130, (2001), pp. 199-206.

1) C.H. Hopkins, The rise of the Social Gospel in American Protestantism 1865-1915, Yale University Press, New Haven, 1940; W. A. Visser't Hooft, The Background of the Social Gospel in America, H.D. Tjeenk Zoon, Haarlem, 1928; R. Niebuhr, An Interpretation of Christian Ethics, Meridian Books, New York, 1968.

2) P. Tillich, Umanesimo cristiano al XIX e XX secolo, Ubaldini, Roma,1969, pp. 83 ss. e 213. Kant è considerato il filosofo del protestantesimo. Nell'interpretazione tomista e antikantiana della fraternità di S. Pio X, discendente da Lefebvre, la "libertà religiosa" è considerata un'eresia interna al cattolicesimo romano, eresia formatasi con il Concilio Vaticano II, cf. B. Tessier de Mallerais in Econe risponde a Ratzinger, in Il Regno, n.10, (1994), pp. 257-261.

3) P. Tillich, Lo spirito Borghese e il Kairòs, Doxa, Roma 1929 pp. 144 155 e 163; M. Strauch, La teologia della crisi, Doxa, Roma, 1928, pp. 38 ss; G. Andreotti, I quattro del Gesù Storia di una eresia, Rizzoli, Milano, 1999, pp. 72 ss. L’autore offre un'ampia panoramica delle difficoltà incontrate dal movimento modernista, ma non si addentra nei contenuti sociali, politici e religiosi.

4) K. Barth, Dogmatique, vol. III, Labor et Fides, Ginevra, 1954, pp. 52-57.

5) P. Tillich, The Protestan Era, Phonix Books, University of Chicago Press, Chicago, 1957, p. 83.

6) Tillich distingue tra il tempo “giusto" (kairòs) e il tempo "ufficiale" (kronos), cf. Tillich, Ib., p. 155.

utopie rivoluzionarie. Cf. Tillich, Ib., pp. XV 38 e 47; R. Bertalot, Educare alla libertà. Metodologia ecumenica, in Studi Ecumenici 15 (1997), pp. 21-28.

8) R. Bertalot, Religione e diritto. Una lettura protestante, E. Pazzini, Verucchio (Rn), 1996. Cf. dattiloscritto di O. Abel, Le courage et l'experience d'étre chez Paul Tillich et Paul Ricoeur, in Paul Tillich et l'experience religieuse contemporaine, Faculté de Thèologie, Losanna, 1991, pp. 42-44.

Letto 2246 volte Ultima modifica il Mercoledì, 19 Settembre 2007 13:02
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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