D'altronde salta subito all'occhio che nelle società arabe c'è il dramma di un immobilismo culturale. La cultura non è intesa come qualcosa che si sviluppa, ma qualcosa che si ripete. Sento la paura del divenire, del cambiare. E se necessariamente cambi ci sono, questi avvengono fuori della cultura locale, come materiale di importazione.
Mi sono sempre chiesto il perchè, e mi pare di poter dire che la cultura araba è strettamente legata al presupposto che il Corano (e perciò la sharia) è frutto di una rivelazione divina a Maometto; e quello che Dio rivela come verità non si può cambiare.
Accettiamo che Maometto era un grande, un profeta. Ma era un uomo: e non ce n è uno senza difetti, colpe, limiti. Il Corano è un gran libro, ma anche lì la ragione umana può trovare contraddizioni errori. Anche gli uomini ispirati da Dia possono sbagliare
Khaled Fouad Allam
(Algerino, docente di sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste)
Sotto i cieli del mondo, come hai verificato nella tua vita, gli uomini sono diversi. Ma li accomuna la loro fragilità, vale a dire la facilità con cui cedono alle soluzioni troppo facili e ai miti terreni che scambiano per dei, la facilità con cui confondono ideologia con cultura, parlare con comunicare. La cultura araba non è immune da queste regressioni: quando vuole ricordare ciò che è stato, oggi lo fa spesso attraverso l'ideologia, religiosa o no; quando vuole innovare, dimentica sé stessa per evocare antichi demoni o per rifugiarsi nell'imitazione servile della peggiore non-cultura.
Ci manca una parola autentica, una parola libera come quella che secoli fa poeti e filosofi arabi hanno saputo esprimere. Ma tutto dipende da noi, solo da noi. Il Corano recita: "Dio non cambia gli uomini se essi non cambiano per primi".
Giuseppe Scattolin
(Missionario comboniano, docente al Pisai di Roma)
Ridurre l'importanza dei testi sacri a motivo delle debolezze dei credenti di una determinata religione è rischioso per tutti. Quanta fatica ha fatto la chiesa ad accettare quel principio che citi in un altro passo della tua lettera: "La ragione è dinamica e libera...". Dobbiamo confessare che è stato grazie a persone al di fuori della chiesa che tale principio ha continuato ad operare, fino a quando la chiesa stessa ne ha dovuto riconoscere il valore.
Interpretare i testi fondanti di una religione pone sempre dei problemi per tutti. Andare allo spirito della rivelazione senza fermarsi alla lettera è sempre un cammino difficile per tutti; e sappiamo quante tensioni in materia ci sono state e ci sono nella chiesa. Le circostanze storiche e sociali poi possono aumentare enormemente tale difficoltà.
Questo però non ci autorizza a ridurre il contenuto di fede dell'altro al "nostro modo" di vedere, o al nostro interesse religioso. Forse è proprio qui che noi ci possiamo aiutare come credenti. Credo sia questo il vero dialogo religioso: ogni parte cerca prima di tutto il positivo dell'altra, e ciò aiuterà a camminare insieme verso la pienezza della verità. Si supereranno così in modo molto più convinto le tentazioni dei fondamentalismi e dei fanatismi (che ci sono non solo in islam, anche qui occorre essere obiettivi) senza ridurre la fede dell'altro a una dimensione puramente umana, accettabile per noi.
Dove poi possa portare tale atteggiamento dialogico quando è vissuto da tutte le parti nel modo più sincero e fino in fondo, credo sia un mistero che è meglio lasciare a Dio...
(da Nigrizia, maggio 2003)