Ecumene

Domenica, 12 Novembre 2006 17:50

La “terza via” degli anglicani (Marino Parodi)

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La “terza via” degli anglicani
di
Marino Parodi

La Chiesa anglicana gioca oggi come ieri un ruolo fondamentale nel contesto della Riforma. Nata, come dice il nome, sul suolo inglese e sin dalle origini strettamente intrecciata con la storia e la cultura di questo Paese, essa è diffusa in tutto il mondo: sulla base di stime ragionevoli, sembra che i fedeli raggiungano la quota complessiva di 75 milioni (pur tenendo conto delle grandi difficoltà, tipiche d’altra parte di tutte le Chiese tradizionali, che si incontrerebbero volendo distinguere i “praticanti” dai “non praticanti”).

In Italia sono presenti quindici comunità, per lo più formate da cittadini di origine inglese, americana, australiana, o canadese, con duemila fedeli. Per comprendere come e perché è nata la Chiesa anglicana, occorre un ripasso della storia, che inevitabilmente ci porta indietro al secolo decisivo, che segnò la nascita del protestantesimo, ossia il XVI.

Alle origini dello scisma

Enrico VIII (1491-1547), re d’Inghilterra all’epoca della Riforma, si era sempre mostrato un cattolico fervente, strenuo oppositore di Lutero, tanto da guadagnarsi da papa Leone X il prestigioso titolo di defensor fidei. A scatenare lo scisma sarà invece la pretesa, da parte del sovrano inglese, di ottenere da papa Clemente VII la dichiarazione di nullità del proprio matrimonio con Caterina d’Aragona, zia dell’imperatore di Spagna Carlo V (per sposarla era stata necessaria una dispensa papale), la quale non era riuscita a dargli figli.

Se il Pontefice rimase sempre fermo nel suo rifiuto di avallare ciò che ai suoi occhi sarebbe stato un divorzio, a questa vicenda matrimoniale si intrecciano peraltro complesse questioni politiche. Nel 1531 la Camera dei Lords proclama Enrico “Capo supremo della Chiesa e del clero d’Inghilterra”.

Siamo ormai allo scisma, consacrato dalla nomina del filo-luterano Thomas Cranmer (1489-1556) ad arcivescovo di Canterbury. Egli nel 1533 annulla il matrimonio di Enrico e Caterina per consacrare le nozze che presto seguono con Anna Bolena, dalla quale nascerà la futura regina, Elisabetta I. E’ l’Atto di Supremazia del 1534, preceduto dalla scomunica di Roma, a segnare la nascita di una nuova Chiesa nazionale. La Chiesa anglicana inizialmente si discosta ben poco da quella cattolica: soltanto dopo la morte di Enrico VIII, Cranmer - che cadrà vittima dell’effimera “restaurazione” cattolica di Maria Tudor - redige nel 1549 una nuova liturgia in lingua inglese (Prayer Book), la quale vede una seconda edizione nel 1552, maggiormente distanziata dal cattolicesimo, nonché una terza, nel 1559, per volontà di Elisabetta I (1533-1603), a quest’ultimo invece più vicina.

E’ ancora la nuova sovrana a trasformare nel 1571 i Quarantadue articoli di .fede nei Trentanove articoli di fede, risalenti al 1553: la nuova versione è più orientata verso il protestantesimo, benché in termini moderati. Sin dai suoi esordi l’anglicanesimo si presenta del resto come un compromesso tra cattolicesimo e protestantesimo, benché una certa avversione per Roma e per il Papato non sia mai mancata. Non a caso, alcuni studiosi considerano la confessione anglicana staccata dal protestantesimo, vedendovi piuttosto una “terza via” tra quest’ultimo e il cattolicesimo. E’ interessante notare come tale nuova interpretazione dell’anglicanesimo, sul piano teologico come su quello storiografico, abbia trovato riscontro nel Magistero cattolico: basti pensare alla Lettera apostolica Tertio millennio adveniente di Giovanni Paolo Il, in cui si fa riferimento ai martiri recenti, ritenuti «patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti». Nel corso del tempo le due tendenze hanno dato vita a due movimenti detti “Chiesa alta” (più conservatrice e “cattolica”) e “Chiesa bassa” (più filo-protestante).

In concreto e schematizzando, l’anglicanesimo accoglie gli elementi essenziali del protestantesimo sul piano teologico e dottrinale (rifiuto del Papato, giustificazione per fede, riduzione dei sacramenti all’eucaristia e al battesimo, sola Scriptura ecc.), mentre si mantiene molto vicino al cattolicesimo per quanto riguarda la liturgia (la messa anglicana è assai simile alla cattolica) nonché la struttura stessa della Chiesa (sostanzialmente gerarchica, strutturata in diocesi, con vescovi e arcivescovi). Quest’ultimo punto si spiega agevolmente tenendo presente che l’anglicanesimo si trova comunque d’accordo col cattolicesimo per quanto riguarda un importante punto, rifiutato invece, salvo qualche eccezione, da tutta la Riforma: viene conservato il principio della successione apostolica. Va peraltro precisato che vi è un altro punto ancora più importante sul quale la Riforma inglese ha deciso di conformarsi al Magistero cattolico, ossia la natura dell’eucaristia.

Il “risveglio” e i problemi di oggi

Tra Settecento e Ottocento entrambe le ali videro la nascita di un movimento “evangelical”, legato alla grande corrente del “risveglio”, il quale venne a sconvolgere un po’ tutto il protestantesimo mondiale nel segno di una spiritualità più viva rispetto a una religione percepita come troppo rigida e formale, prima, nonché di un movimento “trattariano”, poi, (da una serie di opuscoli detti Tracts for the time, pubblicati dal 1833), meglio conosciuto come “movimento di Oxford”, più marcatamente filo-cattolico. Tra gli esponenti di rilievo di quest’ultimo spiccano John Henry Newman, il quale aderì nel 1845 alla Chiesa cattolica e divenne cardinale, nonché Edward Bouvene Pusey (1800-1882), il quale creò un movimento “anglo-cattolico” all’interno della Chiesa anglicana, destinato ad acquistare notevole peso sul piano culturale e sociale.

Se oggi i confini tra “Chiesa alta” e “Chiesa bassa” sono assai meno chiari e netti rispetto al passato, tuttavia la spaccatura che si è delineata nell’ultimo ventennio all’interno della Chiesa a causa di questioni spinose quali l’ordinazione sacerdotale femminile e la “questione omosessuale” ha, per forza di cose, portato esponenti anglicani su posizioni sempre più vicine a Roma, giungendo in alcuni casi alla piena adesione al cattolicesimo. E’ quanto si è verificato, ad esempio, con quei pastori anglicani passati in massa alla Chiesa cattolica, diventati a pieno titolo sacerdoti cattolici e accolti a braccia aperte da Giovanni Paolo ll, benché molti di loro fossero coniugati e con prole.

La Chiesa anglicana ha definitivamente e ufficialmente detto “sì” al sacerdozio femminile, attraverso una pronuncia solenne del suo Sinodo, nel novembre 1992. Da parte della Chiesa anglicana sarebbe stato peraltro, obiettivamente, ben difficile persistere nel rifiuto del sacerdozio femminile, giacché al suo vertice, e nemmeno per la prima volta nella sua storia (si pensi alla regina Vittoria e alla già citata Elisabetta I), si trova una donna, la regina Elisabetta. Le prime ordinazioni risalgono al marzo 1994 e ciò ha complicato notevolmente quel processo di riavvicinamento ecumenico - il che costituisce un passo avanti notevole rispetto al “dialogo”- tra Chiesa di Roma e Chiesa anglicana. Una tappa fondamentale di tale cammino fu la visita ufficiale della regina Elisabetta Il a Roma nel 1960: lo storico incontro tra lei e papa Giovanni XXIII si svolse in un clima di euforia generale e fu seguito con grande partecipazione dall’opinione pubblica mondiale.

D’altra parte le donne erano già state ammesse al sacerdozio in altre Chiese anglicane: in Australia e Sud Africa (1992), negli Stati Uniti e in Nuova Zelanda (1976), in Canada (1975),a Hong Kong (già dal 1944). Infatti fanno capo alla Chiesa madre di Canterbury ventisette Chiese nazionali autonome, che costituiscono la Comunione anglicana e ogni dieci anni, a partire dal 1867, si riuniscono nelle Conferenze di Lambeth. Contrariamente a quanto accade in tanti altri Paesi del globo, dove gode di ottima salute ed è in continua crescita, la Chiesa anglicana soffre nel suo Paese d’origine di una certa crisi, che non si può ridurre ai pur ben noti problemi dell’ordinazione femminile e dell’omosessualità.

Di tale crisi è un sintomo evidente il passaggio alla Chiesa cattolica di vari personaggi pubblici, già profondamente legati a quella anglicana, quali il primo ministro Tony Blair e lady Frances Fermoy, madre della principessa Diana. Il problema principale consiste forse nello stretto legame tra Chiesa e potere politico che, come abbiamo visto, risale alle sue stesse origini: se la tensione tra dimensione temporale e sfera spirituale può forse considerarsi una spina nel fianco per vasti settori della cristianità, ivi comprese la Chiesa di Roma, tante confessioni nate dalla Riforma e l’Ortodossia, nel caso inglese la situazione si presenta particolarmente complessa. Infatti oltre Manica alla Chiesa è venuta a mancare quella “purificazione” dal potere che nel caso di Roma è derivata dalla fine del governo del “Papa-Re” e, in quello della Russia, dalla persecuzione e dai martiri inflitti dal comunismo.

Al di fuori della Gran Bretagna, la Chiesa anglicana più influente è quella degli Stati Uniti, riorganizzatasi nel 1783, dopo la Rivoluzione americana, con il nuovo nome di Chiesa protestante episcopale. Pure negli Stati Uniti le due vexatae quaestiones del sacerdozio femminile e dell’omosessualità hanno provocato negli anni vari scismi di stampo “tradizionalista”. La comunità episcopaliana occupa tuttora posizioni importanti nella cultura, nella politica e nell’economia degli Stati Uniti, al di là del numero non troppo alto dei suoi membri (circa due milioni e mezzo).

Una ricca tradizione di spiritualità

La Chiesa anglicana è da sempre vitalissima in ogni campo: come abbiamo accennato, sul piano teologico; sul fronte dell’ecumenismo (cui ha aderito con decisione sin dai suoi esordi e i rapporti con la Chiesa di Roma stanno tornando al livello eccellente di un tempo), a livello pastorale (il clero, severamente selezionato soprattutto per quanto riguarda le motivazioni, viene preparato attraverso un rigoroso iter di studi universitari nonché un impegnativo tirocinio mentre le iniziative per la formazione dei fedeli sono numerosissime), nel mondo della solidarietà e del volontariato (in particolare nei Paesi del Terzo Mondo) e sul piano propriamente spirituale. La Chiesa anglicana è infatti sempre stata assai ricca di spiritualità e si è sempre contraddistinta per la libertà che oggi come ieri lascia ai propri fedeli, privilegiando nettamente la via personale rispetto al dogma. Non a caso nel suo seno si è sviluppata sin dalle sue origini una mistica assai fiorente, agevolata sia dalla natura inglese, tendenzialmente riservata e portata alla riflessione -inglese è anche Giuliana di Norwich, una delle maggiori mistiche di tutti i tempi, vissuta molto prima della Riforma -, sia dal fatto che la Chiesa anglicana, grazie alla tradizione platonica conservata sin dal Rinascimento, possiede un terreno di accoglienza del tutto naturale, molto autentico e originale, per tutto quanto riguarda la contemplazione dei misteri cristiani.

Pensiamo soltanto al caso di Richard Hooker, considerato il teologo più rappresentativo dell’anglicanesimo: persino nella sua importante opera in cinque volumi, The Laws of Ecclesiastical Polity, teoricamente dedicata a tematiche non direttamente spirituali, è facile scoprire il soffio possente che anima tutta la teologia. avvicinandola ai confini della vita mistica. Mettendo in luce temi tanto cari alla spiritualità anglicana, approfondisce la preghiera la quale «accende nell’anima il desiderio di contemplare Dio» e apre la porta all’ascolto della parola divina. La preghiera, così collocata nel mistero della partecipazione del fedele a Cristo, diventa «offerta presentata dagli angeli davanti a Dio», nonché «affezione luminosa di gioia».

Una spiritualità così forte come quella anglicana non poteva restare indifferente alla grande riscoperta dei carismi portata nel secolo scorso in tutta la cristianità dalla corrente pentecostale, di cui le esperienze come il Rinnovamento nello Spirito Santo possono considerarsi l’espressione cattolica. Un po’ tutti i carismi - in particolare quello della guarigione -sono tenuti in grande considerazione da parte della Chiesa anglicana, nella quale si celebrano con grande frequenza messe di “guarigione e di liberazione.


CAPO DELLA CHIESA D’INGHILTERRA

Il sovrano del Regno Unito è il capo della Chiesa d’Inghilterra, non però della Comunione anglicana, sulla quale egli non ha invece alcuna autorità. Tale funzione è nel corso del tempo diventata sostanzialmente formale, tant’è vero che Elisabetta II - la quale ha compiuto ottant’anni e regna dal 1952 - non ha particolare voce in capitolo neppure sulla scelta dell’arcivescovo di Canterbury, nominato sì dalla sovrana ma scelto dal Primo ministro. L’arcivescovo di Canterbury, è primate di tutta l’Inghilterra, metropolita, leader della Comunione anglicana. nonché capo effettivo della Chiesa.

Tuttavia la forte personalità della sovrana, con l’innegabile carisma che ne consegue -prova ne siano l’affetto e l’ammirazione di cui Elisabetta Il gode, come può constatare chiunque conosca anche soltanto un poco il popolo inglese -hanno senz’altro contribuito, lungo l’intero arco del suo lunghissimo regno, a mantenere vivo nell’opinione pubblica il senso di appartenenza alla storia e alla tradizione anglicana. Anzi, è assai probabile che tale fattore abbia giocato un ruolo significativo nella tenuta della Chiesa di fronte alla crisi di cui si accenna nell’articolo.

Elisabetta non ha mai fatto mistero del proprio “filocattolicesimo”, palesato sia da rapporti di amicizia e di collaborazione significativa con esponenti di spicco della Chiesa cattolica - è il caso di Madre Teresa, la cui missione è sempre stata massicciamente sostenuta dalla famiglia reale inglese tutta, nonché di Giovanni Paolo Il, con il quale i rapporti furono sempre eccellenti - sia da gesti pubblici clamorosi, quali la storica visita ufficiale a Giovanni XXIII nel 1960, nonché l’invito, prontamente accolto, rivolto al primate cattolico Cormac Murhpy O’Connor, a predicare nel corso della funzione religiosa ufficiale tenutasi nel 2002, in occasione dei cinquant’anni di regno della sovrana.

Elisabetta Il, devotissima anche sul piano personale, ha in particolare incoraggiato l’impegno ecumenico, la formazione spirituale e la dimensione sociale da parte della Chiesa di cui è capo.

(da Vita Pastorale, Aprile 2006)

Letto 2071 volte Ultima modifica il Domenica, 25 Febbraio 2007 17:13
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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