Si era nel gennaio 2002. Questo incontro era stato organizzato dal Rabbino Michael Melchior, vice ministro israeliano degli Affari Esteri, in accordo con un comitato, istituito in Israele, incaricato di portare avanti questo dialogo. In seguito questo comitato ha quasi cessato di esistere.
La riunione del 30 maggio si è tenuta senza la partecipazione del ministro palestinese Talal Sidr e di molti altri protagonisti mussulmani, sostituiti da delegati di secondaria importanza, a seguito dell’assedio delle città palestinesi e per la reazione di alcuni rappresentanti dopo l’episodio tragico dell’assedio della Basilica della Natività a Betlemme. Alla riunione precedente, nel mese di marzo, i rappresentanti israeliani che si stavano recando a Betlemme, erano tornati indietro, dopo un attacco suicida nel pieno centro di Gerusalemme.
"Dobbiamo mantenere questo dialogo, ma senza nascondere la spaventosa realtà che ci circonda" afferma oggi uno dei consiglieri del Rabbino Melchior, mettendo nello stesso tempo tutti in guardia contro il carattere "minoritario" delle autorità morali presenti ai lavori: "La loro iniziativa è mal percepita dall’uomo della strada,e ciò vale sia per i Palestinesi che per noi."Lo storico e cronista Joseph Algazy sottolinea, da parte sua, che i dignitari religiosi di tutte le confessioni sono gli "ostaggi" delle autorità politiche. Gli uni come gli altri, spiega, sono stati destabilizzati dalla situazione presente.
Questo parere è condiviso da Jonathan Fuchs, un universitario israeliano, specialista di conflitti, il quale afferma che i leaders religiosi potranno svolgere un ruolo molto più importante solo dopo la firma di un accordo politico.
Nel frattempo c’è chi cerca comunque con ostinazione di proseguire nella strada del dialogo ebraico-mussulmano, e ciò con la consapevolezza dei rischi che ne derivano.
A Parigi, conosciuti per il loro impegno di lunga data nel dialogo interreligioso, soprattutto ebraico-cristiano, si sono rimboccate le maniche, senza farsi però troppe illusioni. Il loro credo è identico: "salviamo ciò che può essere salvato. Domani potrebbe essere troppo tardi."Uno di questi due uomini è Gilles Bernheim, un Gran Rabbino askenazita, ortodosso, ma impegnato a fondo, fin dall’inizio del 1980, nel promuovere l’incontro con i cristiani. "Dialogando con uomini e donne, ho imparato a conoscere il cristianesimo meglio che nei libri" afferma Bernheim. "Ho voluto conoscere l’Islam allo stesso modo. Nel Concistoro israelita di Parigi, in cui è stata costituita una commissione per il dialogo interreligioso, abbiamo deciso di rivolgere la nostra attenzione anche ai problemi dell’Islam. Il nostro scopo?Quello di incontrare dei mussulmani per neutralizzare la paura. O piuttosto la paura di aver paura, il che è ancora peggio. In luglio organizzeremo il nostro primo incontro conviviale ebraico-mussulmano.E risaputo che la tavola avvicina"…
Il secondo personaggio è un medico. Bernard Kanovitch, anche lui askenazita, ha avuto tra i suoi alunni Dalil Boubakeur, attuale rettore della moschea di Parigi. Il professor Kanovitch, da lungo tempo pilastro della commisione interreligiosa del Crif (Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche francesi) parte da una costatazione: "Il dialogo ebraico-cristiano è ormai in cammino malgrado i suoi alti e bassi, le sue impennate e i suoi rigurgiti anti-semiti in alcuni ambienti cristiani. Ma esso prosegue nonostante tutto grazie alla rete di relazioni che si è costituita. Per quel che riguarda l’ebraismo, questo dialogo è stato gratificante, ma ci ha, d’altro canto nascosto un abisso che si stava scavando sotto i nostri piedi: l’assenza di dialogo, addirittura di contatti con l’Islam". In seno al Crif, B.Kanovitch ha ottenuto, due anni fa, di poter creare una commissione islam-ebraismo di cui è presidente.
Come Gilles Bernheim al Concistoro di Parigi, il prof. Kanovitch gioca una carta importante, quella dei rapporti, cioè degli incontri con i mussulmani. Egli sa bene, non meno di Gilles Bernheim, che un pericolo è in agguato: quello cioè di limitare i contatti alle sole "persone di buona volontà", in poche parole, i vari Dalil Boubakeur, Soheib Bencheikh, Bettoul, Lambiotte, Malek Chebel ed altri interlocutori disposti a dialogare e abituati a farlo. Da qui i tentativi, a volte coronati di successo, di gettare i ponti con i protagonisti della nuova generazione, quella dell’"islam associativo" delle periferie.
"Il dialogo ebraico-mussulmano è facilitato dalla vicinanza tra le due religioni" sottolinea il rabbino Bernheim autore di un Trattato sull’islam ad uso degli ebrei (edito dal dipartimento Torah e Società del Concistorio di Parigi). "Abbiamo in comune l’esigenza della pratica religiosa, l’assenza di clero e di gerarchia: questo è già un primo passo per ricreare una convivialità che peraltro è già esistita, anche se in maniera fugace (meno di due secoli) e in un contesto molto particolare. L’intesa però resta fragile. Parliamo allora di ciò che ci unisce, lasciando da parte gli aspetti della storia e della politica che possono solo generare un rapporto malsano di violenza e di incomprensione."Questo è ciò che Elisabeth Schemla chiama "il dialogo interreligioso tra gente di buona volontà, preso come un fatto astratto,completamente scollato dalle realtà politiche e dalle circostanze storiche".
Questa giornalista ha creato da molto tempo un sito in Internet consacrato al Medio Oriente (www.proche-orient.info), nel quale raccoglie ogni giorno una quantità impressionante di informazioni, fornite in parte, da una rivista internazionale. Essa constata senza incertezze: "Anche questo dialogo segna un arresto, se non addirittura una regressione, a causa del contesto politico, che ha strumentalizzato la religione a fini politici, fin dall’inizio dell’anno, in Israele e nei territori, soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre negli Stati Uniti, e la scoperta della rete internazionale di al-Qaeda. E' evidente che da alcuni mesi, i responsabili religiosi mussulmani moderati, hanno difficoltà a far sentire la loro voce in mezzo a tutto quanto dichiara la jihad."Bernard Kanovitch va ancora più in là: "L’aspetto religioso, osserva, ha fagocitato l’aspetto politico, nel luglio 2000 a Camp David, negli Stati Uniti. Quel giorno, davanti ad un Bill Clinton divertito, perché credeva ad uno scherzo, Yasser Arafat ha negato l’esistenza storica del Tempio di Salomone a Gerusalemme. Tre mesi più tardi, cominciava la seconda intifada che prendeva il nome di intifada al-Aqsa, con riferimento alla moschea edificata sopra il Tempio. Come si può, alla luce di questo fatto dissociare l’aspetto religioso da quello politico?".Non per questo ci si deve arrendere: è, d’altra parte proprio in quel momento, che il Crif ha istituito la sua commissione islam-ebraismo. "In parecchi ci hanno detto che la cosa non potrà andare avanti. Non so se hanno torto o ragione. La questione si risolverà con un divorzio?Noi abbiamo comunque celebrato il fidanzamento e faremo in modo che la coppia si consolidi. I laici francesi rappresentano una delle nostre carte vincenti".