I discepoli divennero quello che noi tutti siamo chiamati a divenire: quello che Adamo era prima che il mondo fosse: un po’ di materia e un irraggiare e un folgorare dello Spirito.
Morire è necessario per risorgere, ma in questa morte non è la carne che muore. Niente è più immortale della carne, nulla più vincolante della carne.
Il termine dell'ascesa, scandito dalle Beatitudini, è il raggiungimento dello Spirito, della scintilla divina, del germe della seconda nascita, del punto di tangenza con l'assoluto...
Raggiungere la santità significa procedere attraverso l’intrico delle interiori e spesso sconosciute deformazioni personali. Lavoro faticoso, non conosciuto da altri che da Dio, lavoro di discesa nei propri personali inferi, perché l’Uomo vero risorga in ognuno.
La reintegrazione del proprio essere personale percorre tutte le zone della realtà umana: il corpo, le emozioni, la mente, lo spirito, e le percorre come energia unificatrice e redentrice.
Lo spirito del mondo ha, nella ricchezza, il suo più forte ausilio. Chi ha grandi ricchezze vede la virtù come un’esplicazione elegante, un raffinamento dell’esistenza, un’esaltazione del proprio prestigio.
Il nome gridato dal Buon Pastore risveglia l’io immortale di ciascuna, ne accende l’essenza e le apre la via, senza violentarla, verso l’ovile ove ciascuna sarà se stessa e, insieme alle altre, danzerà la gioia della ritrovata unità in Dio.
Il brano evangelico che narra l’adorazione dei magi fornisce ai credenti le indicazioni del passaggio dal particolarismo all’universalità, dalle divisioni settarie all’unione dei cuori e delle menti.
Il vicino Natale di Cristo ci ricorda la legge della incarnazione, che regola tutti i processi della storia salvifica: quando l'azione generatrice di Dio viene accolta da creature, nasce un uomo nuovo, un figlio di Dio.