In ricordo di P. Franco

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Giovedì, 30 Dicembre 2004 19:18

LE POVERTÀ GRIGIE:

LE POVERTÀ GRIGIE:

UNA REALTÀ CHE TOCCA SEMPRE PIÙ DA VICINO MOLTE FAMIGLIE

Basta poco: la cassa integrazione, ilpassaggio ad un lavoro atipico, la malattia grave di un familiare, ilfallimento del matrimonio, perché molte famiglie si trovino a rischiodi povertà.

L’attualità di questi mesi, segnata dalla crisiFIAT che ha interessato diverse zone d’Italia, ha occupato le primepagine dei giornali e ha visto coinvolte migliaia di famiglie, haportato in primo piano un argomento di cui si preferisce parlare pocoma che tocca molti da vicino: la precarietà del lavoro e, con questa,l’insorgere di nuove forme di povertà. A questo proposito è uscito, afine dello scorso anno, un libro che raccoglie i dati di una ricercadelle ACLI di Torino sulle vecchie e nuove povertà che interessano lacittà. Il libro, curato da Emanuele Rebuffini, che è autore anche di uncapitolo dal significativo titolo: "La maledizione di Ford", riportauna serie di interviste a figure significative della cultura e dellasolidarietà cittadina da cui abbiamo tratto alcuni spunti su un aspettoche ci è molto prossimo: la famiglia.

IL LAVORO CHE NON C’È PIÙ

"Stiamo assistendo al declino diquello che per decenni è stato il lavoro "normale", ovvero il lavoro atempo pieno e indeterminato. Oggi in Italia grosso modo troviamoquattro milioni di persone fuori dal lavoro normale" scrive LucianoGallino, sociologo. "Il lavoro decente non è destinato a scomparire, maa diventare un privilegio per pochi eletti, intorno al quale ruotano ilavoratori nomadi, precari e intermittenti. Temo che questa tendenzasia incontrastabile ma ciò non significa che non si debba cercare diintrodurre delle regole che riescano a temperare il fenomeno, affinchéatipicità non voglia dire solo precarietà e marginalità".

"Dire lavoro atipico è usare un termine improprio, perché queste forme di lavoro stanno diventando sempre più ‘tipiche’.

Troviamo lavoratori autonomi forti, ma soprattuttodeboli: gli interinali, la galassia della micro-consulenza, lecollaborazioni coordinate e continuative, le partite IVA" afferma dirimando Marco Revelli, politologo. "Sono situazioni caratterizzate daun’alta volatilità del rapporto di lavoro, da un alto grado disofferenza e quindi di indigenza: ma non nel senso del reddito o dellecondizioni di lavoro, ma come mancanza di garanzie e di prospettive".Queste persone fanno magari un lavoro gratificante ma vivononell’incubo di perderlo da un momento all’altro. Continua Revelli"Queste persone sono ‘tritate’ dal bisogno di essere sempre su piazza equindi non possono permettersi la malattia e, se sono donne, nonpossono permettersi la maternità. È questa la nuova indigenza: unatotale mancanza di sicurezza".

LE NUOVE FORME DI ESCLUSIONE

Le fasce di povertà su cui si hannomeno conoscenze sono quella della povertà relativa o "povertà grigia" equella a "rischio di povertà". "Nella maggior parte dei casi si trattadi singoli o di nuclei familiari che oggi vivono in una situazioneeconomica di sufficienza ma che possono passare ad uno stato diinsufficienza permanente a seguito di un solo episodio di emergenza"precisa Pierluigi Dovis, direttore della Caritas di Torino. "Sitrovano, tra gli altri, in questa fascia quei ‘colletti bianchi’ chehanno avuto per lunghi anni la sicurezza del posto lavorativo e che orasi trovano a fronteggiare la cassa integrazione, intaccando nel giro dipochissimi mesi il patrimonio acquisito negli anni. I soldi accumulatisono di solito finiti nell’acquisto della casa, quella in cui abitano eche non possono di certo vendere. Penso anche alle famiglie separate odivise che si trovano in situazioni difficili proprio a motivo dellamancanza di uno dei partner. I figli di queste famiglie possono contaresu un minor reddito rispetto al passato cui si sommano le difficoltàper entrare nel mondo del lavoro. Penso alle famiglie che si fannocarico di un anziano che diventa non autosufficiente. La carenza distrutture residenziali per anziani, l’insufficienza dell’assistenzadomiciliare, la necessità di farsi aiutare da badanti, rischiano di farentrare la famiglia non in una povertà estrema ma in uno stile di vitaradicalmente diverso".

PER UNA FLESSIBILITÀ SOSTENIBILE

"Parlare di povertà oggi significaparlare di lavoro e di cambiamenti nel mondo del lavoro" riprende LuigiBobba, presidente nazionale delle ACLI, "Per questo come associazioneabbiamo lanciato una petizione popolare per rendere sostenibile laflessibilità, per promuovere e tutelare i diritti dei lavoratori, anchequelli atipici. Contiamo così di fare pressione sul Parlamento affinchéadotti un nuovo Codice dei diritti del lavoro che preveda nuove formedi tutela e promozione legate alla centralità della persona umana,intesa non come uno dei tanti parametri in gioco ma come criteriochiave di ogni scelta, politica, economica e sociale".

"La povertà interpella la politica nel modo piùcompleto e per questo la lotta alla povertà deve essere condotta sulpiano delle politiche del lavoro, della famiglia, della scuola, dellaformazione, dell’edilizia, della sanità, del fisco, ecc." confermaEmanuele Rebuffini, curatore del libro, che conclude citando unoscritto di padre Ernesto Balducci: "Qual è l’unico tesoro dei poveri?La speranza che il mondo cambi. Ed essi lo sperano. E che cosa è unapolitica seria? La politica è l’organizzazione storica della speranza"

GRUPPI FAMIGLIA

marzo 2003

Giovedì, 30 Dicembre 2004 19:17

PARROCCHIA E CARITÀ

PARROCCHIA E CARITÀ

La carità non è solocura dei poveri, di chi è nel bisogno, è soprattutto l’elementocaratterizzante la vita del cristiano, in parrocchia, nel lavoro e, inprimo luogo, in famiglia.

Scrive mons. Angelini(1) : "Lacarità, nella vita del cristiano, non si riduce certo all’elemosina, maha almeno altre due caratteristiche, che identificano la caritàcristiana su modello di quella di Cristo: il perdono del nemico e ilservizio a favore del fratello". Continua ancora l’autore: "Lamia pur recente esperienza di parroco mi ha consentito di toccare conmano quanto poco incoraggiante sia, per gran parte della gente,l’immagine di coloro che sono gli ‘animatori’ più assidui della vitaparrocchiale. Appena si accorgono che sei un prete non proprio‘clericale’ accade che ti confessino in fretta: ‘Sa, in Chiesa io nonvado; ma la compagnia che lì si trova è così poco incoraggiante, che vaa finire che uno trascuri anche la Chiesa’".

Carissimi: e se fossimo noi questi animatori che,come la folla che sgrida il cieco Bartimeo perché disturba Gesù (Mc10,48), impediamo alla gente di incontrare Cristo? È facile farel’elemosina, è molto più difficile servire il fratello e praticare ilperdono.

Ne abbiamo fatto esperienza come coppia e comefamiglia nelle scorse feste di Natale. Di là dalla melassa con cuiqueste feste di fede vengono rivestite dalla società dei consumi, pertutti noi questi momenti sono stati occasioni per ritrovarsi con iparenti, per avere più tempo come coppia, come genitori.

Pensiamo che queste occasioni siano state per moltianche momenti di sofferenza: di là del ricordo di persone care che nonci sono più, sono venuti al pettine tanti nodi irrisolti nei rapportiinterparentali: tra fratelli e sorelle, generi e cognate, suocere enuore e che si sono tradotti sovente in inviti mancati, in pranzisilenziosi, in qualche scatto di nervi di troppo. Come coppia siamostati capaci di regalarci qualcosa di bello, non il solito più o menoprezioso dono, ma una frase tipo: "Come farei senza di te?", "ti vogliobene"? E ancora: ci siamo limitati a riempire i nostri figli di doni,presto accantonati, oppure giocando con loro abbiamo preso l’impegno dilavorare un po’ di meno e di occuparci un po’ più di loro, di smetterladi delegare e cominciare a ‘servire’?

Se, come diciamo, la famiglia è piccola chiesa e laparrocchia deve diventare famiglia di famiglie sappiamo doveincominciare per rendere la nostra comunità parrocchiale una comunitàcredente e accogliente.

Noris e Franco Rosada

(Gruppi famiglia n° 42 - marzo 2003)

(1) G. Angelini, Parrocchia e carità, La rivista

del clero italiano, LXXVIII (1997), 2, pag. 85-

102. Mons. Giuseppe Angelini è Preside della

Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale, Milano.

Giovedì, 30 Dicembre 2004 19:16

VIVERE NEL MONDO E NON ESSERE DEL MONDO

VIVERE NEL MONDO E NON ESSERE DEL MONDO

I Gruppi famiglia rappresentano un aspetto importante delle realtà di vita parrocchiale e comunitaria in generale

Per cogliere spunti di riflessione e confronto siritiene utile segnalare, fra i tanti, un documento curato dalCoordinamento Nazionale Gruppi Famiglia in occasione del "GIUBILEO2000" dal titolo "VIVERE NEL MONDO E NON ESSERE DEL MONDO" di cuipubblichiamo di seguito la presentazione. Il dossier è reperibile escaricabile in formato pdf direttamente dal sito di GRUPPI FAMIGLIA all'indirizzo http://digilander.libero.it/formazionefamiglia/

PRESENTAZIONE

Guardando, e preparandoci, alGiubileo ormai imminente le nostre riflessioni si sono indirizzateverso una tematica che certamente ci coinvolge tutti, come persone ecome famiglie.

Il titolo del fascicolo che offriamo quest'anno come sussidio per gli incontri dei Gruppi Famiglia è: "Vivere nel mondo, e non essere del mondo".

Come già nel sussidio precedente ("FEDE, donodi Dio e forza dell'uomo") si procede partendo da un annuncio legatoalla Parola di Dio cui seguono citazioni di brani utili per la LectioDivina e domande per la riflessione individuale, di coppia e di gruppo(Revisione di Vita).

Le tracce per i primi tre incontriservono a focalizzare il tema e prendono spunto da due versetti dellalettera di S. Paolo ai Romani: " Vi esorto dunque, fratelli, per lamisericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente,santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Nonconformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevirinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciòche è buono, a lui gradito e perfetto" (Rm 12,1-2).

I tre successivi trattano delle attese dell'uomo, seguendo quanto ci suggerisce il brano di Matteo 24,38-39: "Comefu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti,come nei giorni che precedettero il diluvio... non si accorsero dinulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche allavenuta del Figlio dell'uomo".

Gli ultimi incontri approfondiscono la vocazione dell'uomo alla felicità, a partire dalle Beatitudini (Mt 5,1-12).

Torino, dicembre 1999

Anna e Guido Lazzarini

PARROCCHIA E FAMIGLIA: DAL DIALOGO ALLA CORRESPONSABILITA‘

Una proposta per affrontare la pastorale familiare eparrocchiale in un ottica nuova, che consideri la famiglia comesoggetto e non più come oggetto di pastorale.

La riflessione che presentiamo è una breve sintesi di undocumento di mons. Renzo Bonetti, pubblicato l’anno scorso alla vigiliadel convegno di Cagliari su: "Progettare la pastorale con la famigliain parrocchia".

Il tema in esame sembra, a una prima lettura,orientato a fornire dei suggerimenti per l’interazione tra la pastoralefamiliare e quella parrocchiale; non è questo il mio obiettivo:rischierei di proporvi qualche buon consiglio di carattereorganizzativo e di valore limitato, oltreché di grande debolezza.Infatti, da una parte, la pastorale parrocchiale ha una tradizioneconsolidata, con la figura del sacerdote al centro, mentre la pastoralefamiliare ha fatto i primi passi negli anni ’70 quando sono iniziati iprimi segni di difficoltà per la famiglia (referendum sul divorzio elegge sull’aborto). In questi trent’anni abbiamo al nostro attivo icorsi di preparazione al matrimonio, qualche iniziativa per le giovanicoppie, i gruppi sposi e poco altro ancora.

In compenso sono state prodotte, da parte delmagistero, una valanga di indicazioni pastorali che, molto spesso, sonorestate lettera morta. Ci troviamo di fronte ad una pastorale familiareche vede la famiglia oggetto passivo e non pensata come soggetto:perché non è preparata, perché le coppie disponibili sono poche, ecc. Eciò è normale in un contesto ecclesiale che concepisce solo duesoggetti per la pastorale: il parroco e i fedeli, il parroco e gruppidi vario genere. Non che la famiglia sia ignorata, ma viene consideratasolo a livello di singoli membri e non in virtù della propria identità.

LA SITUAZIONE OGGI

Storicamente la famiglia è sempre stata unastruttura molto forte ed influente, che ha retto ai passaggi piùcritici della storia. Così la pastorale, dando giustamente per scontataquesta soggettività forte, si è articolata per fasce d’età collocandosiaccanto alla famiglia. Ma negli ultimi decenni la situazione èradicalmente cambiata: la famiglia non è più così ma, nella maggiorparte dei casi, abbiamo ignorato la sua crescente debolezza.

Quindi, tornando al tema in esame, la domanda piùprofonda che ci poniamo è: perché ci deve essere interazione tra le duepastorali? Quale è l’obiettivo finale? Dietro le due pastorali vi sonodue soggetti: i presbiteri e gli sposi. Ma non si tratta di costruirerelazioni tra sacerdoti e sposati perché, per grazia di Dio, non cimancano esempi di legami profondi tra essi; si tratta di aprirsi ad unanuova progettazione della pastorale che veda interagire sacerdoti esposi in virtù del dono che scaturisce dalla loro rispettiva identitàsacramentale.

E’ questo il punto: riscoprire, ridare dignità alsacramento del matrimonio e rendere gli sposi e presbiteri consapevolidel ruolo del ministero matrimoniale nella chiesa.

I DETTATI DEL MAGISTERO

Per una serie di motivi storici e culturali, maanche ecclesiali, si è sviluppata una produzione teologica e pastoraleabbondantissima riguardo al ministero ordinato, molto meno per quantoriguarda il matrimonio e il rapporto tra i due ministeri. Possiamo direche entrambi hanno la comune vocazione battesimale e una direttafinalità di costruzione e dilatazione del popolo di Dio; proprio perquesto vengono chiamati sacramenti sociali.

Il sacramento dell’ordine è conferito ad una solapersona per il servizio, il sacramento del matrimonio per il servizio èdato ad una "unità" di persone: è la "relazione" che diventasacramento. Come il sacerdote esprime sacramentalmente la presenza diCristo sposo della Chiesa, così il matrimonio si colloca come luce cheillumina il mistero nuziale di Cristo e della Chiesa. Entrambiesprimono il mistero nuziale di Cristo, che affonda la sua origine nelmistero stesso della Trinità, comunione di Amore tra Persone.

LA PRASSI PASTORALE

Senza voler sminuire la diversità essenziale cheesiste tra i due sacramenti e il ruolo completamente diverso che hannonella chiesa e nella società, a livello pastorale sappiamo bene quantodiversi sono i percorsi di formazione di coloro che sono chiamati alministero consacrato e di coloro che sono chiamati al matrimonio.L’obiettivo, nella preparazione di un futuro sacerdote, è quello diformare un soggetto attivo nella Chiesa per il mondo, in grado ditestimoniare il "mistero di Cristo" che è in lui. Questo non dovrebbevalere, fatte le debite proporzioni, anche per i futuri sposi? Invece i"corsi" di preparazione al matrimonio hanno obiettivi ben più modesti:creare un minimo di consapevolezza che quello che si sta per ricevere èun sacramento della fede, riconciliare e riavvicinare alla Chiesa,ricordare le norme morali a cui sono tenuti gli sposi.

Sono tutti obiettivi che stanno sotto la sogliadella verità del matrimonio sacramento. Analogo discorso vale perquanto riguarda la formazione permanente: attenta e assidua neiconfronti del presbitero, per aiutarlo fin dai primi anni a tenere vivala sua dimensione sacramentale; praticamente assente nei confrontidegli sposi, per i quali l’aspetto sacramentale si riduce al solo datonaturale del volersi bene quel tanto che basta per restare insieme.

VERSO LA COMPLEMENTARIETÀ'

Complementarietà non vuol dire che ciascuno dei duesacramenti è incompleto senza la presenza dell’altro ma che sonocomplementari per il fine che entrambi si propongono: doni essenziali epermanenti per la costruzione del Regno. "Insieme al sacramentodell’ordine il matrimonio è costante punto di riferimento per la vitadella comunità cristiana". Ma come si realizza questo "insieme"? Comeil ruolo specifico del presbitero si articola su tre punti: ilministero della Parola, quello dei sacramenti e dell’Eucarestia, quellodell’edificazione della Chiesa (Presbiterorum Ordinis, 4.5.6), così lafamiglia cristiana è chiamata a essere: comunità credente edevangelizzante, in dialogo con Dio, a servizio dell’uomo (FamiliarisConsortio, 50).

Una lettura in parallelo di queste tre funzioninell’ordine e nel matrimonio potrà mettere in evidenza come famiglia esacerdote possono far crescere l’autentica comunità cristiana che vivein un territorio.

UNA PASTORALE "CON" LA FAMIGLIA

La prospettiva pastorale che abbiamo sopra descrittopassa dalla conversione. Va quindi ripensata la relazione tra verginitàe matrimonio per riscoprire che in ciascuna delle due forme di vita sicompie il disegno di Dio. Va promosso un approfondimento teologicodella relazione tra i due sacramenti in vista della missione. Questoconsentirà di affrontare meglio alla radice la motivazione sottesa alla"corresponsabilità" dei due sacramenti per il Regno. Senza questocontributo rischiamo di ridurre la relazione ad un "coordinamento"pastorale. Va promossa l’acquisizione di una dimensione sponsale nellaspiritualità dei presbiteri in modo che i sacerdoti possano vedere conpiù facilità nel sacramento del matrimonio una forma elettiva delmistero nuziale che eucaristicamente essi celebrano e guardare allarealtà della coppia/famiglia come al modello per una ecclesialitàrelazionale e viva.

Una proposta concreta è quella di differenziare ipercorsi di preparazione al matrimonio, cominciando ad offrire, almenoa qualche coppia disponibile, "tutto" del sacramento e mettendola poinelle condizioni reali per poterlo vivere con un accompagnamento ed unaspiritualità specifica. Non si può infatti ipotizzare di promuovere lasoggettività del sacramento del matrimonio se poi non vi è unaformazione adeguata.

Si può progettare la pastorale prescindendo dalla famiglia o parlando solo genericamente di laici?

UN "SEGNO" PER LA SOCIETA’ ATTUALE

"Un tempo vi era un unico modello di nucleofamiliare, ora le famiglie sono molte: oltre a quelle tradizionali, visono quelle formate da un solo genitore, separate, risposate, adottive,affidatarie… I bambini, che sono i primi a cogliere i mutamenti,l’hanno ormai capito: il matrimonio o la convivenza dei loro genitorinon sono necessariamente eterni…"

(da "Vado a scuola" edito dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento degli Affari Sociali, 2000).

Questo testo evidenzia, con drammaticità, quanto ilmatrimonio e la famiglia cristiana sono in questo momento storico il"buon annuncio" che viene offerto per "salvare" l’uomo e la donna nellaloro identità e relazione.

don Renzo Bonetti

"GRUPPI FAMIGLIA" n° 4 / dicembre 2002

Giovedì, 30 Dicembre 2004 19:10

CONSIGLI PASTORALI E AFFINI: SONO "SOLO" CONSULTIVI?

CONSIGLI PASTORALI E AFFINI: SONO "SOLO" CONSULTIVI?

intervista a don Lucio Casto, direttore dell’ISSR di Torino

Il ruolo dei laici nellenostre comunità è nella maggior parte dei casi quello di essere"oggetto" della pastorale. Ma anche coloro che si impegnanoconcretamente, nelle varie attività parrocchiali sono effettivamente"soggetti", o solo esecutori della pastorale definita dal sacerdote?

 

Uno dei modi concreti con cui i laici sono presenticome "soggetto" nella Chiesa sono i consigli pastorali. Ma coloro chevi partecipano sovente hanno l’impressione che gl’incontri servano apoco, siano spesso solo momenti d’incontro e di scambi d’opinione, conscarsa incidenza operativa. Abbiamo rivolto, su questo e altriargomenti, alcune domande a don Lucio Casto, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Torino.

 

Qual è la sua opinione sui consigli pastorali?

A mio parere c’è un vizio di fondo inquesto genere di assemblee e questo rende fin troppo palese quella cheè anche la mentalità prevalente nella Chiesa. "I Consigli pastoralisono solo organi consultivi": quest’affermazione è una delle piùribadite e più gelosamente difese, di conseguenza i parroci o ilVescovo ne adottano spesso le conclusioni con largo margine didiscrezionalità e così si pongono le premesse per ridurre di molto ilvalore di questi organismi.

 

Più in generale qual è, secondo Lei, il ruolo dei laici nella Chiesa?

La mia impressione è che a tutt’oggiquando abbiamo parrocchie efficienti e con numerosi laici, e ciò stadiventando ogni giorno di più una prospettiva e una speranza, questolaicato continua ad essere voluto e coinvolto così come si coinvolgonoi minorenni. Quanti sono a credere fino in fondo che lo Spirito Santonon è stato dato solo ai pastori e che il vero soggetto-protagonistadell’azione pastorale è la comunità cristiana tutta, con il presbiteroe il vescovo che hanno in essa un compito autorevole di discernimento?

 

Ma allora quale dovrebbe essere, rispettivamente, il ruolo del sacerdote e dei laici?

Non voglio assolutamente mettere indiscussione il ruolo specifico affidato ai pastori della Chiesa. Voglioperò ricordare che nella vita delle Chiese raccontateci dagli Attidegli Apostoli, pur essendoci già chiaramente il ruolo insostituibiledell’apostolo, degli episcopi e dei presbiteri, non contava solo ilparere di chi presiedeva nella comunità. A me sembra che una buonaecclesiologia dovrebbe almeno correggere notevolmente una impostazione,che vede i laici come eterni minorenni, sempre bisognosi della tutelapastorale dei sacerdoti.

 

Da dove deriva la dignità ministeriale dei laici?

Tutto il popolo di Dio è Popolo regale esacerdotale ed è di qui che bisogna partire per individuare un piùesatto rapporto tra clero e laici. Bisogna invece assolutamenteabbandonare una visione piramidale della Chiesa con al vertice lagerarchia in posizione di comando, come va abbandonata un’altraedizione più recente, per cui si parlava di "Chiesa docente" e di"Chiesa discente". Il Vaticano II, ritornando a parlare di sacerdozioregale dei fedeli sulla base del Nuovo Testamento, non ha certo volutoproporre un tipo di Chiesa "dal basso" che non riconosce il ruolodeterminante dei ministri ordinati, quale abbiamo ad esempioall’interno del Protestantesimo. Ma ha voluto ridire che il ministeroordinato è un servizio da rendere al sacerdozio regale dei fedeli, nonun dominio sacrale su di esso, quale eserciterebbe una castasacerdotale.

 

Ma i sacerdoti a loro volta si lamentano dei laici, o perché assenti o perché poco preparati…

Non sono rari i casi in cui il sacerdotesi deve confrontare con una comunità cristiana ancora immatura o con unlaicato non ancora educato ad assumersi le sue responsabilità. E’chiaro che in questo caso il presbitero deve fare un’azione disupplenza. Ma l’obiettivo non può esser quello di rimanere "padre-padrone" in mezzo a una comunità di minorenni, esecutori più o menoobbedienti delle direttive del parroco o del Vescovo.

 

Questo vale certo per i sacerdoti formati prima del Concilio, ma ora la situazione non dovrebbe essere migliorata?

Purtroppo la mentalità paternalistica nonè solo un attributo dei preti delle generazioni passate, è già prontaper i giovani (e i meno giovani) la nuova edizione dello stesso viziodi fondo, ed è la mentalità manageriale: lì di nuovo siamo alle presecon un paternalismo illuminato che sa utilizzare i mezzi moderni dellaefficienza organizzativa: ma il modello di Chiesa degli Atti degliApostoli rimane lontano ed ampiamente disatteso.

 

Quali sono le prospettive di crescita per la Chiesa che è in Torino e per il laicato?

Certamente la grande stagione pastoraleche si è aperta per la Chiesa torinese con la Missione diocesana e conil varo delle unità pastorali sarà un momento propizio per continuare emigliorare questa riflessione. Anche le iniziative da tempo in corsoper rendere sempre più maggiorenne il laicato, quali i corsi per glioperatori pastorali e, ora, anche l’indirizzo pastorale all’IstitutoSuperiore di Scienze Religiose, sono uno strumento provvidenziale perringiovanire la nostra diocesi: soprattutto per renderla adulta intutte le sue membra.

don Lucio Casto

(su Gruppi Famiglia n° 41 / dicembre 2002)

Giovedì, 30 Dicembre 2004 19:09

Dal Welfare State alla Welfare Community

Dallo Stato sociale alla comunità solidale: è questo il modello di politica sociale da perseguire. In quest’ottica si inserisce il Progetto Mentore.

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:36

Claudio e Margherita (Prof. Maurizio Andolfi)

 
Claudio e Margherita 11.01.02
Siamo Claudio e Margherita, sposati da … tempo, dei nostri due figli Alberto è andato a vivere da solo, Elisabetta si è sposata ed ha la sua famiglia. Tutto questo è avvenuto da poco tempo ed ora abbiamo l’impressione che questa nuova realtà stia toccando l’equilibrio della nostra coppia. Come affrontare questo nuovo momento?
Siamo Claudio e Margherita, sposati da … tempo, dei nostri due figli Alberto è andato a vivere da solo, Elisabetta si è sposata ed ha la sua famiglia. Tutto questo è avvenuto da poco tempo ed ora abbiamo l’impressione che questa nuova realtà stia toccando l’equilibrio della nostra coppia. Come affrontare questo nuovo momento?

La situazione presentata da Claudio e Margherita è molto frequente e spesso viene chiamata "sindrome del nido vuoto", per indicare l’uscita dei figli dalla casa dei genitori.

Indubbiamente se una coppia deve modificare profondamente il proprio legame affettivo per dare uno spazio all’arrivo di un figlio, è altrettanto vero che a distanza di molti anni, quando i figli, adolescenti o giovani adulti, escono di casa, deve essere capace di ritrovare un’intimità a due e una rinnovata curiosità nel coltivare il rapporto con l’altro per molti anni "condizionate" dalle esigenze e dai bisogni di cura e di accudimento nei confronti dei figli.

Quindi, i figli rappresentano un indicatore assai potente delle capacità di mantenere un’intesa a livello profondo dei due coniugi. Non è infrequente che crisi e conflitti di coppia possano insorgere e svilupparsi in entrambe queste fasi evolutive.

In particolare è necessario che Claudio e Margherita accettino di perdere la continuità di un rapporto affettivo sia con Alberto che con Elisabetta. L’arte di un genitore è di saper essere presente con i figli al momento opportuno e di sapersi separare da questi quando è necessario.

Inoltre sia Alberto che Elisabetta si sentiranno più forti e avranno la sensazione di aver avuto il "permesso" dai propri genitori nel distaccarsi da casa e nell’iniziare il proprio percorso da adulti, sia sperimentandosi in una vita da soli che con l’arrivo di una nuova famiglia.

Una coppia ormai matura può gioire anche dei risultati educativi e affettivi conseguiti, liberando i propri figli da vincoli di dipendenza.

Nello steso tempo se conoscersi nella prima fase del matrimonio è una parte importante nella costruzione dell’intimità di una coppia, è ancor più vero che ritrovarsi da soli in due può rappresentare un momento assai importante di trasformazione, sia sul piano individuale che su quello duale. E’ un po’ come andare a raccogliere insieme i frutti di ciò che si è seminato.

Se poi dovessero emergere delle difficoltà o delle incomprensioni nel ritrovarsi in due, sarà molto utile utilizzare le risorse disponibili nel proprio contesto sociale: sistema di amici, colleghi di lavoro, attività parrocchiali o altri interessi che facilitino la ripresa di un entusiasmo non più proiettato nella vita dei figli, ma più centrato sulla propria.

Nel caso in cui queste difficoltà dovessero accentuarsi, perché non ricorrere ad una terapia familiare, così da trovare un terzo competente neutrale in grado di riindirizzare le energie e le risorse di una coppia?
 
 

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:35

IL CASO DI MARIO (Prof. Maurizio Andolfi)

IL CASO DI MARIO

Sono, Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.

Mario, un uomo sposato e ritengo di non essere un maschilista. Guardandomi intorno riconosco che le donne sono state e sono protagoniste della propria emancipazione ma noto anche, nelle figure maschili, un diffuso smarrimento, come se non trovassero più il loro ruolo.

La situazione di Mario è assai emblematica nella nostra società moderna. Negli ultimi vent’anni, sicuramente, il ruolo della donna si è trasformato alla radice. La donna ha conquistato uno spazio sempre più autorevole e distinto in ambito lavorativo e comunque in generale nelle attività extradomestiche, ma, soprattutto, ha acquistato una maggiore coscienza di sé come persona autonoma e non più come "la dolce metà" del marito.
E’ fuor di dubbio che, nel momento in cui è venuta ad occupare spazi maggiori nel mondo esterno, è cambiato anche il suo ruolo all’interno della famiglia. Un prezzo assai alto pagato dalla donna è sicuramente l’impossibilità o la maggiore difficoltà ad avere più di due figli (sebbene la media nazionale sia decisamente inferiore di questo numero) e ad accudirli per il tempo che vorrebbe.

Non c’è dubbio che l’uomo, un po’ costretto dalla situazione, un po’ per sua scelta, sia cambiato, in particolare rispetto al diventare una figura significativa per i figli, anche piccoli, attraverso il gioco, la tenerezza e una sua maggiore presenza. Non altrettanta sicurezza e disinvoltura ha acquisito nei confronti delle mogli maggiormente emancipate e più autonome ed è questo che, probabilmente, ha prodotto questo diffuso senso di smarrimento negli uomini di cui Mario parla.

Se è vero che da molto tempo è obsoleta la metafora di chi "porta i pantaloni" in casa, ma non è ancora chiaro come si possano condividere le vicende familiari e i ruoli professionali in modo armonico. Se l’uomo oggi si sente il "sesso debole", si produrranno nelle famiglia le stesse incertezze che avevano i figli quando tale prerogativa era della parte femminile; con l’aggravante che la società non sembra sostenere con empatia uomini che si presentano, oggi, inspiegabilmente deboli. La soluzione non è facile e non è generalizzabile, ma la condivisione dovrebbe nascere dal sentimento reciproco di rispetto e di accettazione dei bisogni l’uno dell’altra.

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:34

Sulle famiglie ricostituite (Prof. Maurizio Andolfi)

 

Sulle famiglie ricostituite

Nella società odierna si assiste a un crescente numero di rotture familiari sia in una fase precocissima di costituzione della coppia (tra il primo e il terzo anno di matrimonio), che in una successiva (dopo il quindicesimo anno).

Questo fenomeno di disgregazione familiare si può spiegare da un punto di vista evolutivo. Purtroppo la nascita di un figlio non è sempre un elemento di unione coniugale, soprattutto laddove i due coniugi sono totalmente impreparati ad assumersi la responsabilità di una famiglia o immaturi sul piano della propria crescita personale.

Fenomeno altrettanto critico è "l’uscita di casa" dei figli o quantomeno la condizione di convivenza con figli adolescenti. In questa situazione evolutiva la coppia deve fare di nuovo i conti con se stessa e con la propria capacità di trasformarsi e ritrovare un interesse autentico di coppia senza più terzi da accudire.

Le famiglie ricostituite si fondano proprio sullo scioglimento del nucleo familiare originario, in particolar modo in queste due situazioni; prevalentemente si tratta di madri giovani con figli piccoli, che si legano a un nuovo compagno oppure di famiglie più complesse con la presenza in casa di adolescenti provenienti dal precedente matrimonio di uno o dell’altra o di entrambi.

Spesso vengono richiesti interventi di psicoterapia per i problemi insorti in un figlio; generalmente lo spunto può essere un disturbo psicosomatico, comportamentale o scolastico di un bambino piccolo nel primo caso, mentre nel secondo si può trattare di un problema più serio e strutturato in un adolescente (ad esempio, comportamento violento a casa o a scuola, uso di droga, dipendenze alimentari, ecc.).

Sarà compito del terapeuta aiutare le famiglie ricostituite a ritrovare il "bandolo della matassa", ovverosia comprendere e lavorare attivamente su tensioni familiari attuali, su quelle che possono invece scaturire da separazioni coniugali precedenti non sufficientemente concluse, sulle difficoltà che possono insorgere tra le famiglie d’origine o tra i figli dell’uno o dell’altro coniuge.

Se si affronta il problema familiare a monte sarà più facile risolvere le difficoltà presentate da un figlio.

Chi ha esperienze di lavoro terapeutico con famiglie ricostituite sa bene quanto i sintomi di un bambino o di un adolescente riflettano le difficoltà della coppia di nuova costituzione, spesso confuse o sovraccaricate dalle vicende coniugali precedenti e dal modo in cui ci si è riusciti a separare.

Maurizio Andolfi

Giovedì, 18 Novembre 2004 14:33

TERESA E L'ARTE DEL DIALOGO (Prof. Maurizio Andolfi)

TERESA E L'ARTE DEL DIALOGO

"Sono madre di famiglia e nonna, ciò che scrivo è condiviso anche da mio marito.

Abbiamo avuto tre figli, una femmina e due maschi.

Sono tutti sposati ed hanno dei bambini.

Non credo nelle situazioni ideali ma credo nelle situazioni vivibili e perciò abbastanza soddisfacenti.

Nel caso di queste tre coppie nutro delle perplessità, non mi sembra che sappiano comunicare, non credo che parlino mai "per sentimenti", indubbiamente non si riservano degli spazi per loro-coppia.

Sono pessimista? Realista?

Esiste l’arte del dialogo? La si può apprendere? "

Teresa G.

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Uno dei problemi più difficili per la generazione di adulti maturi (genitori o nonni) è quella di accettare che il costruirsi e l’evolversi delle nuove coppie (quelle dei figli) parta dai presupposti affettivi, organizzativi e sociali assai differenti.

Noi adulti maturi siamo cresciuti nell’ideale che parlare dei sentimenti sia un modo per conoscersi e per approfondire un rapporto di intimità. Oggi si parla molto di meno, ma si riescono a comunicare sentimenti e sensazioni attraverso canali indiretti: attraverso le cose, programmi concreti, internet, ecc. Molte persone hanno più facilità a farsi conoscere senza guardarsi negli occhi o tenersi per mano, come invece è accaduto per molti di noi delle generazioni precedenti.

Il dialogo non esisteva poi tanto neppure nelle famiglie cosiddette "più unite", che spesso, lo erano più per mostrare una bella facciata che nella realtà.

Il dialogo con i figli, poi, esisteva pochissimo ed era spesso sostituito da una serie di regole e di "consigli di vita" da dare ai figli, così da farli crescere sani e ben protetti.

Oggi tutto ciò è saltato e quindi il dialogo, se deve realizzarsi, deve partire da situazioni di ascolto reciproco, in cui non solo gli adulti chiedono ai figli e i figli devono parlare di sé con i genitori, ma, ad esempio, anche i genitori possono far conoscere ai figli le loro debolezze, idiosincrasie, ambivalenze, ecc., cose su cui si preferisce tenere il più ampio riserbo, anziché vedere tutto ciò come una forma di scambio affettivo.

Il dialogo è quindi senz’altro l’arte di incontrarsi in un territorio intermedio, dove si apprende gli uni dagli altri.

Prof. Maurizio Andolfi

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