1) Il lavoro è essenziale per la vita
Nel sermone De diversis 55, Bernardo si occupa del lavoro quale mezzo di sostentamento e della dignità che conferisce, allo stesso tempo, all’uomo. Nella Lettera 1 sottolinea come la salute corporale è favorita da un lavoro disciplinato, e infine, sul lavoro, quale premessa alla liberalità verso gli indigenti, si occupa nel terzo sermone sul salmo Qui habitat.
a) Il lavoro elargisce dignità
Bernardo menziona la buona fama che si acquista l’uomo lavoratore nel sermone De diversis 55, in cui ci pone davanti agli occhi il lavoro sotto il simbolo della quinta «brocca della purificazione».
«C’è qualcuno in grado di valutare correttamente quanta lode meriti, e quanta grazia contenga, il vivere del proprio lavoro senza dipendere in niente da nessuno? Ma perché nessuno pensi che faccio questa affermazione più per desiderio di bello stile che per amore alla verità, si ascolti colui che nella verità è il nostro maestro, l’apostolo Paolo, che scrivendo ai Tessalonicesi dà loro questi insegnamenti e questi precetti: “Vi esortiamo, fratelli, a fare ancora dei progressi, e farvi un punto di onore di vivere in pace; e che attendiate alle cose vostre e a lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, al fine di condurre una vita decorosa di fronte agli estranei, e per non aver bisogno di nessuno” (1 Ts 4,10-12). E lo si ascolti quando dice come praticava quello che insegnava. “Voi in fatti sapete - dice - come dobbiate imitarci: poiché noi non abbiamo vissuto oziosa- mente fra voi nè abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato con fatica e sforzo notte e giorno per non essere di peso a nessuno di voi” (2Ts 3,7-8). Allo stesso modo lo si ascolti quando insegna quello che pratica: “Quando eravamo tra voi, vi demmo questa regola: chi non vuoi lavorare neppure mangi. Quelli che non lavorano li esortiamo nel Signore Gesù Cristo perché mangino il proprio pane lavorando in pace”. Vedi con quanto zelo il Dottore delle genti comanda di praticare il lavoro manuale? Perché mai avrebbe dovuto preoccuparsene tanto se non perché, da pastore buono e diligente, ha visto che esso avrebbe giovato molto la salvezza del suo gregge?» (1).
b) Il lavoro rinforza la salute
In una lettera indirizzata a Roberto di Chàtillon, che nel 1125 passò da Clairvaux a Cluny, Bernardo si esprime sull’effetto salutare del lavoro manuale in uso nell’Ordine Cistercense.
«Alzati, vestiti, scaccia il torpore, tira fuori la forza che hai in corpo, muovi le braccia, fa’ schioccare le mani, dedicati a qualche esercizio, e ti accorgerai subito di desiderare solo ciò che può calmare la fame, non ciò che accarezzi la gola. È l’esercizio a ridare sapore alle cose a cui l’ha tolto l’inerzia. Molti cibi che, quando stai in ozio, ti disgustano, li addenterai con piacere quando avrai faticato, perché l’ozio genera la nausea, e l’esercizio provoca la fame; e la fame a sua volta rende miracolosamente dolci i cibi che la nausea respinge come insipidi. I legumi, le fave, la polenta, il pane grossolano con l’acqua a chi sta senza far niente destano ripugnanza, ma sono una delizia per chi s’è dato da fare» (2).
c) Il lavoro permette liberalità
L’impegno di lavorare non solo per il proprio sostentamento, ma anche per aiutare le persone bisognose è uno dei principi più antichi del monachesimo. È strettamente collegato all’aspirazione di staccarsi i dai beni materiali, anche se ottenuti con laboriosità, per restare liberi per i beni soprannaturali.
Bernardo si occupa di questo tema nei Sermoni sul salmo 90, «qui habitat», quando dice: «Egli ti libererà dal laccio del cacciatore», e dalla parola amara (Sal 90,3). Sotto la parola «laccio» intende le ricchezze di questo mondo e per «parola amara».
Il giudizio del Signore, che dirà ai duri di cuore: «Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno... Perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare» (Mt 25,41-42).
«A chi, dico, sarà detto questo, se non a coloro, che posseggono le ricchezze di questo mondo? Al sentire queste parole non si rallegrano profondamente i vostri cuori? Non si riempiono di gioia spirituale? Non considerate la vostra povertà più preziosa dei tesori del mondo? Poiché è proprio essa che vi libera dalla parola amara. Infatti, come può Dio esigere da voi quello che avete abbandonato per amor suo? Eppure glielo date, perché con il lavoro delle vostre mani Cristo è nutrito e vestito così bene che non gli manca niente. Ringraziate Dio dunque, esultate e dite: “Perché lui mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e dalla parola amara” (cfr Sal 91,3). Esultate, dico, ma con timore finché siete ancora quaggiù. Desidero che siate contenti, ma non sicuri, lieti della gioia che lo Spirito Santo effonde nei cuori, ma ancora timorosi e cauti per ogni possibile ricaduta» (3).
2) Lavoro come accesso alla salvezza
Nel 20° sermone sul Cantico dei cantici, Bernardo, con la parola Iabor, si riferisce in primo luogo «all’opera salvifica di Cristo». Nella terza omelia di Natale considera l’annuncio della nascita di Gesù ai pastori, quali uomini abituati alla fatica e al lavoro. In quanto alla «forza salvifica e redentrice del lavoro» si occupa nel secondo sermone «In labore messis». Nel primo sermone De diversis parla del lavoro quale «servizio alla creazione» e si dilunga sul reinserimento dell’uomo quale «signore» nel sermone 210 sul Cantico dei cantici.
a) la fatica dell’atto redentivo divino
Bernardo parla sulla fatica del Signore venuto a redimerci nel 20° sermone sul Cantico dei cantici:
«Molto, infatti, in essa ha penato il Salvatore, né ha faticato tanto nel costruire tutto il mondo. Per creare le cose gli fu sufficiente proferire una parola, un comando, e furono fatte. Ma nella redenzione dovette sopportare nei detti la contraddizione, nei fatti quelli che lo spiavano per accusarlo, nei tormenti coloro che lo beffeggiavano e nella morte coloro che lo disprezzavano. Ecco come ci ha amato!» (4).
In questo testo Bernardo dà alle parole labor e laborare un senso spirituale che è importante per la sua dottrina sulla vita monastica. Si riferisce infatti alla partecipazione del monaco al labor Salvatoris mediante la volontaria sopportazione di quanto gli è imposto.
b) La fatica sopportata in vista della salvezza
Riguardo l’esempio dei pastori, ai quali viene annunciata la nascita del Signore, Bernardo ne parla nel suo terzo sermone del tempo di Natale mentre riflette sulla fatica sopportata per la salvezza, poiché queste persone semplici lavorano in spiritualis intentio - con intenzione spirituale - faticosamente per il loro sostentamento, perché in ciò riconoscono la volontà di Dio, che diventa mezzo di salvezza.
«Quanti nobili, sapienti, potenti di questo mondo in quell’ora dormivano tra morbide coperte? Nessuno di loro fu ritenuto degno di vedere la nuova luce, di conoscere quella grande gioia, di udire gli angeli cantare: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli!” (Lc 2, 14). Gli uomini capiscano che solo coloro che soffrono meritano la visita degli angeli. Capiscano che agli abitanti del cielo piace la fatica finalizzata allo spirito, e che coloro che soffrono per la fame o per una esigenza materiale stringente, a costoro si rivolge quell’invito, quell’invito così felice. Certo, essi conoscono l’ordine rivolto all’uomo da Dio, che Adamo mangiasse il pane con il sudore della sua fronte» (5).
c) La riscattante espiazione del lavoro
Bernardo inizia il suo secondo sermone «In labore messis» - nel lavoro del raccolto - dicendo: «Questo lavoro, fratelli, ci fa pensare che siamo esuli e poveri, e pertanto peccatori» (6). Con queste parole consiglia di inoltrarsi attraverso lo sforzo spirituale nella conoscenza della forza espiatrice del lavoro.
«Mentre lavorano le mani, né l’occhio per questo si chiude, né l’orecchio cessa di udire, così, anzi, molto meglio mentre iI corpo soffre anche la mente attende alla sua opera e non sta senza far nulla. Pensi alla causa della sofferenza quando soffre, di modo che la stessa pena che uno patisce gli rappresenti la colpa per cui patisce; mentre vede la fasciatura delle ferite, pensi alle piaghe che sono sotto. Con queste riflessioni “ci umiliamo sotto la potente mano di Dio” (cfr 1Pt 5,6)» (7).
d) Il lavoro al servizio della creazione
Riguardo al versetto della lettera ai Romani: «Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio» (Rm 8,28), Bernardo indica nel primo sermone De diversis che la creazione ci serve solo come prezzo del nostro lavoro, e non senza che gli abbiamo effettuato prima i nostri servizi.
«Alcune cose sembra che ci servano, ma non senza fatica da parte nostra, e non prima che noi ci mettiamo al loro servizio. Gli stessi giumenti, se prima non li nutriamo, se non li addomestichiamo, se non diamo loro il foraggio, non ci aiutano. La terra stessa, che avrebbe dovuto essere come una sorella, non ci fornisce il pane senza il sudore della nostra fronte (cfr Gen 3,19); anzi, anche dopo che l’abbiamo coltivata produce triboli e spine. E alla fine, se ci pensiamo bene, si può dire di ogni cosa che è più il servizio che esige da noi di quanto ce ne offra, per non parlare di quelle cose che sono pronte a farci del male, come il fuoco che brucia, l’acqua che sommerge, le fiere che dilaniano. In effetti le cose stanno così: tuttavia l’Apostolo non mente quando dico in un altro passo che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, quelli che sono stati chiamati secondo il suo disegno”. Considera con attenzione come non dica che tutto è al servizio del suo piacere, ma che tutto coopera al bene. Le cose non sono al servizio del desiderio, ma dell’utilità, non del piacere, ma della salvezza, non dei nostri progetti, ma di quanto torna a nostro vantaggio» (8).
Le parole conclusive di Bernardo, indicano che la creazione e il lavoro effettuato per essa, hanno un valore superiore ed un significato più alto, poiché servono all’uomo in senso spirituale, con li profitto, la salvezza e il proprio vantaggio. È convinto che la creatura diventa più compiacente ai suoi assistenti, quanto più corrisponde con il suo comportamento alla volontà divina.
e) Signore del creato
Nel sermone 21° sul Cantico dei cantici, Bernardo fa riferimento alla creazione additando la trasformazione dell’uomo il quale si rinnova secondo l’immagine di Dio, ritornando ad essere di nuovo la nobilis creatura come è stata creata da Dio.
«In questo, dico, la nobile creatura, fatta ad immagine e somiglianza del suo creatore, fa vedere di riprendere e già quasi ricuperare la dignità dell’antico onore, quando considera cosa per sé indegna il conformarsi a questo mondo che passa, cercando piuttosto, secondo la dottrina di Paolo di trasformarsi rinnovando la propria mente (cfr Rm 12,2) in quella somiglianza nella quale sa di essere creata; e per questo anche costringendo, come è giusto, lo stesso mondo, che è stato fatto per lei, dal momento che tutte le cose cominciano a cooperare al suo bene, come se avessero ripreso la propria forma naturale, rigettando quella decaduta, e riconoscendo il loro Signore, per servire il quale sono state create» (9).
3) Lavoro e riposo
La dottrina biblica quando si riferisce al lavoro lo considera come l’attività più importante del cristiano per il suo contributo alla vita secondo il vangelo. Bernardo espone questo principio nel suo trattato De considerazione, dove si interessa trattando il tema sul «lavoro pastorale». In riferimento alla relazione fra attività e contemplazione si occupa specialmente nella terza omelia per la festa dell’Assunzione di Maria Vergine.
a) Lavoro organizzato intelligentemente
La parola otium, vale a dire tempo libero, tanto per Bernardo come per tutta la teologia monastica del medioevo, è peculiarmente il «tempo per Dio», in cui anche lo svolgimento dell’attività deve essere organizzato secondo la volontà di Dio. Questo principio si richiama a Sant’Agostino che scrive nel suo trattato La vera religione, riguardo alla vocazione dell’uomo: Vocatur ergo ad otium - «Per questo è invitato alla quiete, ovvero a non amare le cose che è impossibile amare senza affanni» (10), dunque l’uomo è chiamato al riposo.
Bernardo raccomanda nel suo trattato De consideratione un lavoro ordinato, bene organizzato e pensato durante il riposo. Infatti scrive a papa Eugenio III e quindi anche a noi:
«Che cosa infatti s’addice meglio al culto di Dio, di quel che egli stesso consiglia nel salmo: “Fermatevi e sappiate che io sono Dio” (Sal 46, 11I). È questo appunto uno degli elementi esenziali della considerazione. In definitiva, che cosa è tanto utile a tutto (quanto la considerazione), che una sorte di amorosa anticipazione si appropria della sua stessa azione, in qualche modo prevenendo e preordinando quel che si deve fare? Ed è ben necessario che sia così: infatti le azioni previste e meditate per tempo possono riuscire utili, ma fatte con precipitazione riescono pericolose» (11).
Bernardo descrive l’effetto della considerazione, cioè della meditazione, che ci forma spiritualmente:
«In primo luogo la considerazione purifica la sorgente stessa dalla quale nasce prende origine, cioè la mente; regola poi le passioni, dirige le azioni, corregge le intemperanze, modera i costumi, conferisce dignità e ordine al comportamento, e da ultimo concede la scienza delle cose divine e umane. È sempre questa considerazione che dipana quel che è intricato, mette freno alle cupidigie, raccoglie quel che è disperso, penetra i segreti, indaga la verità, vaglia il verosimile, smaschera gli inganni e le finzioni. Essa ancora predispone le cose da fare, riflette su quelle fatte, in modo che nella mente non rimanga niente di scorretto o da correggere» (12).
Bernardo conclude la sua riflessione riguardo al nostro bisogno di «riposo in Dio» con la domanda: «Vivere trascurando un così pio e fruttuoso esercizio, non è sprecare la propria esistenza?» (13).
b) Attività e meditazione
Nella sua terza omelia In Assumptione beatae Mariae Virginis Bernardo spiega il versetto del vangelo di Luca: «entrò in un villaggio e una donna di nome Marta, lo accolse nella sua casa» (Lc 10,38).
«Se consideri che questa casa è dì fango, ci accorgeremo facilmente che è Marta ad accogliere il Signore, anziché Maria. Quanto, infatti, l’Apostolo dice: “Glorificate, dunque, Dio e portate/o nel vostro corpo” è detto di Marta e non di Maria: ella appunto si serve del corpo come di uno strumento, mentre per Maria esso costituisce piuttosto un ostacolo» (14).
Importanti sono le argomentazioni di Bernardo sul servizio che spettano ai superiori ecclesiastici, che vede nelle mansioni di Marta:
«Accolga, dunque, Marta il Signore nella sua casa, di cui le è stata affidata la cura. Lei è la mediatrice, per ottenere a sé e a suoi dipendenti la salvezza, per ricevere la grazia, come sta scritto: “Ricevano i monti la pace per il popolo, e i colli la giustizia” (cfr SaI 72,3). La ricevano gli altri suoi collaboratori, ciascuno secondo l’incarico affidatogli: ricevano Cristo, servano Cristo, lo servano nelle sue membra: chi nei malati, chi nei poveri, chi negli ospiti e nei pellegrini» (15).
Bernardo con questo non intende diminuire il valore di esseri liberi per l’unione con Dio, anzi, riconosce l’atteggiamento Maria quando dice:
«Godi e ringrazia il Signore, o Maria, che ti sei scelta la parte migliore. Beati, infatti, gli occhi che vedono quello che tu vedi e gli orecchi che meritano di ascoltare quello che tu ascolti. (cfr Mt 13,16). Beata veramente tu che sai cogliere le vibrazioni del sussurro divino del silenzio, nel quale è buona cosa per l’uomo. Sii semplice, non soltanto senza inganno e senza frode, ma anche senza lasciarti prendere dalla molteplicità delle occupazioni, affinché tu possa conversare» (16).
In ultima analisi questo passo deve essere visto tuttavia in relazione ad una dichiarazione precedente nello stesso discorso di Bernardo, nel quale stabilisce la stessa disponibilità per dedicarsi, secondo la volontà di Dio, sia all’attività sia al riposo.
«Ma forse avrà un grado più elevato chi si sarà dedicato a Dio; addirittura il migliore chi si sarà comportato in maniera perfetta nell’uno e nell’altro» (17).
c) Lavoro pastorale
Riguardo il servizio al Signore Bernardo da a papa Eugenio III, già monaco dell’Ordine Cistercense, la seguente consegna in De consideratione:
«Non possiamo nasconderci che sei stato posto in alto, ma dobbiamo studiarne il motivo con ogni attenzione. Non credo, proprio che lo sia stato per esercitare il dominio. Infatti, anche il profeta, quando fu innalzato al pari di te, si sentì dire: “Per sradicare e distruggere, per dissolvere e disperdere, per costruire e seminare”(Ger 1,10). In queste parole non c’è accenno allo sfarzo e all’opulenza, mentre nell’immagine del lavoro agricolo è raffigurato l’impegno del lavoro spirituale. Anche noi, per essere ben consapevoli del nostro stato, ricordiamo che ci è stato imposto un servizio, non ci è stato offerto un dominio» (18).
«Entra nel campo del tuo Signore e rifletti su come tutt’oggi s’è inselvatichito, folto di spine e di sterpaglie, frutti dell’antica maledizione. Entra nel mondo, ti dico, perché questo è il campo che ti è affidato. Entraci non come padrone, ma come fattore, per vedere e provvedere, sapendo che ne dovrai render conto. Entra, ripeto, con il passo, per così dire, del tuo fervido impegno e del tuo impegnato fervore. Gli apostoli, che furono comandati di andare nel mondo universo, non lo percorsero a piedi in lungo e in largo, ma lo riempirono con l’efficacia della loro presenza morale» (19).
Questo impegno spirituale per le miserie del mondo, consiste per i monaci e le monache cistercensi, innanzitutto nella devota dedizione alla loro peculiare vita di fede mediante la preghiera, il lavoro e la lettura della Sacra Scrittura - la lectio divina -, ciò può essere realizzato molto bene all’interno della clausura, quando si ha l’intenzione di attuare secondo il volere e i bisogni della Chiesa. Monaci e monache claustrali, dunque, sostengono così il ministero pastorale del Papa e di tutti coloro che sono con lui responsabili della vigna del Signore. In questo modo partecipano attivamente al sostegno della vita pastorale che, secondo san Bernardo, nasce dal vangelo vissuto che «ha commosso il loro cuore»:
«Se finora s’è commosso il cuore, ora si devono muovere la lingua e le mani. Impugna la spada, quella spada dello spirito che è la parola di Dio» (20).
Sr. Maria Pia Schindele o. cist.
Note
1) Le Opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravallense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 2000, voI. IV, Sermoni diversi e vari, LV. 3, (d’ora innanzi Div).
2) Le Opere di San Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravaflense, Fondazione di Studi Cistercensi, Milano 1986, voI. VI/I, Le Lettere, 1, 12, (d’ora innanzi Epis).
3) SAN BERNARDO, Sermoni sul salmo 90, a cura di I. Tell., Edizioni scritti monastici 20, Abbazia di Praglia, 1998, serm. Terzo, 4.
4) BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni sul Cantico dei cantici, a cura di Domenico Turco, Ed. Vivere In. Roma, 1986, vol. I, XX,2 (d’ora innanzi SC).
5) BERNARDO DI CHIARAVALLE, Le sorgenti del Salvatore, omelie, a cura di Jacopo Riccardi, Ed. Marietti, Milano 2004, Terza omelia di natale, 5.
6) BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni Diversi, a cura di Domenico Turco, Ed. Vivere In, Roma, 1997, serm. XXXIX: In labore messis II, 1.
7) Ibid.
8) Div. 1,6.
9) SC,21,6.
10) SANT’AGOSTINO, La vera religione, a cura di Antonio Pieretti, Città Nuova Editrice, Roma 1995, voI. VI, 35.
11) Le Opere di san Bernardo, a cura di F. Gastaldelli, Scriptorium Claravallense, Fondazione di Studi cistercensi, Milano 1984, voI. 1, Trattati, De consideratione 1,8 (d’ora innanzi Csi).
12) Ibid.
13) Ibid, I,11.
14) BERNARDO DI CHIARAVALLE, Sermoni per le feste della Madonna, Ed. Paoline, 1990, Dell’Assunzione della beata Maria, 3,1
15) Ibid. 3,6.
16) Ibid. 3,7.
17) Ibid. 3,3.
18) Csi, 2,9.
19) Csi, 2,12.
20) Csi, 2,13.
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