Vita nello Spirito

Sabato, 04 Novembre 2017 15:36

Sogni infranti (Luciano Sandrin)

Vota questo articolo
(1 Vota)

La speranza è tipica dell'uomo, sempre mosso dal desiderio di una vita più felice di quella che vive nel presente. Nelle relazioni non si tratta tanto di "dare" speranza quanto di “non toglierla”, perché la speranza aiuta a vedere la propria situazione da un’altra prospettiva.

Molte famiglie devono "con-vivere" con la disabilità. Il cammino dell'accettazione di questa realtà non è sempre facile. Anche perché non sempre trovano il sostegno necessario. Per aiutare queste famiglie c'è bisogno di una rete di protezione fatta di tanti fili che si intrecciano tra di loro: i vicini, gli amici, i servizi sociali, le istituzioni, la società civile nel suo complesso, le comunità religiose. Questa rete di solidarietà rompe la loro solitudine e l'indifferenza che le attornia. Non risolve la disabilità, ma anche la più pesante diventa sopportabile. E assicura, per la persona con questi problemi, un futuro da vivere dignitosamente anche dopo la morte dei propri cari.

Nella vita di relazione

I genitori di bambini con disabilità vivono con particolare sofferenza quel "dopo di noi", che molto li angustia e mette in crisi le loro speranze. Hanno bisogno di sentire che ai loro cari, venga assicurato non un futuro qualsiasi ma un futuro degno di essere vissuto anche "dopo di loro". Prendersi cura della speranza di questi genitori significa fare attenzione a vari fattori che rendono questo "dopo di noi" – specialmente quando le persone vivono particolari carenze nell'autonomia personale e nella vita di relazione – fonte di sofferenza che a volte sfocia in gesti disperati: carenze affettive per lo spezzarsi del particolare legame parentale tra genitori e figli; condizioni emozionali negative determinate dalla solitudine, dall'insicurezza e dal cambiamento delle abitudini di vita; possibili difficoltà economiche; difficoltà organizzative legate all'abitazione, alla mobilità, all'accesso ai servizi sociali e sanitari, ai contatti col mondo esterno; problemi legati all'interruzione dei processi di socializzazione in ambito scolastico ed educativo.

Le barriere che impediscono il "migliore" e "possibile" accesso alla vita sociale sono molte, non solo quelle legate a gradini "inaccessibili".

Quelle più dure a morire sono dentro la nostra testa e dentro il nostro cuore.

Per rispondere alla domanda di speranza presente nella paura del "dopo di noi" c'è bisogno di impegnative risposte comunitarie, che però devono essere preparate nel periodo del "durante noi" con la collaborazione attiva della famiglia stessa.

"Avere delle ali"...

A volte la disabilità è frutto di traumi che improvvisamente chiudono il futuro prospettato e atteso, un muro che improvvisamente ostacola il cammino, un sogno improvvisamente infranto. La tentazione è quella di mollare tutto e di lasciarsi andare.

La speranza è come "avere delle ali" che ti tirano su e ti fanno vedere la situazione da un'altra prospettiva. E questa l'immagine usata da Alan, un giovane rimasto paraplegico dopo un incidente stradale che ha infranto i suoi sogni di diventare un atleta importante. Ce ne parla Ray Anderson, un teologo che convive con la disabilità, in un capitolo di un libro in cui sottolinea il potere spirituale della speranza. Se la prima reazione di Alan è stata quella di pensare al suicidio, poi ha scelto la vita.

«Ho sentito improvvisamente – egli confessa – come di avere delle ali e sono stato sollevato come da una brezza invisibile, così che ho potuto vedere la mia situazione da un'altra prospettiva. Ho guadagnato una nuova visione di quello che avrei potuto fare dentro alle limitazioni della mia nuova disabilità fisica, e ho trovato una nuova speranza nella mia vita».

Non siamo chiamati a "dare" speranza. Ma dobbiamo essere pure attenti a non toglierla, anche se non ci sembra del tutto adeguata alla situazione. Non dobbiamo lasciare la persona di cui ci prendiamo cura senza speranza. La tentazione può essere quella di portarle via ciò che a noi sembra una falsa speranza, forzandola a guardare in faccia la realtà. Anche se possiamo prevedere che ne resterà delusa, non possiamo toglierla del tutto, come non possiamo togliere le stampelle dalle mani di chi si è rotto una gamba e dirgli di camminare.

"Dare" speranza

A proposito di Alan, dopo l'incidente che ledendogli la spina dorsale l'ha reso paraplegico, egli insisteva che Dio l'avrebbe guarito e rifiutava gli sforzi del personale curante per iniziare la riabilitazione fisica.

In risposta, la terapista gli disse: «Bene, se il miracolo non arriva né oggi né domani, lascia che vediamo cosa possiamo fare nel frattempo». In questo modo ha rispettato le speranze del malato ed è entrata in alleanza con lui. Non gli ha tolto la speranza di una guarigione miracolosa, ma ha lavorato con lui per rinforzare le sue capacità di usare la sua limitata libertà per fare quelle piccole cose che poteva fare.

In attesa della realizzazione della grande speranza di guarigione, ha lavorato per realizzare piccole ma importanti speranze che l'avrebbero aiutato a vivere meglio.

Luciano Sandrin

(da Missione Salute, n. 4, 2015, p. 66)

 

Letto 1989 volte Ultima modifica il Sabato, 04 Novembre 2017 16:29
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search