Il brano evangelico di Mt 18, 15-20 richiede, per una giusta lettura, che venga letto, come diceva san Francesco, sine glossa, senza alcuna griglia interpretativa o esegetica. Noi cattolici siamo, da quasi due millenni, abituati a intendere questo testo attraverso una prassi giudiziaria invalsa nella nostra Chiesa. Quando un fratello, o un gruppo di fratelli, seguono una via non corretta, per richiamarli sul giusto sentiero la prassi vigente è quella di ammonire il deviante, di avvertirlo di fronte ad altri, infine di convocarlo davanti ai tribunali ecclesiastici. I primi due momenti ordinariamente vengono ignorati, la terza procedura non è sempre correttamente cristiana.
La procedura giudiziaria indicata da Gesù Cristo alla sua assemblea termina con questa norma: «Se il deviante non ascolterà l'assemblea, consideralo come un pagano e un pubblicano».
Per capire e applicare questa norma, in sé vaga e ambigua - può, infatti, significare l'espulsione dall'assemblea dell'imputato oppure un comportamento che ci è necessario scoprire nella vita di Gesù Cristo -, bisogna osservare il suo atteggiamento di fronte ai pagani e ai pubblicani. Una delle accuse ricorrenti degli avversari contro Gesù Cristo è stata quella di andare a mangiare con i peccatori e i pubblicani. «Perché il vostro maestro mangia con i peccatori e i pubblicani?», chiedono i Farisei ai discepoli; ad essi Cristo risponde: «Gli ammalati hanno bisogno del medico, non i sani. Sono venuto per i peccatori, non per i giusti» (Mt 9, 10-11). «Il Figlio dell'Uomo mangia e beve ed è l'amico dei pubblicani e dei peccatori» (ivi 11-14).
Riguardo ai pagani basterebbe l'episodio della Cananea - (commentato nella meditazione: La grande fede) - per indicarci il rispetto e l'onestà con cui Cristo li avvicinava. Di un soldato pagano dice: «Non ho trovato in Israele una fede tanto vigorosa come la sua» (Mt 8, 10). Sul Calvario, il centurione e i soldati di guardia si dicono, stupefatti da quanto avveniva attorno a loro: «Costui è veramente Figlio di Dio» (Mt 27, 54).
Tenendo conto dell'umanissimo e nuovo modo seguito da Gesù Cristo con i pagani e i pubblicani, riusciamo a comprendere il senso della norma finale della procedura processuale che ha affidato alla cristianità: dialoga prima con l'eretico e il peccatore; se non riesci, o non riuscite a convincerlo, amalo con quell'amore preferenziale che io ho avuto verso la pecorella smarrita e il figliol prodigo. Altrimenti «i pubblicani e le meretrici vi precederanno nel Regno» (Mt 21, 31 ). Come il medico non scomunica né manda al rogo il paziente affetto da malattia ribelle, così il cristiano accresce il suo amore verso il fratello aberrante in proporzione alla sua ribelle pervicacia.
La procedura processuale, tracciata dalle essenziali indicazioni di Cristo, manifesta chiaramente che i suoi discepoli non sono chiamati a organizzare tribunali, ad accendere roghi o a pronunciare solenni ostracismi, ma a intessere la grande catena dell'amore universale, dell'amore illimitato che attui nell'umana coscienza il grande amore del Padre. Non i piccoli tribunali, non gli ostracismi è venuto a portare agli uomini, Gesù Cristo, ma un cuore misteriosamente vivo, che palpita nel creato, e i cui battiti non sono compresi da quelli che ne sono l'oggetto.
Un amore che non vuole il giudizio, la condanna, ma la misericordia; che non tollera le durezze dei sempre risorgenti puritanesimi, ma vuole cuori forti e ardenti in cammino per il raggiungimento di una mente, di un amore sempre più liberi e puri: liberi da chiusure, puri da istinti di potere. Amore più terribile della morte, più forte della vita: a esso Egli ha immolato la sua essenza divina, per esso si è annientato nella forma, attuando la piena conoscenza dell'amore e del dolore umano; per esso si è fatto tenebra per comprenderla e redimerla; è passato primo per la strada di tutti ed è rimasto sulla strada ad attendere tutti, anche quelli che in suo nome innalzano tribunali e scagliano condanne.
Amore di Cristo, amore forte e combattivo, generoso e pronto; amore obbediente, servizievole e leale; amore che non rende deboli, ma fa forti i deboli; amore sincero che rende sinceri perché fuori di ogni egoicità e che esige la pienezza del contraccambio. Solo un Dio poteva portare sulla terra questo amore e, solo un Dio, poteva esigerne il contraccambio, rendendo la fragile natura umana capace di tanto. Gesù Cristo è venuto a rivelarci il «mistero da secoli velato»: Dio è amore, amore cosciente e appassionato, coscienza infinita e amore infinito, e insieme ci ha rivelato che la nostra piccola coscienza, il nostro limitato amore possono fiorire e dilatarsi nell'infinita coscienza e amore divini.
Tenendo presente questa rivelazione dell'infinita coscienza-amore divina alla quale siamo chiamati, le parole «tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato nel cielo, tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche nel cielo», acquistano il loro luminoso e sconvolgente significato. Ciò che ciascuno di noi avrà tenuto legato, ostacolato, incatenato in una coscienza, sarà legato, ostacolato, incatenato nella universale coscienza-amore; qualunque cosa ciascuno di noi farà per sciogliere, liberare, svincolare una coscienza, sarà compiuto nella coscienza-amore universale. Questo è l'unico senso che possiamo dare a queste parole di Cristo, che si è identificato con gli ultimi degli uomini e perfino con i prodotti della terra, con il pane suo corpo, con il vino suo sangue.
Non è un potere giudiziario che viene conferito da queste parole ai credenti, ma la rivelazione dell'unicità della coscienza-amore, e della responsabilità che ognuno di noi ha di fronte a essa: di liberarla, amando al di là di tutte le nostre durezze egoistiche; di ritardarne la manifestazione, amando male e limitatamente. Quando due o tre sono uniti in questa coscienza-amore, nel nome, nella sostanza di Gesù, diverranno onnipotenti cooperatori di Dio, perché la nuova coscienza di Cristo è in loro.
E più gradita al Signore la danza gioiosa di un popolo, che non il giudizio e la condanna di un peccatore.
Giovanni Vannucci
(in Risveglio della coscienza, Sotto il Monte - ed. CENS, Milano 198, pp. 159-161)