Vita nello Spirito

Lunedì, 11 Ottobre 2004 22:16

Giovanni Vannucci

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di Alberto Camìci

Nota biografica (1):

Giovanni Maria Vannucci, frate dei Servi di santa Maria, nacque a Pistoia il 26 dicembre 1913. Seguiti gli studi ginnasiali a Firenze e quelli filosofico-teologici a Roma, pronunciò i voti solenni il 13 ottobre 1936 e venne ordinato sacerdote il 22 maggio 1937. Al Pontificio Istituto biblico di Roma ottenne la licenza in Sacra Scrittura nel 1943, sotto la guida del noto biblista e filologo prof. Vaccari, e nel 1948 la licenza in teologia presso l’Ateneo dell’Angelicum.

Fu a più riprese insegnante di esegesi biblica, lingua greca ed ebraica, e più tardi di storia delle religioni presso il suo Ordine. La sua vita, animata da un grande amore per la verità e fraternità condivisa, ebbe alterne vicende; egli soffrì incomprensioni a causa della sua vastità e libertà di pensiero in anticipo sui tempi. I suoi interessi culturali vastissimi, affrontati con passione e serietà, spaziavano tra Sacra Scrittura, liturgia e tradizione, mistica cristiana e non cristiana, ricerca linguistica e gnoseologica. Dal 1952 si inserì con profetica apertura di mente e novità di linguaggio nella ricca fioritura culturale, religiosa e civile della città di Firenze, unitamente al più noto amico e fratello fra David Maria Turoldo, personalità diversa e complementare a quella di padre Giovanni.

Uomo di grande religiosità, unì tradizioni spirituali orientali e occidentali in profonda saggezza di lettura e di sintesi illuminata dalla realtà di Cristo, contemplato e vissuto come il Vivente e Parola creatrice; seppe offrire piste affascinanti per una ricerca religiosa autenticamente universale e per un’apertura credente che dalla conoscenza pura della verità porti alla libertà dello spirito. La sua è stata una ricerca vissuta come una inarrestabile avventura dell’anima, capace di andare sempre oltre a tutte le tappe raggiunte di volta in volta. In questo, padre Giovanni ha pienamente vissuto l’esperienza del Vaticano II, cogliendone speranze e l’ottimismo di fondo. Eppure egli ha avuto anche la vivida coscienza che qualcosa nell’ambito della spiritualità si stava indebolendo e pertanto andava rivisto e rivissuto. Intuendo un cambiamento profondo in atto nel nostro tempo, da lui considerato ormai maturo per una più vasta apertura della coscienza umana, volle dare una risposta personale, al contempo fedele, alla tradizione e aperta ai "segni dei tempi". "Le pulsioni profonde che stimolano la coscienza umana in questa fine del secondo millennio possono ridursi a questa due aspirazioni ancora embrionali ma che daranno forma alla nuova immagine dell’uomo che sta sorgendo: la volontà di vivere le nobili qualità di mente, di cuore, di capacità creative che ciascuno ha ricevuto in dono, e l’acuta ricerca di Dio che vuole essere vissuta nell’interiorità di ciascuno. La prima si manifesta nell’esigenza di liberazione dai modelli costrittivi del passato, la seconda nel nobile pellegrinaggio verso forme di spiritualità più pura e liberatrice" (2). Da molti definito come un testimone e autore spirituale del nostro tempo, Vannucci scrisse molto, curò alcune collane e collaborò a varie riviste.

Il frutto più bello della sua vita e della sua ricerca, però, si manifestò nel 1967 quando poté dar vita ad una nuova forma di vita monastica nell’eremo di san Pietro alle Stinche, presso Panzano in Chianti (Firenze), con il semplice intento di offrire un luogo di silenzio, lavoro e meditazione aperto a tutti. Il 24 giugno di quello stesso anno, giorno posto sotto il patrocinio di san Giovanni Battista, Vannucci iniziò la nuova esperienza monastica all’interno dell’Ordine, nel solco della più genuina tradizione servitana: "Una vecchia idea maturata nella sofferenza e nella speranza trovava il suo compimento in questa forte solitudine. Da decenni, insieme ad altri frati del mio Ordine, pensavo che una sola via può permettere ai frati di ritrovare il loro antico vigore: vivere nella semplicità di una vita laboriosa e silenziosa, dilatare il cuore in una sempre più vasta comunione con le creature e il Creatore. Il nostro sogno è di rivivere nella semplicità le grandi linee del monachesimo: il silenzio, il lavoro, l’ospitalità, la comunione col visibile e l’Invisibile"(3). Da lì sarà più volte invitato a tenere corsi di esercizi spirituali, meditazioni, conferenze e conversazioni anche nell’ambito dei Capitoli provinciali, nonché l’insegnamento di storia delle religioni presso la Pontificia Facoltà teologica del Marianum a Roma. Lascerà però il suo eremo sempre un pò contro voglia, prediligendo il silenzio e l’essenziale che cercava di apprendere e comunicare a tutti. Essenziale che è saggezza e vita semplice, la quale scorra secondo ritmi più interiori che esteriori. Nel 1968 venne eletto membro della Commissione per la revisione delle Costituzioni dell’Ordine. Sempre nello stesso anno, partecipò al Capitolo Generale di Majadahonda in Spagna come esperto per la stesura delle nuove Costituzioni.

Il profilo più adeguato della figura di padre Vannucci resta quello delineato da chi, forse, l’ha conosciuto meglio: l’amico fraterno padre David M. Turoldo: "Parlare di lui? Così misurato, così silenzioso. Di lui tanto gentile quanto dolcemente ironico, o anche acutamente ironico quale riesce a essere di solito un toscano intelligente. Tanto più Giovanni, che all’intelligenza univa più che il dono, direi, l’istinto della sapienza del monaco, la conquistata misura delle cose: la misura del contemplativo! Con quella faccia mesta e serena insieme; e la testa poderosa di pensatore, appena coronata di bianco, e la voce sempre trattenuta, velata, quasi avesse paura a parlare, paura di disturbare il silenzio, il mistero."(4). La morte di padre Giovanni sopraggiunse per infarto miocardico il 18 giugno 1984, nell’Ospedale della santissima Annunziata di Bagno a Ripoli nei pressi di Firenze. Fino all’ultimo istante fu lucido, sereno, aperto sul mistero in uno slancio verso prospettive ampie, proiettate già verso il terzo millennio, come ha testimoniato il medico che lo assisteva. Il suo corpo riposa nell’austero prato cimiteriale di S. Martino, presso il primitivo eremo dei Servi di santa. Maria a Monte Senario (Firenze).

Note

1) Per approfondire la vita di padre Vannucci si può vedere il Necrologio ufficiale del Priore generale dell’Ordine: F. M. SINCERNY, Necrologia di P. Vannucci, in Cosmo (1983-1984), Prot. 562/84 n. 17; l’edizione curata da D. M. MONTAGNA - CALISTRI L., Giovanni M. Vannucci 1913-1984. Memorie in morte, in Quaderni del Cenacolo dei Laudesi, Frati Pistoiesi dei Servi (1), Pistoia 1984, così pure l’articolo di S. M. MAGGIANI, Giovanni Vannucci: fratello, amico, servo, in Rocca, 14 (1984), 4-5 e A. ASNAGHI, Il flauto magico, in Servitium, 18 (1984), 133-139. La comunità dei Servi di Maria di Monte Senario ha presentato la figura e il pensiero di p. Vannucci nella XVIII Settimana di Storia e Spiritualità dell’Ordine.
2) G. M. VANNUCCI, Senso di appartenenza all’Ordine, in Cosmo, 3 (1984), p. 42.
3) ID., L’eremo di s. Pietro alle Stinche, in Pellegrino dell’Assoluto, 2a ed. a cura del Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte - Bergamo, Ed. CENS, Milano 1990, p. 99.
4) D. M. TUROLDO, Nel segreto del cuore, in Servitium, 18 (1984), p. 123.

Padre Vannucci: uomo del mistero

Nell'approfondire il pensiero di padre Vannucci, si intravede l'angolatura con la quale considerava le cose, che diveniva al contempo il suo stile inconfondibile di vita: quella della "qualità" e della "profondità". Sappiamo che sono le vie di accesso regali alla percezione del mistero che vive e si espande in tutte le cose. Egli possedeva lo "spirito iniziatico", tipico di colui che si avvicina alla sacralità della vita con l'occhio affinato e il cuore in comunione per individuare, sotto il velo delle apparenze, il senso della realtà effettiva delle cose e varcare la soglia della superficialità. La ricerca appassionata di padre Giovanni è consistita soprattutto nel voler dare qualità alla vita, nella trasfigurazione dell'uomo a contatto con il mistero del Dio vivente: "Cercare di comprendere il mistero delle cose create, scoprirne le leggi per rispettarle nella loro verità intima, significa vivere il proprio servizio religioso che è quello di ricollegare, nella nostra coscienza, il visibile con l'invisibile, la materia con lo spirito. Lo spirito è l'interiore delle cose, la forma ne costituisce l'esteriore. Interiore ed esteriore non hanno un senso spaziale, si tratta di un guscio che è legato al mistero della manifestazione e di una midolla che conduce al nucleo vivente delle creature"(5). Per cogliere il mistero vivente insito nella realtà occorre: "una disciplina mentale che, disarticolando la ragione, ci introduca vitalmente nel vivo mistero divino"(6). Le cose vanno viste nell’organicità dell’unitotalità che solo la mente contemplativa, operante per ascolto e partecipazione può offrire e non la ragione calcolatrice. La mente contemplativa penetra la realtà attraverso l’approccio simbolico. Il simbolo rispetta la dimensione del mistero vivente e permette di creare quel ponte tra l’osservatore e ciò che lo circonda. La complessità del reale e la sua profondità infatti non può essere penetrata totalmente dal concetto della mente razionale. Solo il cuore, in ultima analisi, è l'organo ricettivo adeguato alla percezione delle profondità interiore che ci conduce alla visione sovrarazionale: "Per avanzare nella comprensione del creato non è la testa che dobbiamo usare, ma il cuore onde divenire sensibili al mistero di ogni creatura" .

Note

5) G. M. VANNUCCI, Dio e Cesare, in Risveglio della coscienza, 2.a ed. a cura del Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte - Bergamo, Ed. CENS, Milano 1989, p.186.
6) ID., L’uomo immagine e somiglianza del divino, in Pellegrino dell’Assoluto, p. 226.
7) ID., Meditazioni cristiane, Edizioni Gribaudi, Torino 1972, p. 11.

La perenne vocazione del monaco

Questo era anche il senso del suo considerarsi monaco. Non uno specialista di cose, ma un uomo aperto al mistero, sempre in ascolto e con un unico anelito: l’unificazione interiore. Era questo il motivo del fascino che padre Giovanni avvertiva nei confronti della bellezza, filocalia, caratteristica della spiritualità dell'Oriente cristiano. Bellezza che il monaco ritrova nel volto di Cristo e la cui contemplazione è capace di trasformare l'uomo nella sua realtà di carne e spirito, risvegliandolo alla realtà di essere creato ad immagine e somiglianza di Dio: "Il fuoco centrale che guida i monaci, la cui esperienza è riportata nella Filocalia, è la ricerca del Centro Vivente, del Cuore che, unificando ed esaltando tutte le energie dell'uomo, lo pone al di fuori del disordine e dello smarrimento. Il Centro Vivente, sperimentato dai monaci, nella loro realtà personale e in quella cosmica, è la Parola eterna discesa nella carne e porta un Nome, superiore ad ogni altro nome: Gesù il Signore. Nella vivente realtà di Gesù Cristo, la creatura umana, pur immersa nelle scomposte forze oscure della carne, ritrova l'ordine e la bellezza armoniosa dell'uomo creato a somiglianza di Dio. Bellezza armoniosa che, una volta raggiunta, riunisce gli elementi spirituali e carnali dell'uomo in una forma perfetta che è l'epifania della Bellezza divina"(8). In questo modo Vannucci stesso ci indica la strada da percorrere e l'impegno da assumere verso la meta della nostra trasfigurazione personale: "Raggiungere la santità significa procedere attraverso l’intrico delle interiori e spesso sconosciute deformazioni personali. Lavoro faticoso, non conosciuto da altri che da Dio; lavoro di discesa nei personali inferi, perché l'Uomo vero risorga in ognuno. Chi sente l'appello a quell'aggiunta di apertura d'essere e alla santità, deve inoltrarsi per la via della sua personale liberazione, con generosità, senza speranza o desiderio di premio alcuno, al fine di giungere alla perfetta statura di Cristo: l'Uomo vero. (9) In questo modo il lavoro umano di ascesa e perfezionamento del proprio essere diventa un sacrum facere. Con la Parola eterna di Dio discesa da Cielo e seminata nella propria terra, Vannucci avverte anche una profonda armonia con il creato: "Ordinariamente concepiamo l’universo distinto e separato dal nostro piccolo "io", contenuto adeguabile alla nostra mente; se tentassimo, con paziente costanza, di sentirlo come l’immensità che include noi e gli altri esseri in una vivente unità, ci libereremo dall’illusione di un "io" separato da altri infiniti oggetti distinti. Questo passaggio da uno stato di coscienza individuale - figlio dell’uomo - a quello universale - figlio di Dio - è reso possibile dalla venuta della Parola nella carne"(10).

Note

8) ID., a cura di, Filocalia I. Testi di ascetica e mistica della Chiesa orientale, L.E.F., Firenze 1978, pp.7-8.
9) ID., La santità oggi, in Risveglio della coscienza, pp. 204-205.
10) ID., Meditazioni cristiane, pp. 19-20.

Spogliarsi delle forme per rivestire l’Uomo Nuovo

In una interpretazione cabalistica dei primi versetti della Genesi a proposito della creazione, padre Giovanni osserva: "Il versetto della Genesi "Facciamo l’uomo a nostra immagine" (Gn 1,26), è spiegato da questa interpretazione come un dialogo tra l’Eterno e l’uomo: "Io l’Eterno, e tu, uomo, costruiamo l’immagine visibile del divino"(11). In questo modo è come se Dio dicesse all’uomo: "Io ti dono la vita, a te il compito di perfezionare l’opera". Il vertice di questo progetto è Gesù Cristo, l’immagine del Principio che ha assunto l’umanità: "il senso della creazione è in questo cammino di tutto il creato verso la Parola definitiva, verso l’ideale fiorito nella mente di Dio"(12). Qui sta la ragione e il segreto di ogni ascesa interiore umana e l’appello a liberarsi da ogni forma di schiavitù. Cristo è "la forza che dilata sconfinatamente la coscienza"(13). La sua realtà provoca il risveglio in chi l’accoglie e il riconoscimento del proprio torpore. Egli agisce come un fuoco purificatore che distrugge ogni nostra resistenza e barriera. Ci spoglia dai rivestimenti dei molti "io" con i quali di solito gli uomini confondono la loro "coscienza essenziale". In questo modo si deve interpretare il versetto di Luca: "Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e quanto vorrei che fosse già acceso" (Lc 12,49), o quello di Matteo che vede in Gesù "Colui che "vi immergerà nello Spirito Santo e fuoco" (Mt 3,11) (14).

Padre Giovanni coglie nel mistero della vita qualcosa di continuamente in trasformazione: "La vita è la risultante di vigorose forze in espansione e di altrettante energie di resistenza e di opposizione, essa è presente nelle une e nelle altre ... Senza questo conflitto la vita non sarebbe che una pietrificazione, una sclerosi universale"(15). In uno dei suoi scritti più caratteristici egli sostiene esserci nella creazione due fondamentali leggi: quella della "stabilità fissa" che produce i generi e le specie viventi, e quella della "eccezione" che pone il germe di nuove fioriture. La prima è la tendenza profonda a rendere permanente la novità raggiunta nelle forme precedenti. La seconda è il movimento vitale originale e inarrestabile. Dal contrasto tra le due leggi avviene l’ascesa a spirale di tutto il creato. Anche la coscienza umana risponde a questo dinamismo intrinseco, ma essa ha in più la forza della consapevolezza, la quale può favorire e orientare il processo a secondo più o meno della sua partecipazione alla legge divina (16). Il processo di ascensione è sostenuto dal "testimone fedele" dell’intimo umano, che permane in ogni nostro cambiamento. E’ cosi che "la coscienza umana sente se stessa come espressione della Parola eterna, scopre la sua incarnazione come iniziazione alla conoscenza del Verbo, affronta la sue vicende come una necessaria via di ascesa e di spoliazione dalla densificazione tenebrose (17).

Occorre discendere nei propri personali inferi dove la coscienza, una volta sperimentata la luce della purificazione e nutrita dal pane celeste, può affrontare l’incontro con la sua ombra. La scoperta dell’ombra è sconvolgente, ma non ci si deve scoraggiare. Per Dio, infatti, anche le tenebre sono chiare come il giorno. Nella vita spirituale ogni ascesa porta in sé una discesa, perché ciò che non è assunto non è redento: "Discendendo nei propri inferi, nel male e nella malvagità che sono in lei e nel mondo, la coscienza ha la possibilità di raggiungere la pienezza della Realtà. Solo dopo aver abbracciato l’ombra assoluta, è possibile il ritorno alla vita e avviene la Resurrezione: la reintegrazione della morte nella vita, dell’ombra nella luce" (18). La rivelazione del Pane spezzato lo sosterrà in questo lavoro di chiarificazione a se stesso. "Tenendo presente lo stretto nesso simbolico tra il grano-pane e il processo di individuazione della coscienza umana, ci è dato di comprendere il significato del gesto di Cristo: l’uomo-grano deve morire per raggiungere la sua maturazione nel pane, raggiunta la quale è chiamato, cristianamente, a frantumarsi perché una onda di più potente vita erompa dalla maturità conquistata. E il pane spezzato rivela l’essenza del mistero cristiano che è consumazione per la vita altrui, frantumazione delle forme perché la vita ascenda in ritmi più vasti e grandiosi" (19).

Note

11) ID., Il corpo simbolo dell’invisibile, in La Parola creatrice, 3.a ed. a cura del Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte, Ed. CENS, Liscate, Milano 1993, p. 133.
12) Ibidem, p. 22.
13) ID., Meditazioni cristiane, p. 11.
14) ID., Il nome di Gesù, in Meditazioni cristiane, pp. 30-32.
15) ID., L’esperienza ecclesiale come esperienza conflittuale, in Servitium, 13 (1979), 24.
16) ID., La Parola creatrice, La Locusta, Vicenza 1967, 30 ss.
17) ID., La generazione dei figli di Dio, in Risveglio della coscienza, p. 36.
18) ID., I simboli della Settimana Santa, in Verso la luce, 2.a ed. a cura del Centro Studi Ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte – Bergamo, Ed. CENS, Milano 1990, p. 63.
19) ID., La Trasfigurazione, in Risveglio della coscienza, p. 48.

La dimensione del cuore

Molto si potrebbe ancora dire su Vannucci. Del suo pensiero ci pare importante evidenziare la centralità data a Gesù Cristo. Padre Giovanni, pellegrino dell’Assoluto e amante della vita, ha visto nell’Incarnazione il mistero che più di tutti assicura alla terra la speranza della salvezza. Cristo ci viene presentato quasi come il collettore di tutte le energie biologiche e spirituali dell’uomo, ricapitolatore dell’universo e di ogni coscienza, in quanto tutte le cose iniziano, sussistono, e trovano compimento in Lui. Così scopriamo che in Gesù Cristo di Nazareth la storia trova senso, orientamento e misura. L’umanità, come la Chiesa, non possono avere altro punto di riferimento autonomo, perché solo tutto ciò che si avvicina e partecipa in modo anche misterioso della grazia, della morte e della risurrezione di Gesù, può considerarsi degno dell’uomo, capace di dargli il senso. "La sua vicenda è la vicenda esemplare di ogni coscienza umana, le tappe salienti della sua vita sono le stesse che ogni coscienza è obbligata a percorrere se vuole giungere alla sua personale trasfigurazione" (20). Nella sua grandezza divino e umana Egli risponde a tutte le aspettative dell’uomo, ma le trascende sempre perché non può mai essere da nessuno classificato o posseduto interamente. In Vannucci questo pericolo di ridurre Cristo alle proporzioni congeniali di una certa mentalità umana è evitato nella contemplazione del mistero del "Vivente". Ed è questo che produce una profonda libertà interiore in chi lo contempla. Contemplazione che svincola il credente da ogni forma acquisita in cui uno non si deve mai totalmente identificare. Il fondo del proprio essere, infatti, è al di là dello spazio e del tempo, anche se ogni nascita ha il compito di incarnare e attuare il mistero di Dio stesso nella propria realtà. Cristo è il mistero di Dio in noi (Col 1,29). Egli è la Realtà nella quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza: dove abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,3.9).

Riguardo alla personalità di fra Giovanni Maria, di lui alcuni hanno detto che la sua esperienza è stata una specie di sforzo titanico e uno splendido isolamento. Ma se per un verso la sua partecipazione alla vita poteva avere qualcosa di radicale, di tragico e di sofferto, è anche vero che lui non hai mai perso la freschezza e la sensibilità, lo stupore e la compassione, l’amabilità gioiosa. "Egli è stato uomo di carne e di sangue con una personalità timida e forte, a volte difficile ma che con coraggio inusitato e indomito, fino alla fine, ha perseguito la rinascita che viene dall’alto" (21). La sua preghiera era essenziale come la sua vita: "lui così ritmato perfino nel respiro, imitatore del pellegrino russo, l’uomo della respirazione controllata e ritmata secondo il ritmo della Filocalia" (22). Il rito espresso in modo sobrio, ma con una gestualità e una partecipazione di tutto l’essere che lasciava trasparire ogni volta l’esperienza spirituale di quel momento. Di fatto Vannucci ha vissuto proprio in questo modo e questo ci pare il suo "atteggiamento iniziatico". Nel senso cioè di un uomo che ha percorso il sentiero del mistero delle cose penetrandoci dentro. Dal suo eremo lungamente preparato negli anni e poi offerto a tutti i pellegrini e i ricercatori di Dio, egli è come se dicesse ancora: "Bussate e vi sarà aperto", ma dovete spogliarvi di tutto e, prima di ogni altra cosa, di voi stessi. Questa è la vera conversione: il "morire a se stessi", per trovare la "perla preziosa". Ciò non è questione di testa. Va oltre la mente e al di là del compiacimento della psiche. La dimensione in cui vuol far entrare padre Giovanni è quella del cuore. Quella stessa che richiama l’attenzione al sacro che si trova in tutte le cose. Il modo di entrarci in relazione è l’ascolto della Parola creatrice. "La Parola creatrice è pronunciata fuori e dentro di noi. La Parola pronunciata fuori di noi risveglia la Parola che viene pronunciata dentro di noi. Fuori di noi come dentro di noi è la medesima voce, la medesima luce che si manifesta" (23). Ed infine, significa consapevolezza: "La via esoterica, che potrei chiamare la via della cosciente meditazione sui contenuti della propria esperienza religiosa, è il cammino che conduce dalla lettera allo spirito, dalla organizzazione esteriore alla sua anima interiore, dai dati della lettera, all’epifania dello Spirito" (24). Il discorso di fede e l’abbandono in Dio è sotteso a tutto il pensiero di Vannucci, ma egli sa che "L’uomo interiore è Dio in noi. Non sono i testi sacri che illuminano l’uomo interiore, ma all’inverso: è l’uomo interiore che illumina i testi sacri" (25). Per questo motivo egli vuol porre attenzione ai dinamismi interiori che nell’uomo si rendono attivi al passaggio dello Spirito. In questo modo Vannucci recupera ciò che viene di solito dato per scontato, o si assume senza una reale esperienza personale non divenendo più evento che operi una reale e profonda trasformazione interiore. Il messaggio che Vannucci ci lascia è quanto mai attuale. La sua testimonianza di vita ci spinge ad una libertà di spirito che vinca paure, resistenze e capace di aprire veramente il cuore. La sua consegna è quella di sempre: esplorare se stessi e affidarsi al lavorio interiore dello Spirito sostenuti da una incrollabile fiducia in Dio, sentita e vissuta sulla propria pelle come dono e compito da attuare per l’avvento del Regno di Dio.

Note

20) ID., La Trasfigurazione, in Risveglio della coscienza, p. 48.
21) S. M. MAGGIANI, Giovanni M. Vannucci dei Servi di Maria, in Testimoni nel mondo, 6 (1984), p. 49.
22) D. M. TUROLDO, Intuizioni mariane di fra Giovanni M. Vannucci, p. 239.
23) G. M. VANNUCCI, Preghiera della sera (quarta settimana), Comunità di s. Pietro alle Stinche, p. 21.
24) ID., La preghiera universale, in Fratenità, luglio (1988), p. 5.
25) ID., Preghiere alle Stinche, a cura del Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII Sotto il Monte - Bergamo, Edizioni CENS, Milano 1987, p. 67.

Letto 6642 volte Ultima modifica il Martedì, 20 Settembre 2011 18:44
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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