Vita nello Spirito

Martedì, 08 Gennaio 2013 21:34

Eckhart, uno dei migliori lettori di Agostino (Marie-Anne Vannier)

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Eckart non cita Agostino soltanto per convenzione, come può fare ogni buon teologo medievale, ma piuttosto perché trova nel vescovo di Ippona proprio il banco di prova del suo pensiero.

Fra gli autori a cui Eckhart si riferisce, il nome di Agostino è quello che ritorna più spesso. Ed è ancora Agostino che Eckart cita per introdurre il suo ciclo di sermoni sulla nascita di Dio nell’anima. Ora, l’osservazione di Agostino di cui egli si serve: “Che questa nascita si produca sempre, a che cosa mi serve se non si produce in me [1]?” non è fortuita, ma dà proprio il senso del suo ciclo di predicazione sul Natale. Più in profondità ci fa comprendere che Eckart non cita Agostino soltanto per convenzione, come può fare ogni buon teologo medievale, ma piuttosto che trova nel vescovo di Ippona proprio il banco di prova del suo pensiero.

D’altronde lo attesta lui stesso quando dedica a sant’Agostino uno dei primi suoi sermoni latini, pronunciato nella festa di sant’Agostino, o il 28 agosto 1302 o il 23 febbraio 1303; in esso egli lo presenta, mediante l’immagine del “vaso d’oro ornato di pietre preziose” [2], come la figura eckhartiana per eccellenza: quella dell’uomo nobile, che corrisponde al terzo punto del suo programma di predicazione, quale è presentato nel Sermone 53. Non soltanto, sottolinea Eckhart, sant’Agostino “è onorato a causa della nobiltà della materia (...). Era infatti un buon teologo , un logico di prim’ordine e un moralista eminente [3]”, ma inoltre “trattandosi del divino, emette le sue conclusioni in parte con l’aiuto delle conclusioni dei suoi predecessori, in parte mediante esempi presi dall’esterno, ma in parte egli contempla l’essere divino senza ricorrere ad alcun supporto materiale (...). Così il teologo è dotato di una duplice conoscenza: l’una in uno specchio e in enigma (1 Cor 13,12), l’altra in uno specchio e nella luce [4]”. Questo indica che Eckhart vede in Agostino un teologo e insieme un mistico, e con questo apre il dibattito sulla mistica di Agostino, che è stato ripreso al Congresso agostiniano del 1954 e al quale L’Encyclopedie saint Augustin fa spazio, consacrandovi un lungo articolo [5].

Nel Sermone tedesco 16b che è un po’ più tardo, Eckhart dice di nuovo che “sant’Agostino è paragonabile a un vaso d’oro forte e stabile che porta in sé la nobiltà di tutte le pietre preziose [6]” e ne allarga la prospettiva scorgendovi un paradigma per ogni essere umano. Come Agostino, ognuno può, infatti, diventare un “vaso spirituale”. Questa volta Eckhart fa un passo in più e spiega in qual modo Agostino sia stato un mistico e dunque come possa essere un paradigma per gli altri: è col vivere la filiazione divina partendo dalla attualizzazione dell’immagine di Dio in lui. Così Eckhart dice che “tutto ciò che il vaso spirituale riceve è della sua natura. La natura di Dio è di darsi a ogni anima buona e la natura dell’anima è di ricevere Dio, in ciò che l’anima nasconde di più nobile. Là l’anima porta l’immagine divina [7]”. Ora questa immagine che ha una dimensione trinitaria è prima di tutto l’immagine del Figlio. “Perciò soltanto è giusto un uomo che, senza guardare altrove, si dirige direttamente verso il Verbo eterno. In lui viene formata la sua immagine, ne riceve il riflesso nella giustizia. Un tale uomo riceve là dove il Figlio riceve, ed è lui stesso il Figlio [8]”. Questo è stato il caso di sant’Agostino ed egli esorta gli altri a vivere la stessa esperienza. In questo sermone Eckhart va all’essenziale e non espone ancora la dialettica dell’immagine con la quale svilupperà la sua antropologia, ma nondimeno dà all’immagine un posto centrale, nella misura in cui per essa si realizza la filiazione divina.

Una convergenza antropologica

Poi Eckhart metterà in opera tutto un gioco verbale intorno al termine tedesco Bild, che significa immagine, per spiegare come si costituisce l’essere umano. Ora questo gioco di parole dell’Entbildung, dell’Einbildung e dell’Überbildung, che si trova in particolare nel Sermone tedesco 40, non è senza analogia con lo schema agostiniano creatio, conversio, formatio che abbiamo nel Sermone 25 di Agostino e nei suoi cinque commentari della Genesi [9]. Ed è ancora più vicino a tutta la creazione verbale agostiniana intorno al termine latino forma.Si ha persino l’impressione che Eckhart trasponga la parola latina nel termine tedesco Bild. Indubbiamente in forma c’è una dimensione ontologia che non c’è in Bild, ma quest’ultimo termine orienta maggiormente verso l’antropologia e consente a Eckhart di sviluppare una antropologia cristiana. D’altronde l’investigazione sulla Nachwirkung della riflessione agostiniana sulla creazione e la salvezza ha dimostrato a qual punto Eckhart si situi in una linea agostiniana e come l’abbia ripresa, in vista di tradurre in maniera analoga, la costituzione dell’essere e di proporre una antropologia teologale.La sottolineatura di questa componente agostiniana porta nuova chiarezza sull’opera di Eckhart, molto studiata oggi e spesso spiegata alla luce di Dionigi [10].

Ma se, data la sua esperienza e la sua epoca, Agostino mette l’accento sulla conversione e su una conversione continuamente ripresa che incammina l’uomo verso la sua formatio, Eckhart in cambio privilegia il distacco, di cui fa il primo punto del suo programma di predicazione [11]. A parte la differenza per cui sostituisce il distacco alla conversione, Eckhart è vicinissimo ad Agostino e alla sua dialettica della realizzazione dell’essere, e forse ne è persino il miglior lettore, colui che ha tratto dalla sua opera i frutti migliori. Nella sua opera latina, in cui risponde alle discussioni di scuola, Eckhart si occupa poco dei composti di forma; ma nell’opera tedesca, invece, dove deve interessare il suo uditorio e usare le risorse della retorica, sviluppa tutta una creazione verbale intorno alla parola bild e al verbo bilden. Ora Eckhart, che può beneficiare delle acquisizioni dei suoi predecessori scolastici, va più avanti di sant’Agostino nell’investigazione ontologica, e introduce anche più radicalmente la dimensione dialettica nel rapporto che propone fra i diversi composti di bild. E neppure esita a parlare di divinizzazione. Ma la realtà a cui tende rimanda a quella che cercava sant’Agostino attraverso l’idea di formatio: la costituzione del soggetto, in dialogo con il suo creatore e in cammino verso il compimento finale.

Eckhart ha compreso la profondità della riflessione di Agostino sulla creazione e l’ha ripresa superandola più risolutamente verso la mistica e dandole una connotazione negativa, ispirata da Dionigi l’Areopagita. Infatti sviluppa tutto il suo pensiero della filiazione divina, della divinizzazione, approfondendo la relazione di creazione quale l’aveva espressa sant’Agostino nello schema creatio, conversio, formatio.

A differenza di sant’Agostino, però, Eckhart mette l’accento sulla negatività della creazione, a tal punto che la sua riflessione può stupire. Ma con questa idea di negatività egli vuole sottolineare il fatto che, lasciata a se stessa, la creazione è sinonimo di nulla: infatti essa sussiste soltanto in relazione con il suo creatore, e l’essere creato è essenzialmente esse ad. Ma Eckhart non si ferma qui e afferma invece la positività della creazione come collatio esse. In tal modo introduce tutta una dialettica, articolata intorno alla nozione di distacco, che, con la negatività che implica, concorre, per la coincidenza degli opposti, alla costituzione dell’essere. In qualche modo egli anticipa qui gli sviluppi proposti in seguito da Nicola da Cusa.

In ambito più vasto Agostino ed Eckhart sono a modo loro dei precursori delle filosofie del soggetto. Si ammette ormai che con Agostino la soggettività faccia il suo ingresso nel pensiero occidentale e che egli abbia anticipato le analisi di Cartesio sul Cogito. Parallelamente Eckhart traccia tutta una riflessione sul soggetto e persino sulla persona, attraverso figure come l’uomo nobile, l’uomo giusto, Marta...

Senza dubbio il termine soggetto non è privo di difficoltà, nella misura in cui il soggetto, propriamente parlando, non è una nozione agostiniana, né eckhartiana (si parlerebbe piuttosto dell’essere) e invece di prevedere la sua costituzione, Eckhart parla piuttosto della sua decostruzione.

D’altra parte se è vero che la precisione lessicale non è la preoccupazione principale di Agostino e di Eckhart, è evidente che la nozione di soggetto (l’ego in Agostino. Il ich, Mensche, homo, crêatûre, persône... in Eckhart) occupa un posto importante nella loro opera.

Apparentemente il distacco vi decostruisce l’io, ma di fatto è lo pseudo-io che viene decostruito, quello che vuole sempre qualche cosa, che sa sempre qualche cosa, che è sempre un luogo per qualcuno, mentre l’io profondo emerge come “una piccola scintilla dell’anima”. Così Eckhart può dire:”Costui è un uomo povero, che non vuole nulla, che non sa nulla, che non ha nulla”. Trovandosi senza forma, senza immagine, egli trova la sua forma vera, quel Etwas ohne Seele, quel qualche cosa nell’anima, quel Grund ohne Grund, quel archè anarchos, quel principio senza principio. È proprio nel momento in cui l’uomo si perde, che si trova e si costituisce. Egli allora è libero ed è addirittura libertà vera, per quella “potenza dello spirito” e per quel “piccolo castello nell’anima” al quale Eckhart si riferisce nel Sermone 2. Così si realizza l’assunzione del soggetto e dunque la sua costituzione.

La questione della costituzione del soggetto ne richiama, come in complemento, un’altra, quella della persona, abbozzato in sant’Agostino, partendo dalla teologia trinitaria, ripresa e sviluppata da Boezio, da Riccardo di San Vittore, san Tommaso, e in Eckhart, e questa rimanda alla cristologia dei due autori, che è importante, ma che sarebbe lungo trattare qui.

Mettendo l’accento sulla conversione e il distacco, sant’Agostino ed Eckhart evocano il compito dell’essere umano, l’esercizio della libertà che gli è proposto. Tuttavia conversione e distacco sono antitetici, dato che l’una rinvia alla via catafatica e l’altra alla via apofatica, che suppone per Eckhart un superamento continuo che va fino al superamento dell’essere.

Per sant’Agostino, la conversione non è tanto una figura di stile quanto una realtà che ha egli stesso sperimentato e di cui ha fatto l’asse della sua ontologia teologale, il prisma a partire dal quale ha elaborato la sua opera; cosa che non sempre è stata a sufficienza sottolineata.

Per Eckhart il problema si pone in modo diverso e suppone immediatamente che si metta in conto la dialettica, di cui il distacco è la pietra angolare. Senza dubbio la dialettica eckhartiana non è del tutto originale, nella misura in cui è segnata dalla dialettica platonica e persino più indietro da Parmenide, ma neppure si può non vedere che anticipa la dialettica hegeliana, con l’Aufhebung della Gelassenheit [12].

Questa dialettica ha una dimensione ontologica, che è stata già studiata (da Vladimir Lossky, per esempio, nel suo lavoro: Théologie negative et connaissance di Dieu chez maître Eckhart, Paris, Vrin, 1960).

Se sant’Agostino ha privilegiato la conversione ed Eckhart il distacco, ciò non è dovuto al caso, ma è la risposta a un contesto preciso: il neoplatonismo, nel caso di Agostino, il riferimento a Dionigi, ai begardi e alle beghine in quello di Eckhart.

Però la conversione e il distacco non sono l’ultima parola per Agostino e per Eckhart, non sono che un momento della dialettica della costituzione dell’essere e devono essere sorpassati nella formatio o l’Überbildung. Su questo piano Eckhart va ben oltre sant’Agostino: egli si situa sull’altra sponda e sviluppa tutta una mistica, tracciando così una teologia mistica dell’Occidente e mostrando che il centro del suo pensiero si colloca nella nascita di Dio nell’anima, nella filiazione divina, come dimostra il vangelo di Giovanni, e non nel distacco.

Due grandi lettori di Giovanni e due notevoli predicatori

Il vangelo di Giovanni è, per Agostino come per Eckhart, la fonte stessa del loro pensiero. Basta, per rendersene conto, considerare le 124 Omelia sul vangelo di san Giovanni, il suo Commento della prima lettera di san Giovanni e la cura che Eckhart diede a quella parte importante della sua opera latina che è il suo Commento del vangelo di san Giovanni. Eckhart precisa d’altronde che Giovanni “supera gli altri autori dei vangeli nella profondità dei misteri divini” e cita Agostino che, nella Città di Dio (10,29) riferisce le parole di un certo platonico il quale diceva che il Prologo di Giovanni “dovrebbe essere scritto in lettere d’oro ed esposto nei luoghi più in vista”. Ed è proprio il Prologo che, al di là dell’aspetto aneddotico della frase riportata, è la pietra angolare della loro riflessione, appunto nella misura in cui parla della filiazione divina.

Come predicatori Agostino ed Eckhart hanno dato il meglio per le loro comunità. Così Agostino è stato portato a mettere l’accento sul maestro interiore ed Eckhart sulla nascita di Dio nell’anima. Nella sua predicazione Agostino cerca di ritrovare e di far emergere il maestro interiore, che è un altro modo di parlare del compimento dell’immagine di Dio nell’uomo o della dinamica della creazione nuova, della filiazione divina, che ci fa divenire figli nel Figlio. Egli così scrive nella 26a Omelia sul vangelo di san Giovanni:

“Tutti gli uomini del suo regno saranno ammaestrati da Dio, non impareranno dagli uomini. E anche se impareranno dagli uomini, tuttavia ciò che riusciranno a capire, lo capiranno nel loro intimo, nell'intimo risplende, nell'intimo si rivela (...). Io, che sono uomo, a chi insegno se non a coloro che ascoltano la mia parola? Se io, essendo uomo, insegno a colui che ascolta la mia parola, anche il Padre insegna a colui che ascolta il suo Verbo, la sua Parola. E se il Padre insegna a chi ascolta il suo Verbo, domandati chi è Cristo e troverai che è appunto il Verbo del Padre (...). Impara a essere attirato dal Padre al Figlio”.

È la Trinità stessa che insegna. Il predicatore ha il compito di rendere attenti a questa Parola interiore, che è il punto di incontro dell’uomo e di Dio, il luogo in cui si realizza la nuova creazione. Anche se ancora influenzato dal neoplatonismo, Agostino si spinge molto avanti nella sua riflessione sulla predicazione.

Eckhart riprenderà ciò che la riflessione di Agostino ha acquisito, radicalizzandola e facendo della nascita di Dio nell’anima proprio il centro della sua predicazione, come dimostra il suo piccolo trattato sull’argomento, i Sermoni 101-104, il suo ciclo di sermoni sulla nascita di Dio nell’anima. Nel Sermone 30, in cui dà il senso della predicazione, Eckhart sviluppa una riflessione molto vicina al pensiero di Agostino:

“Predica la parola, pronunciala, esprimila, producila, genera la parola! Pronunciala” (...) cioè scopri ciò che è in te. Il profeta dice: “Dio pronunciò una parola e io ne ascolto due”. È vero, Dio non ne pronuncia che una, Il suo parlare è soltanto uno. In questo unico parlare, egli pronuncia il suo Figlio e al contempo lo Spirito santo e tutte le creature. Là dove Dio la pronuncia, essa è Dio, ma quaggiù essa è creatura. Le persone si immaginano che Dio si è fatto uomo soltanto là. Ma non è così, perché Dio si è fatto uomo qui come là, e si è fatto uomo per poterti generare come suo figlio”.

Si tratta qui della filiazione divina. Non possiamo fare a meno di constatare che la predicazione di Agostino mira alla stessa realtà; che questa realtà sia il risveglio del maestro interiore o la nascita di Dio nell’anima, non si tratta di altro che della filiazione divina. Dobbiamo parlare di mistica o di compimento della vita cristiana?

Agostino ed Eckhart, due mistici

Abbiamo già accennato a una discussione circa la mistica di Agostino. Per Eckhart la questione sembrerebbe più semplice, dato che fa parte dei mistici renani. Tuttavia alcuni suoi interpreti, come Kurt Flash, vorrebbero “salvarlo dalla mistica”, mentre altri, come Alois Haas, sottolineano che egli è stato un grande mistico. Se riprendiamo la definizione tomista della mistica: la cognitio Dei experimentalis, la conoscenza di Dio mediante l’esperienza, non possiamo non concludere che Agostino ed Eckhart sono stati dei mistici. Il primo ha veramente avuto l’esperienza dell’incontro con Dio, come racconta nelle Confessioni o nel Commentario del Salmo 41. Quanto ad Eckhart, anche se rimane più discreto sulla sua esperienza, essa però risulta da testi come il Sermone 71, dove sembra che abbia vissuto un’esperienza analoga a quella di san Paolo sulla via di Damasco.

Riprendiamo il problema: abitualmente sant’Agostino non è enumerato fra i mistici [13], non è un Padre greco e non ha scritto, come Gregorio di Nissa, dei libri specificamente mistici. Eppure C. Butler lo ha chiamato “il principe dei mistici” nel suo libro La Mystique en Occident; [14] André Mandouze ha messo in evidenza la reale esistenza della mistica agostiniana [15], e Gerald Bonner vi ha consacrato un articolo sostanzioso [16]... L’opera di Agostino è di tale ampiezza che è difficile coglierla in tutta la sua densità, ed è vero che l’una o l’altra polemica o presa di posizione dottrinale ha spesso fatto dimenticare la sua dimensione mistica e in generale non è in questa maniera che essa è stata osservata.

Anche leggendo soltanto le Confessioni vi si trovano però dei testi veramente mistici: proprio quelli che sono fondanti dell’esperienza spirituale di Agostino: Confessioni VII, 10, 16; 17, 23; 20, 26; IX, 23-25, ai quali bisognerebbe aggiungere il Commentario del Salmo 41. Senza dubbio tali testi situano l’esperienza di Agostino in un ambito neoplatonico, ma la dimensione mistica non è meno importante, perché ciò che conosce non è la fusione con l’Uno, ma l’incontro con il Dio creatore. Egli si scopre in relazione con il suo creatore che gli concede di compiersi e nello stesso tempo comprende di trovarsi lontano da lui, nella regione della dissomiglianza. Ma questa lontananza non è insormontabile, anzi il Cristo mediatore gli concede di superarsi, lui che è “la via che conduce alla patria beata”, quella che i platonici possono solo intravedere, ma dove non possono andare perché non ne conoscono la strada.

La visione di Ostia completa questa esperienza mistica di Agostino, offrendogli un pregustamento dell’eternità.

Ora non soltanto Agostino ha avuto tale esperienza fortissima della relazione con Dio, ma ha saputi immortalarla in testi memorabili, darle una dimensione universale, stabilire un dialogo quasi costante con Dio nelle Confessioni e proporre una sorta di itinerario spirituale in sette tappe nel De quantitate animae (33, 73-76).

Segnato com’è dal platonismo, egli si è orientato verso una mistica della visione piuttosto che dell’unione con Dio, e lo si vede non solo nella Lettera 147 (De videndo Deo), ma anche nel De Genesi ad litteram, e la sua riflessione ha avuto grande influenza sul Medioevo occidentale. Nel libro XII del De Genesi ad litteram egli distingue tre specie di visioni (corporale, spirituale e intellettuale) e spiega che soltanto la visione intellettuale è quella che conduce alla visione di Dio. Sottolinea che la visione di Dio ha una funzione carismatica per il popolo. Per dimostrarlo prende l’esempio di Mosè, al quale d’altronde si identifica spesso nella sua opera, in quanto monaco-vescovo che trae tutta le sua energia pastorale dalla sua contemplazione.

Se si riprendessero alcuni dei criteri che caratterizzano gli scritti mistici [17], si dovrebbe necessariamente constatare che Agostino vi corrisponde. Egli infatti mette l’accento sul desiderio e sulla sua dimensione escatologica, lui che inizia le Confessioni con l’inquietum cor e le finisce con il riposo in Dio. Parte dal tema platonico della partecipazione per parlare della divinizzazione. Sviluppa egualmente una teologia della bellezza e dell’illuminazione, adotta una prospettiva cristologica, senza dimenticare il ruolo della grazia e della carità alla quale dà un posto centrale, non solo nel Commentario della prima lettera di san Giovanni, ma anche nelle Omelie sul vangelo di san Giovanni, nel De Trinitate...

Se la componente mistica dell’opera di Agostino è stata talora dimenticata, è importante riscoprirla: ciò consentirà d’altronde di comprendere meglio l’influenza che ha avuto sulla mistica medioevale, in particolare per quel che riguarda l’inabitazione trinitaria, che caratterizza appunto la mistica di Eckhart.

Desidero ritornare su due testi di Eckhart: uno è quasi una eco del bellissimo Commentario sul Salmo 41 di Agostino, in cui egli dà, in qualche modo, la trasposizione in tedesco del termine agostiniano di formatio con quello di erbilden. Così scrive nel Sesto trattenimento spirituale:

Colui che porta Dio in tutte le sue opere e in tutti i luoghi (...) assomiglia a un uomo molto assetato (...), è così che l’uomo deve essere preso della presenza del suo Dio amato ed esserlo in lui secondo un modo sostanziale perché la presenza di Dio lo illumini.

Eckhart non riprende come Agostino, l’immagine del cervo, ma questa è soggiacente: egli evoca insieme, come il vescovo di Ippona, il desiderio di Dio e la trasformazione in Dio. Nel Sermone 75 va ancora oltre ed evoca questa volta l’introduzione alla vita trinitaria:

Là, dice, noi siamo amati nel Figlio dal Padre con l’amore che è lo Spirito santo, eternamente sgorgato e sbocciato nella sua nascita eterna.

In tal modo egli evoca la nascita di Dio nell’anima, oppure, per riprendere la parola di Massimo il Confessore, il fatto di “diventare per grazia ciò che Dio è per natura”. Questo è il motivo dell’Incarnazione e il senso della nostra vita. Come dice Eckhart nel sermone 38 seguendo Agostino: 

Perché siamo stati battezzati, perché Dio si è fatto uomo?- la cosa più sublime – direi: perché Dio nasca nell’anima e perché l’anima nasca in Dio. Per questo la Scrittura è stata scritta, per questo Dio ha creato il mondo e tutta la natura angelica: perché Dio nasca nell’anima e perché l’anima nasca in Dio.

Che cosa dire di più? La dimensione mistica risulta assai chiaramente da tali espressioni, senza contare che Eckhart tiene largamente conto della dimensione del mistero...

Da questi punti di convergenza, l’antropologia, la predicazione, la mistica, risulta che Eckhart è nel sec. XIV uno dei migliori lettori di Agostino, colui che ha penetrato le sue intuizioni per trasporle in una cultura diversa, un po’ come farà Pascal nel sec. XVII. Ora queste intuizioni non sono altro che una comprensione in profondità del senso del cristianesimo, della creazione nuova, della filiazione divina che sono all’origine di tutta una antropologia cristiana ancora eloquente oggi. Forse è appunto questo il motivo per cui Eckhart è tanto apprezzato oggi, proprio come Agostino, quando si va fino al centro del suo pensiero.

Marie-Anne Vannier

Note 

[1] Sermon 101, Sur la naissance de Dieu dans l’âme, Paris, Arfuyen, 2004, p.35.

[2] Sir 50,9: citazione ispirata dalla lettura dalla Scrittura per la festa di S. Agostino nel messale domenicano dell’epoca.

[3] Trad. J. Hess, in La Vie spirituelle 722 (1997), p. 87.

[4] Ibid. p. 88.

[5] “Mystique”, Encyclopedie saint Augustin. La Méditerranée et l’Europe IVe – XXIe siècle, Paris, Éd. Du Seuil, 2005, p. 986-992.

[6] Trad. J. Ancelet- Hustache, Paris, Éd. Du Seuil, 1974, t. I, p. 149

[7] Ibid.

[8] Ibid., p. 151.

[9] Si veda M.-A. Vannier, Creatio, Conversio, formatio chez saint Augustin, Fribourg, Éd. Universitaires, 1991, 2e éd. aug. 1997.

[10] Se Dionigi ha influenzato il pensiero di Eckhart, non è però il solo autore che ha segnato il suo pensiero.

[11] Sermone 53.

[12] O dell’Abgeschied-enheit, poiché Eckhart usa i due termini indifferentemente.

[13] Ephraem Hendriks (Augustins Verhälnis zur Mystik, Würzburg, 1936) dalla sua teologia della grazia trae la conclusione per dire che, in Agostino, c’è una dimensione troppo attiva.

[14] 3a ed., Londres, 1967, p. 20.

[15] “Où en est la question de la mystique augustinienne ? ». Augustinus Magister, t.III, 1954, p. 103-163.

[16] “Augustine and mysticism”, in Augustine: Mystic and Mystagogue, New York, Peter Lang, 1994, p. 113-157.

[17] Gerald Bonner ne ha enumerato dieci nel suo articolo.

(da La Vie spirituelle, n. 768, gennaio 2007, p. 73)

 

 

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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