Il simbolo precede e segue il Rivelatore, come se ne fosse la parte integrante, come se, senza di esso, l’opera del Rivelatore rimanesse incompleta e non potesse dare il suo pieno significato alle coscienze in attesa.
Da millenni l’uomo è abituato a pensare per immagini, anzi spesso l’immagine precede il pensiero; così da millenni l’immagine della grotta, della spelonca è familiare alla mente.
Nella storia simbolica dell’umanità la grotta segna l’aprirsi di nuovi cicli umani, collettivi e personali. La grotta di san Benedetto, le grotte di Greccio e della Verna, le grotte dei numerosi eremiti segnano l’inizio di trasformazioni compiute nella coscienza di alcuni figli predestinati dell’umanità e insieme di nuovi rapporti dell’uomo e delle cose.
Per atavismo l’uomo porta in sé la memoria della cavità nella roccia, del tepore protettivo della tana dove fu accolto e protetto nei primordi della sua esistenza. Mentre dalla spelonca ancestrale uscì l’uomo figlio della terra, da quella di Betlem uscì il Figlio di Dio e dell’Uomo, il portatore del regno di Dio.
Il piano divino nel suo svolgimento non prevede il caso, ma predispone gli eventi, così che ogni cosa sia pienamente concatenata perché sia rivelata alla mente la certezza che tutto è pieno di significato, di una recondita armonia prestabilita da una volontà sapiente.
Nella grotta il Fanciullo nasce fuori della civiltà costruita dall’uomo, fuori della cultura ufficiale; il sacerdozio, detentore delle conoscenze che preannunciavano e indicavano il luogo della nascita, non si muove nel momento della nuova rivelazione, il potere politico si agita e cerca di sopprimerla.
E dobbiamo tornare alla grotta di Betlem per ripensare che le vie di Dio non sono le nostre. La grotta è la disarticolazione di quella fiducia che ci fa ritenere assolute le nostre culture e le nostre civiltà. Dalla grotta l’Inatteso, il Nuovo erompe improvvisamente, riempiendo il mondo di vita non immaginata né immaginabile per novità di forme e intensità di vigore trasformativo.
L’immagine della vergine ricorre, nelle tradizioni di tutti i popoli, collegata con la grotta, dal cui interno scorre una sorgente dai poteri miracolosi. Basta per noi cattolici pensare alle non rare grotte che segnalano l’apparizione della Vergine, e alle acque sorgive salutari che sgorgano o dentro o nelle vicinanze. Anche questo segno ha preceduto la Rivelazione cristiana e nel momento in cui si compie ve lo troviamo in una forma che raccoglie tutte le prefigurazioni e le esprime in una maniera insuperabile.
La Vergine è la terra pura, incontaminata, non inquinata da germi umani, cosicché in essa e da essa la Vita può riprendere il suo intenso e fecondo corso. Come la grotta è l’archetipo di ogni rinnovamento dei cicli della vita umana che in essa ritrova il principio e un nuovo abbrivio, così la Vergine è quello della spoliazione totale di ogni pregiudizio, egoismo, di ogni opera dell’uomo per raggiungere una completa offerta nella purezza di un desiderio interamente devoluto allo Spirito.
La Vergine è la terra intatta che diventa perfetta ricettività delle energie divine, e insieme attività trasformatrice e generatrice della Verità. Il significato della Vergine-Madre è nella sua qualità di «essere niente» - «Sia fatto di me secondo la tua parola» (Lc 1,38), dice la Vergine all’angelo -; il suo io non è separato, la sua azione non è affermazione di se stessa nella conquista, ma offerta e abbandono di sé al volere divino.
Nella grotta incontriamo la Vergine-Madre e il Fanciullo adagiato nella «mangiatoia». La mangiatoia di cui parla l’evangelista Luca non è la greppia delle nostre stalle, ma la cesta che serviva ai pastori per portarsi dietro il cibo per le lunghe soste nei pascoli. La Vergine-Madre depose il Figlio nella sporta per il cibo dei pastori, e anche questo è un «segno» di riconoscimento del nuovo uomo, la cui novità si rivelerà nell’essere pane e vino per la fame e la sete dei cuori umili, dei pastori.
Nell’umile e necessaria sporta degli alimenti troviamo un Fanciullo fragile e indifeso. Egli rappresenta l’annullamento di tutte le immagini, di tutti i nomi con i quali l’uomo, potente e assetato di potenza, aveva rivestito il mistero di Dio. L’Onnipotente diventa impotente, Fanciullo indifeso e bisognoso del tepore di un senso di Donna, di una culla; il Tremendo diventa dolcissimo; il Condottiero di eserciti, un Fanciullo fragile, attorniato di luce e di canti che invitano alla pace.
Così la grotta, la Vergine-Madre, il Fanciullo sono i simboli dell’annullamento di quanto l’uomo ha tentato di costruire negando la semplicità e la sanità della vita.
La grotta, la Vergine-Madre, il Fanciullo sono il rovesciamento dei templi, dei riti, delle ideologie che nascono dall’affermazione di sé e dall’avidità.
In questa grotta vogliamo entrare anche noi per riconoscere il Fanciullo e la vergine che vi si rivelano. Nella grotta non ci sono soltanto dei complessi di distruzione e di libidine, di crudeltà e di paura, ma anche un complesso divino, un complesso immacolato e verginale. Complesso questo più forte dell’istinto di conservazione, superiore alla sessualità: per esso l’uomo rinnega se stesso, rinuncia alla carne e al sangue perché in lui Cristo divenga carne.
Giovanni Vannucci, I simboli della Natività, 25 dicembre, Notte di Natale - Anno C, in La vita senza fine , ed. Centro studi ecumenici Giovanni XXIII, Sotto il Monte (BG), Milano 1985, pp. 25-28.