In alcuni momenti della storia della chiesa emerge il bisogno di riforma: “ecclesia semper reformanda” è un adagio ripreso tantissime volte nel secondo millennio e nella chiesa latina, fino a dare origine a chiese “riformate” o “della Riforma”, a suscitare una “controriforma” e a provocare divisioni e separazioni di cristiani all’interno della stessa chiesa. Riforma della chiesa tutta e di ogni cristiano che nel proprio cammino spirituale deve assolutamente “deformata reformare”, cioè dare nuova forma a ciò che risulta essere diventato “deforme” rispetto al vangelo. Ma questa esigenza universale di riforma è primaria per quanti nella chiesa hanno responsabilità di governo o sono figure esemplari per tutti i cristiani: papa, vescovi, presbiteri, monaci...
Molti ricordano la riforma “gregoriana”, tentata da papa Gregorio VII nell’XI secolo, o quella amara e brevissima del papato, attuata nella sua persona da papa Celestino V alla fine del XIII secolo: Silone nel suo “L’avventura di un povero cristiano” ha descritto letterariamente la vicenda dell’eremita eletto papa suo malgrado e poi indotto o costretto a dimettersi perché impotente di fronte alle manovre della curia e agli intrighi dei cardinali. Ma non si possono dimenticare altri tentativi autorevoli da parte di chi, di fronte alla corruzione dilagante e soprattutto romana, chiedeva la riforma della chiesa “in capite et in membris”, nel papato e in tutto il corpo ecclesiale. Possiamo ricordare almeno altri due papi: Adriano VI, olandese eletto papa nel 1522, trovò subito molte opposizioni anche da parte della curia per la sua vita austera. Mentre ormai si espandeva la riforma di Lutero, papa Adriano si mostrò deciso nell’affrontare i cattivi costumi degli ecclesiastici, chiese una limitazione delle spese della corte, promosse una vigilanza sull’uso del denaro e sull’amministrazione lucrosa delle indulgenze, avviò una drastica riduzione degli uffici curiali. Riconoscendo le ragioni del movimento protestante, chiamò la chiesa a una riforma, caldeggiata anche da Erasmo, ma non riuscì nel suo intento: morì infatti dopo un anno e qualche mese di pontificato, a soli cinquantaquattro anni.
Rimanendo alle riforme tentate dal “vertice”, troviamo papa Marcello II: da vescovo e cardinale partecipò al concilio di Trento, contestando a questa assise la qualifica di “rappresentante la chiesa universale” in quanto erano assenti sia l’oriente cristiano che i riformati protestanti. Nel 1555 fu eletto papa, mantenne il proprio nome battesimale e rifiutò ogni sfarzo e fasto trionfali per la propria incoronazione a papa. Si mostrò subito convinto dell’urgenza della riforma della chiesa – a cominciare dalla curia – e della vita di preti e monaci, ormai avvezzi ad abusi e comportamenti scandalosi, non concesse favori ai parenti e assunse lui stesso con rigore uno stile di vita evangelico, povero e umile. Ma il suo pontificato durò meno di un mese… Altri tentativi li fece il concilio di Trento, in particolare attraverso l’opera di alcuni vescovi e santi fondatori o riformatori di ordini: significativamente ormai gli storici non parlano più di “controriforma” ma piuttosto di “riforma cattolica”.
Ma il bisogno di riforma emerse ancora con forza nel secolo scorso, come testimonia il titolo stesso di un’opera fondamentale di uno dei grandi teologi del Vaticano II, p. Yves Congar: “Vera o falsa riforma nella chiesa”. Così papa Giovanni XXIII e il concilio da lui voluto – proseguito e portato a compimento da Paolo VI – hanno operato una riforma sia dello stile del papato, sia di tutta la vita liturgica e spirituale della chiesa, sia del modo di porsi dei cristiani nella compagnia degli uomini. Quell’avvio di riforma, ricominciato con Benedetto XVI, oggi è stato ripreso con forza da papa Francesco che in proposito è stato esplicito fin dall’inizio del suo pontificato, manifestando il desiderio risoluto di una chiesa povera e misericordiosa. Questo suo programma essenziale richiede riforme a diversi livelli: dalla forma dell’esercizio del papato fino all’unità visibile delle chiese cristiane, dalle strutture della curia – che deve essere al servizio del papa e ancor più al servizio delle chiese locali di tutto il mondo – fino allo stile di vita degli ecclesiastici tutti. E questo, semplicemente, in nome del vangelo, di cui papa Francesco vuole essere servo e ministro.