Per scoraggiare gli speculatori e creare un gettito di 950 miliardi di dollari. Ma gli «intoccabili» del potere economico sono contrari a qualsiasi controllo del mercato. E i governi manifestano scarso coraggio.
Per uscire dalla crisi basterebbe pochissimo: una piccola tassa dello 0,05% da applicare a tutte le transazioni internazionali su capitali, titoli, valute.
Si tratta della Financial Transaction Tax (Ftt), che fino a qualche anno fa era chiamata Tobin tax dal nome del suo inventore il Premio Nobel per l'economia James Tobin.
Il primo effetto di questo intervento sarebbe magnifico: scoraggerebbe gli speculatori, quegli operatori che, coperti dall'anonimato, si muovono come sciacalli nel mercato finanziario, comprando e vendendo centinaia, migliaia di volte al giorno alla ricerca di margini di guadagno sempre più elevati, senza curarsi delle conseguenze, senza neppure capire a chi stanno fornendo o sottraendo i capitali.
Sono loro che oggi dominano la finanza, che scelgono in modo arbitrario quale impresa o quale economia deve sopravvivere o soccombere, una scelta che non ha nulla a che fare con cose reali come il valore di un'attività economica, la solidità di un'impresa, il tasso di occupazione, la salvaguardia di un territorio.
Questi aspetti non contano in un sistema finanziario che ha come unico movente l'arricchimento immediato e una natura prevalentemente speculativa.
Proprio questa è la causa della crisi finanziaria scoppiata nel 2008, un disastro che sta lasciando uno strascico di fallimenti, imprese chiuse, disoccupazione, reati di cui non riusciamo neppure a capire l'entità.
La piccola tassa, il prelievo dello 0,05% sarebbe un argine, un freno alla speculazione.
Avrebbe anche un altro importante risultato: proprio perché il mercato finanziario è frenetico ed è caratterizzato da milioni di transazioni giornaliere, il .gettito che ne deriverebbe è molto consistente. Se la Ftt fosse applicata nella sola Unione Europea gli stati membri ne ricaverebbero fino a 400 miliardi di euro, se l'applicazione riguardasse tutto il mondo, i bilanci pubblici si rimpinguerebbero di 950 miliardi di dollari l'anno.
Quanti piani di sviluppo economico, promozione sociale, cooperazione internazionale, lotta alla povertà si potrebbero finanziare? Basti un dato: per raggiungere gli Obiettivi del Millennio, che sono stati promessi dai Governi all'Onu entro l'anno 2015, sono necessari 100 miliardi di dollari.
Grazie alla piccola tassa, tutti i bambini e le bambine andrebbero a scuola, le mamme potrebbero partorire in salute, si potrebbe fornire cibo agli 800 milioni di affamati che vivono sul nostro pianeta, il resto potrebbe servire a rilanciare progetti di sviluppo economico e occupazionale, piani di inclusione sociale per cittadini immigrati e così via.
Tutti i cittadini e tutti i paesi ne trarrebbero vantaggio. Ma perché questo meccanismo, così utile, non è stato ancora adottato?
Innanzitutto per un'opposizione ideologica, una parte dell' establishment economico è contraria a qualsiasi aumento della fiscalità, a ogni forma di controllo del mercato, che deve essere lasciato libero per funzionare bene. In realtà, l'ultima crisi finanziaria ha dimostrato che si contrabbandano per libertà, l'avidità, la mancanza di trasparenza e il rischio esasperato, ma al di là delle diverse opinioni, la risposta a questa obiezione è che l'entità minima della Ftt non scoraggerebbe i buoni investitori, quegli che operano sul mercato con un'ottica di lungo periodo e che mettono i capitali a disposizione delle imprese e dell'economia reale.
Il secondo motivo è determinato dal fatto che le banche e i loro manager rappresentano un blocco di potere che la crisi non ha intaccato, sono gli intoccabili della nostra epoca, quelli che pagano le potenti lobby per convincere i parlamentari e i ministri a votare contro ogni provvedimento che modifichi lo status quo.
Il terzo sta nella mancanza di volontà politica, nello scarso coraggio di governanti e pubbliche istituzioni, che hanno paura di mettersi contro il potere economico e preferiscono far pagare ai cittadini il costo di un mercato che non funziona. L'ultima crisi ha comportato esborsi giganteschi per i bilanci statali, alla fine del 2009 è stato pubblicato un rapporto dell'Ocse, l'organizzazione per lo sviluppo dei paesi più ricchi e industrializzati, in cui si calcola che i piani di salvataggio delle banche messi in atto nell'ultimo anno sono costati alle casse pubbliche 1.400 miliardi di dollari. Sarebbe dunque proprio questo il momento per pensare a una nuova tassa che colpisca i ricchi speculatori. Alcuni responsabili politici si sono già espressi a favore, ad esempio il presidente francese Sarkozy e il Parlamento europeo.
Gli altri vanno convinti, ecco perché numerose Ong, sindacati e associazioni europee hanno lanciato una campagna di pressione sui governi, oltre che per il G20 di Toronto (campagna chiamata Zerozerocinque.it).
La campagna è partita anche in Italia e propone a tutti di mandare al ministro Tremonti la petizione presente sul sito www.zerozerocinque.it, è promossa da realtà diverse, come la Cisl, l'Arci, la Caritas, Banca Etica, accomunate dalla convinzione che è ormai venuto il momento di ridare la parola ai cittadini su questioni sicuramente complesse, come la regolamentazione dei mercati finanziari, che però influenzano pesantemente la loro vita e quella dei loro figli
di Sabina Siniscalchi
Fondazione culturale`di Banca Etica
MC - Luglio-Agosto 2010