I Dossier

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Spiritualità Marista 
di Padre Franco Gioannetti 


   



Diciannovesima parte


Senza forzare il principio allegorico di ombra-verità, prefigurazione-realizzazione, è pur sempre possibile, proprio per il principio di unità che presiede tutta l'economia salvifica, penetrare la relazione di dipendenza reciproca tra i diversi "momenti" della vita di Cristo.


Dal punto di vista imitativo è pur sempre legittimo riferirsi con particolare preferenza ad uno o all'altro aspetto di chi ha realizzato in sé, e quindi ha manifestato agli uomini, la pienezza della santità. È questo il principio che legittima il "carisma" dei diversi Istituti religiosi, nella vita dei quali viene espressa la ricchezza e la varietà del doni spirituali (cfr. PC 1).


La loro stessa diversità caratterizza in concreto la multiforme sapienza e l'infinita santità di Dio racchiuse in Cristo e che nessun Istituto, da solo, è in grado di esplicare in modo compiuto. Cristo, modello di vita consacrata al Padre nel dono di sé, è fonte inesauribile per chi intende imitarlo. Lo è in tutti i diversi momenti della sua esistenza storica, da Nazareth alla croce. I suoi anni di vita nascosta non sono diversi da quelli della missione pubblica: il culmine di tutti è il Getsemani, che esplicita, in modo fortemente sofferto, la sua piena obbedienza al Padre, che vuole la "sua vita in riscatto per molti" (Mc. 10, 45; Mt. 20, 28). Nascondimento e missione appartengono, allo stesso titolo, all'unico mistero di Cristo e sono strettamente collegati anche nella vita della Società di Maria.

 Spiritualità Marista 
di Padre Franco Gioannetti 


   


Diciottesima parte


Una lettura staccata, condotta per compartimenti stagni, della rivelazione divina in ordine alle prodigiose opere salvifiche dì Dio, potrebbe facilmente indurre a considerare la stessa vita storica di Cristo come un susseguirsi di episodi privi di un filo conduttore, di una regia che, nell'assoluto rispetto della libertà dell'uomo, ne dirige infallibilmente il corso anche nei minimi particolari. Questo principio di unità di lettura della Storia biblica, si dimostra essenziale per la lettura della vita di Gesù di Nazareth, per la comprensione profonda dei tempi del suo nascondimento. L'attenzione va posta sull'unità intrinseca della rivelazione alla luce del supremo principio dell'unità del mistero di Cristo e dunque dell'unità dei due Testamenti. Quanto il Concilio Ecumenico Vaticano II enunzia sull'"economia di salvezza preannunziata, narrata e spiegata dai sacri autori", la quale "si trova in qualità di vera Parola di Dio nei libri dell'Antico Testamento; per ciò questi libri divinamente ispirati conservano valore perenne " (Dei Verbum Cost. Concil. 14) può essere legittimamente applicato anche all'interno dell’economia salvifica del Nuovo Testamento, inclusi gli "anni oscuri di Gesù", in rapporto a quell'adempimento definitivo che è la Pasqua.


Per quanto possa apparire come una forzatura, l'affermazione che gli anni oscuri dell'infanzia e della giovinezza, ossia il tempo della vita di Gesù a Nazareth, siano la sua preparazione alla missione pubblica, essa muove dal principio dell'unità intrinseca sia della stessa rivelazione che di tutta l'opera salvifica. Questa unità dipende dalla unità di tutta la storia sacra sotto il primato del Nuovo Testamento sull’Antico e delle realtà escatologiche su quelle dell’economia attuale.

 

Spiritualità Marista 
di Padre Franco Gioannetti





La famiglia di Nazaret una ispirazione e un modello
(Diciasettesima parte)


Abbiamo fin qui visto alcune linee portanti della spiritualità marista.


Ora rifletteremo su una icona molto cara al P. Colin: la famiglia di Nazareth



Iniziamo con una esposizione orientativa sul tema che è opera di don Carlo Morandin, monaco benedettino dell’abbazia di Subiaco.



IL "MISTERO DI NAZARETH"


Parte del grande mistero di Cristo



La vita della famiglia di Nazareth appartiene alle realtà della Bibbia. Il suo "interno " è comprensivo di ulteriori realtà bibliche: incarnazione, natività, epifania, vita nascosta. Il suo "contesto" sono la pienezza dei tempi: gli ultimi tempi in atto, cioè presenti nella storia. Sono i tempi della comunicazione e manifestazione plenaria e definitiva di Dio nella persona di Cristo.


Tali "realtà" altro non sono che le fasi di una realizzazione sempre più perfetta dell'unico mistero di Cristo, la cui concretizzazione storica si svolge come per abbozzi successivi. Il succedersi "storico" della realizzazione concreta indica che i fatti antecedenti sono preparazione, annunzio, prefigurazione dei susseguenti. Nessuna fase della rivelazione divina è separata dall'altra; il loro succedersi non è caotico ma ordinato. Si tratta di una economia, di un piano i cui diversi momenti storici appartengono all'unica opera salvifica di Dio perfettamente adempiuta nel mistero di Cristo. E poiché tutte le realtà di cui parla l'Antico Testamento si realizzarono nella vita storica di Cristo, ogni momento di quest'ultima appartiene all'unica e sempre presente economia di salvezza.


Così la rivelazione evangelica è stata preparata dal grande "Avvento" storico: la chiamata di Abramo da parte di Dio per farne il capostipite di un grande popolo, le vicende dei Patriarchi, la mediazione di Mosè e il grande Esodo storico, la predicazione dei profeti che prepara Israele a ricevere il Messia-Salvatore. I "tempi forti" della storia della salvezza si collocano nella storia dei secoli dell'"attesa", fino all’avvento di Cristo, i cui anni di vita nascosta appartengono allo stesso mistero della sua Pasqua e dono dello Spirito.


Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Sedicesima parte


Ed è proprio per questa via che P. Colin, accettando umilmente "l’abbassamento" ad imitazione del suo Signore, avrà coscienza che l’inserimento nella kenosis del Cristo è un elemento fondante della vita marista e proporrà perciò l’umile realtà nazaretana come modello di vita, insegnando come essere Chiesa, con discrezione, in un’epoca storica gelosa della sua autonomia. Egli indica perciò il nascondimento di Nazareth come punto focale in cui si incontrano le esperienze fatte, le proposte presentate, l’umile possibilità di servizio nella gratuità e precarietà.


Ci troviamo dunque di fronte ad un grande disegno concepito affinché uomini e donne, religiosi, religiose e laici, vivano nel mondo la "vita apostolica" con la fiducia e l’entusiasmo di chi si è lasciato plasmare dal Signore.


Siamo così giunti alla fine della prima parte del nostro cammino.


Proseguiremo per gradi, riflettendo su



  • "La famiglia di Nazareth, una ispirazione ed un modello"

  • "Il carisma marista"

  • "La spiritualità che ne deriva"

  • "La spiritualità della missione marista"

Un cammino dunque, in ogni caso pluriennale, che offrirà a te, visitatore o visitatrice di questo sito, una proposta ed un conseguente approfondimento di vita, perché tu possa, come Maria, camminare e crescere alla sequela di colui che è l’Unico.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Quindicesima parte


A questo punto del nostro cammino possiamo essere gioiosamente stupefatti perché ci troviamo di fronte ad un messaggio, ad una proposta di spiritualità, pieni dell’esperienza di Dio e cioè di fronte ad una vita attentamente e continuamente riletta a livello di fede. Ci troviamo di fronte al cuore di P. Colin, al cuore di un povero, ad un cuore che sapeva ascoltare.


Il messaggio è tale perché il padre, attraverso gli avvenimenti della sua vita, aveva appreso ad umiliarsi davanti a Dio, a non riporre in nessun altro la fiducia se non nel suo Signore, come Maria. Un messaggio recepito attraverso la preghiera, rileggendo la sua vita alla luce della fede e trasmesso poi ai suoi figli ed alle sue figlie di ieri, di oggi e di domani.


Non trionfalismi, non l’insinuarsi sia pure per buone ragioni nella società umana, non missioni roboanti, ma servizio umile, nascosto e, se necessario, gratuito; niente titoli o cariche, ma precarietà, disponibilità per situazioni di emergenza.


È uno spogliamento da ogni pseudo-sicurezza, vissuto, potremmo dire in termini biblici, avendo come sottofondo "deserto ed esodo".


Una proposta di spiritualità che è invito all’umiltà, all’abbassamento, alla povertà materiale e spirituale, alla modestia, alla vita nascosta, alla semplicità, all’abbandono a Dio.


Un abbandono che è esperienza nella pace, è dedizione alla volontà di Dio, dedizione che non annienta ma fortifica.


Teniamo allora presente che quando attraverso la porta della "povertà in spirito" si entra nella fede, la vita dell'uomo ne resta marcata, perché non siamo noi a possedere la fede, ma è la fede a possedere noi.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Quattordicesima parte


Ed è proprio su questo punto che emerge un aspetto spirituale e mistico che deve caratterizzare i maristi, lo spirito d’infanzia.

Dice infatti P. Colin:

"Siate come i bambini... (di fronte a Dio) essere come un bambino accanto a suo padre; a questo bambino è sufficiente sapere di essere accanto a suo padre".

Cosa è dunque lo spirito d’infanzia?

Se la legge della kenosis è: "salire discendendo", quello dello spirito d’infanzia è: "crescere nelle mani del Signore diventando piccoli".

È un’abdicazione a noi stessi, un atteggiamento umile dell’intelligenza.

Questo non vuol dire che non si debba avere buon senso; è piuttosto un adattarsi alla guida di Dio.

Questo atteggiamento è stato caratteristico di Maria: ha saputo seguire i segni di Dio ed obbedirgli anche nella notte della fede, quando le contraddizioni segnavano la sua vita, durante i periodi oscuri in cui non accadeva nulla.

Questo spirito di infanzia che P. Colin indica e che è tipico di Maria, deve caratterizzare la vita di coloro che in qualche modo fanno parte della famiglia marista, esso è fatto di umiltà di spirito, di diffidenza verso il proprio giudizio, di fiducia instancabile nella guida che Dio esercita su di noi, di prontezza nel saper rinunciare ai propri schemi mentali, di ricerca della volontà di Dio, di prontezza nel seguirla al di là dei nostri progetti personali.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Tredicesima parte


Quanti i punti di confronto e di incontro tra questa tendenza spirituale e la spiritualità trasmessa da P. Colin?


I maristi, come emerge dai due volumi maristi "Quelques souvenirs" e "Entretiens Spirituels", debbono essere umili, obbedienti, nascosti come Gesù negli anni oscuri di Nazareth ed attraverso la via dell’umiltà, cercare la santificazione perché è dalla confidenza in Dio, dall’umiltà, dall’abnegazione che i maristi traggono la loro forza.


In spirito di semplicità, senza pensare troppo a se stessi, essendo "piccoli" e "nascosti", debbono cercare non i favori e la protezione umana ma, come Maria, la volontà di Dio, e ciò solo ed innanzitutto; agendo come uomini liberi perché non hanno nulla da perdere.


E poiché un essere povero ed umile si distacca da ciò che è contingente per riempirsi di ciò che è eterno e divino, occorre: vivere una vita di fede sapendo abbandonarsi, come Gesù nel suo abbassamento (=Kenosis).


Questi concetti sono ricorrenti nelle parole che P. Colin rivolgeva frequentemente ai suoi confratelli:


"... Non vedere che Dio solo, ...non agire che per Dio solo..."


"Non ricerchiamo noi stessi... ma avere una grande fede, una grande confidenza in Dio..."


"... Il mezzo di fare molto per Dio e... abbandonarsi..."


"... Bisogna andare verso Dio con abbandono, con la semplicità di un bambino..."


"... Secondo l’esempio di Gesù Cristo che ha abbandonato il seno del Padre per venire incontro agli uomini..."


Naturalmente - raccomanda P. Colin - sempre con grande confidenza in Dio. Infatti più ci si riconosce deboli più si è vicini a Lui, e più si ripone effettivamente la propria fiducia in Dio e in Maria, più si farà del bene. Senza far parlare di sé, in silenzio, nel nascondimento come Gesù e sua madre a Nazareth, sapendo vivere coerentemente anche nella notte della fede; seguendo Gesù Cristo, con abnegazione ed un cuore indiviso, senza lasciarsi influenzare da tendenze mondane o dal desiderio di potere, con un cuore semplice e povero, come fanciulli.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Dodicesima parte


Fin dai tempi apostolici la trasmissione del messaggio di Cristo è avvenuta attraverso la Parola, la predicazione, la testimonianza di una vita povera ed umile.


Povertà, umiltà, nascondimento hanno caratterizzato infatti la vita di tanti ordini religiosi e di vari movimenti spirituali, sia che fossero fedeli alla Chiesa, sia che vivessero ai margini o fuori di essa.


In tempi più recenti, lo vedremo meglio più avanti, la spiritualità francese, ancora viva al tempo di P. Colin, poneva in stretta relazione "vita nascosta" e "abbassamento" o "kenosis del verbo", per essere "ignoti et occulti", tipica espressione coliniana, nell’atteggiamento della creatura che "abbassandosi" si rimette a Dio, deve continuamente guidare l’esistenza sia dei maristi, sia di coloro che aderiscono alla spiritualità marista, verso un ideale di nascondimento collegato con l’abbassamento o Kenosis del Verbo nell’incarnazione ed a Nazareth; deve renderli, o per meglio dire renderci, sempre pronti a lasciare che Dio disponga delle loro esistenze nel senso voluto da lui.


Vivere come "ignoti et occulti" sarà dunque per i discepoli di P. Colin un "modo spirituale" di imitare, interiormente e nello stile di vita, le disposizioni di Cristo negli anni oscuri.


Svilupperemo in un capitolo successivo il carisma della Società, ma già fin d’ora possiamo dire che esso coinvolge chi le appartiene:



  • Sia in una somiglianza a Maria;


  • Sia in una imitazione, il più da vicino possibile, del Signore;


  • Sia nel lasciarsi guidare dalla grazia di Colui che "si è fatto obbediente fino alla morte".

E’ un carisma che getta le sue radici in una profonda visione di fede e genera nei maristi:



La volontà di avere Maria come modello, e quindi l’impegno a fare proprio lo spirito di Maria come suggeriscono l’art. X, al n° 49 le Costituzioni del P. Colin.


Inoltre genera ancora:



  • Un amore appassionato e totale a Gesù Cristo e perciò la tensione a configurarsi a Lui fino a mettere, come Gesù, il compimento della volontà del Padre al centro della propria vita;


  • Ed infine il conseguente "lasciar disporre di se stessi" nel senso voluto da Dio come il "sì" di Maria ed il "la tua volontà sia fatta" di Gesù.

Diceva in proposito P. Colin nel libro "Parole di un fondatore":



"Bisogna ben che vi rivestiate di Nostro Signore…rivestendovi di lui voi sarete in pace"



"Noi dobbiamo amare tutto ciò che Gesù Cristo ha amato, aborrire tutto ciò che ha aborrito. Questa conformità con i sentimenti e la vita di Gesù Cristo deve essere il soggetto delle meditazioni di tutta la nostra vita"


e raccomandava durante un ritiro generale:



"Non uscite da questo cenacolo che morti a voi stessi, vivendo della vita di Gesù".


Tutto questo facendosi plasmare dallo Spirito "piccoli e nascosti" come Maria e come Gesù a Nazareth.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Undicesima parte


Colui che infatti realizza il tipo di povero per eccellenza, colui che costituisce il vertice degli "anawim" è Cristo, il "servo di Jahvè", nel quale tutti i cristiani si riconoscono dipendenti da Colui che li ha creati.

Non più dunque un messia guerriero, dominatore, regale, ma un servo, di cui parla il salmo 22, salmo nel quale gli evangelisti hanno visto descritti in anticipo parecchi episodi della Passione:

"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?

Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
Si è affidato al Signore, lui lo scampi;

come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa

essi mi guardano, mi osservano:
si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte

I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano"
(Sal. 22)

Sarà il Messia sofferente quale ci viene presentato anche dal profeta Isaia (vedi 1/b):

"Ecco il mio servo che io sostengo,
il mio eletto in cui mi delizio.
Ho posto il mio spirito su di lui;
egli porterà il diritto alle nazioni.
Non griderà né alzerà il tono,
non farà udire in piazza la sua voce,
non spezzerà una canna incrinata,
non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta" (Is. 42, 1-3).

"Ho presentato il dorso ai flagellatori,
la guancia a coloro che mi strappavano la barba;
non ho sottratto la faccia
agli insulti ed agli sputi" (Is. 50, 6).

Qui non si parla più di armi imbattibili, ma di sofferenza e di povertà volontarie, di abbassamento o, per usare un termine classico, di "Kenosis".

Servo sofferente, umile, povero, il Messia porterà il Vangelo ai poveri, consolerà gli afflitti, aprirà gli occhi ai ciechi.
Lui stesso dirà di sé leggendo il libro del profeta Isaia:

"Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per portare ai poveri un lieto messaggio" (Lc. 4, 18-19).

ed in un secondo momento inizierà il Discorso della Montagna con le parole: "Beati coloro che hanno un’anima di povero…".

Venuto ad annunziare ai poveri la Buona Novella, la sua condizione umana fu un abbassamento come dice S. Paolo nella lettera ai Filippesi:

"pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
ed alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato
E gli ha dato il nome
Che è al di sopra di ogni altro nome" (Fil. 2, 5-9).

Per esplicitare meglio l’idea riportiamo il testo del Dizionario di Spiritualità alla parola "kenosis"

"Cioè Cristo si è privato della gloria che gli competeva come uguale a Dio e si è umiliato; in questa ‘privazione di gloria – umiliazione’ entra la povertà. Cristo povero vive in obbedienza a Dio, in accettazione libera della povertà (Fil. 2, 7-9). Ma, per l’intervento di Dio si ha un rovesciamento di posizioni: la kenosis (abbassamento) – tapeinosis (povertà) conduce alla doxa-gloria (2 Cor. 8/9).

Prendendo così una natura inferiore, quella di schiavo, il Salvatore non solo abbandona la maestà divina e gli onori divini ai quali ha diritto come Dio, ma accetta di condurre una vita veramente umana, di essere riconosciuto esteriormente come uomo attraverso l’intero corso di una vita di obbedienza , di umiliazione e di dolori. Così lo spogliamento, di cui l’apostolo fa un esempio di abnegazione per i Filippesi, avvolge di sé non solo il fatto dell’incarnazione, ma tutte le conseguenze della vita di umiliazione e di obbedienza accettate da Cristo in vista della salvezza
".

Avevamo scoperto la profondità della povertà-umiltà di Maria, ora l’abbiamo compresa meglio conoscendo la povertà di Gesù:

"Gesù, vita, luce e maestro, ci ha indicato, ponendosi come modello ed aiuto vitale, la via che il discepolo deve seguire.
Il "povero", infatti, spoglio di se stesso e di interessi personali, sa abbandonarsi, anche nella notte della fede; sa rinunziare alle proprie idee, sa mettere da parte i propri progetti per ricercare ed accettare il progetto di Dio, facendo del restante "tabula rasa" per essere veramente un umile strumento nelle mani di Dio.
Il fatto che Cristo si sia "umiliato" accettando la forma di "schiavo", diventando obbediente fino alla morte, ha spiritualmente ritmato, con vicende alterne, attraverso i secoli, la vita della Chiesa"
.

Spiritualità Marista

   

di Padre Franco Gioannetti


Decima parte


Maria ha scelto lo spogliamento radicale della persona, una condizione di vuoto che deve divenire disponibilità, abbandono confidente in Dio


Tra gli "anawim" o "poveri di Jahvè" risalta Maria ed è sulle sue labbra che Luca pone, in modo significativo, il canto del "Magnificat" nel quale risuona la sintesi delle attese dei "poveri" di Israele e che è un riecheggiare delle ancora più antiche speranze espresse dagli "anawim" nel cantico di Anna (1Sam. 2,1-10).


I normali progetti di una giovane donna sono stati sostituiti, nella vita di Maria, dal progetto di Dio; lei infatti ha accettato di abbandonarsi in tutto alla volontà di Dio.


E così di giorno in giorno Maria, degna rappresentante degli "anawim", ha espresso, nello spogliamento, la totalità della sua fede rispondendo "eccomi" alle esigenze di Colui che l’aveva chiamata.


Ecco dunque Maria, la prima discepola, donna di fede, la cui vita fu segnata dalla durezza delle difficoltà che accompagnarono la sua esistenza di Madre di Dio.


Ecco Maria senza le alterazioni del "meraviglioso" attribuitole dagli uomini, ma sempre arricchita dalle "meraviglie di Dio", nella sua esistenza umana, vissuta nello spogliamento radicale che la caratterizza.


E proprio per questo l’evangelista le pone sulle labbra il Cantico che è il grido di gioia di quel popolo povero ed umile, capace di attendere, sperare, cercare ed accogliere, nel quale Jahvè aveva promesso di riversare la gioia messianica:


"udranno in quel giorno
i sordi le parole di un libro;
Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,
i più poveri gioiranno nel Santo di Israele.
Perché il tiranno non sarà più…
Saranno eliminati quanti tramano iniquità,
Quanti…rovinano il giusto per un nulla"
(Is. 29, 18-21)


Ecco dunque Maria "vera povera" con i "veri poveri", coloro cioè che "pii, giusti, fedeli, puri di cuore, hanno saputo, attraverso il tempo, tenere deste le speranze.


In Maria, quasi in una visione ecclesiastica cara a P. Colin, si incontrano e formano un solo popolo gli antichi "anawim" di Israele ed i "piccoli" del Regno di Dio, reso presente dal Messia; perciò il suo cantico raccoglie le voci del passato ed anticipa quello delle genti che verranno.


Maria riassume i salmi dei "poveri di Israele ed inaugura le beatitudini di coloro che sono miti ed umili di cuore a somiglianza del Figlio di Dio che, come dice S. Paolo nella lettera ai Filippesi, ‘annientò’ se stesso, prendendo la condizione di servo".

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