«Nel1942, a Parma, in un’Italia nel pieno della seconda guerra mondiale, tre giovani missionari Saveriani fondarono il Cem».
A raccontare è Brunetto Salvarani, che oggi lo dirige. E continua: «All’inizio Cem voleva dire Centro di educazione alla Missionarietà. Poi, quando la parola era ancora sconosciuta ai vocabolari, nel 1967, anche sulla spinta del Concilio Vaticano Il, la terza parola divenne Mondialità. Si era capito che il mondo stava cambiando e intuito quanto la capacità di dialogare avrebbe permesso la scoperta di nuovi territori di pace e coesistenza».
La funzione storica del Centro è quella di provocare un cambiamento di mentalità in educatori e insegnanti. Da quel lontano 1942 il inondo si è trasformato, ma l’importanza della formazione dei giovani, l’educazione all’intercultururalità rimangono valori fondamentali per lo sviluppo delle società civili.
«Non lavoriamo direttamente nel campo della didattica - aggiunge Salvarani - o per esser precisi non siamo fautori di tecnicismi didattici. Il nostro obiettivo è più pedagogico. Tanti sono stati i nostri collaboratori. Fra gli altri, Alberto Manzi, il famoso “maestro” che dalla Tv degli anni Sessanta insegnava a leggere e scrivere a un popolo ferito da un analfabetismo molto diffuso, il sindaco santo di Firenze Giorgio La Pira, e Padre Domenico Milani, uno dei grandi direttori del Cem. E poi Paulo Freire, tra i maggiori pedagogisti del nostro tempo, il filosofo del volto dell’altro, Emmanuel Lévinas, e Ivan Illich, straordinaria figura di libero pensatore».
Il Cem ha una struttura operativa molto semplice ed efficace. Un piccolo staff a Brescia e 40 educatori sparsi per il Paese. Intorno a queste donne ed uomini c’è una rete di gruppi che sostiene l’ossatura dell’intero progetto. Il Centro organizza un convegno nazionale annuale, laboratori di didattica, corsi di formazione. Pubblica una rivista mensile, gestisce un sito Internet (www.cwm.coop) e, con l’Editrice missionaria italiana Emi, stampa almeno 10 llibri l’anno divisi in tre diverse collane.
EDUCAZIONE SOMMERSA
Salvarani prosegue: «Nel Convegno del 1986, Freire sostenne che l’educazione è “politica” in ogni caso, a servizio o della liberazione o dell’asservimento e che quindi “liberare l’educazione sommersa” è una scelta imprescindibile. Io, in quel periodo, avevo scoperto che i confini delle appartenenze tradizionali mi stavano stretti. Faticavo a restare nella dinamica tradizionale della parrocchia, delle comunità giovanili e ho avuto bisogno di aprirmi ulteriormente. In quel periodo mi sono messo alla ricerca di qualcosa di più, pur mantenendomi sempre in una dimensione cattolica. E ho cominciato a scoprire l’altro, cioè gli altri percorsi religiosi. Gli studi di teologia mi hanno aiutato a percepire la dimensione dell’alterità. Ho scoperto l’Ebraismo studiando la Bibbia. La prima volta che sono andato in Israele, nel ‘79, mi sono sentito girare la testa, mi sono reso conto della scoperta di un’appartenenza di una passione. E quindi ho cominciato a occuparmi del villaggio della pace, Nevé Shalom - Waahat as-Salaam, della cui associazione italiana ora sono vicepresidente».
sono nato in Egitto dove ho vissuto diciotto anni. Porto quindi in me quattro identità. Sono veramente cristiano e prete, veramente ebreo, veramente israeliano e mi sento pure assai vicino agli arabi, che conosco».
OASI DI PACE
Il direttore del CEM, parlando di Nevé Shalom - Waahat as-Salaam, per il quale nei primi anni ‘90 il movimento si impegnò in una Campagna di solidarietà che diede buoni frutti, spiega: “L’ipotesi è che, nonostante il conflitto arabo-palestinese si possa arrivare a una condizione di rispetto reciproco e di pace. Uno degli strumenti è la Scuola per la pace, dove si è passati dalle scuole della guerra, che insegnano le armi, a una scuola che insegna la pace. Un altro è “Dumia”, che significa “silenzio profondo”. Hussar aveva inizialmente pensato a una specie di chiesa a tre ante con spazi per i cristiani, gli ebrei e i musulmani. Quando un capofamiglia agnostico gli fece notare che per loro lì non c’era spazio capì che non era ancora il momento per una cosa del genere, ma era il tempo del silenzio. Una realtà ancora più profetica, soprattutto se la legge attraverso un filtro delle parole di Gesù alla samaritana, come è scritto nel Vangelo di Giovanni (4, 21-24): “Credimi donna, è giunto il momento in cui né su questo monte né in Gerusalemme adorerete il Padre (….) Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Hussar aveva intuito che la strada era il silenzio e Dumia è il segno del silenzio, anche perché in questo momento purtroppo gli esseri umani non riescono a far la pace, riescono solo a fare la guerra.
In un’epoca nella quale le differenze sembrano far soccombe i principi della coesistenza e il pianeta appare sempre più attratto dai muri piuttosto che dai ponti, Salvarani conclude: «Io credo che “dialogo” sia oggi una parola indispensabile, una di quelle scelte di fondo decisive non per il Cristianesimo, l’Ebraismo, l’Islam, ma per l’uomo o la donna oggi. Negli ultimi anni stiamo lavorando al nostro progetto di Intercultura. Dopo il pionierismo degli anni ’90 è arrivato il momento di un salto di qualità. In Italia dobbiamo superare l’emergenza e comprendere la “normalità” della nostra società ormai multietnica. La scuola, l’educazione sono al centro di questo meraviglioso viaggio verso la condivisione. La nostra rivista compie quarant’anni e li festeggeremo nel solco delle cose che ho detto, per formare una nuova coscienza nella scuola e nella società, basara sulla “convivialità delle differenze”.
Certo, sappiamo di andare controcorrente, ma non erano controcorrente quei tre giovani che mentre infuriava la guerra hanno avuto il coraggio di indicare la strada della pace e della mondialità?».