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Venerdì, 07 Luglio 2006 01:27

La speranza che non delude (card. Godfried Danneels)

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La speranza che non delude
card. Godfried Danneels



Come combattere la depressione? Come vivere la speranza, giorno per giorno, in tempi difficili? Da cosa si può riconoscere che noi siamo degli “esseri di speranza”? Perché la speranza non è un pio pensiero, un'ipotesi gratuita ma deve manifestarsi nel comportamento quotidiano. In altri termini, c'è “una spiritualità della speranza”? Tentiamo di discernerne i componenti.

Tutta la vita cristiana è costruita su tre pilastri: fede, speranza e carità. Essi si tengono in reciproco equilibrio. Se si rompe l'equilibrio, il cristiano perde, per così dire, la bussola. Vacilla.

FEDE E SPERANZA

Senza la fede la speranza non può vivere: si trasforma nel sognare. Secondo la lettera agli Ebrei, “la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono” ( Eb 11, 1) . Senza la fede negli eventi salvifici - Antico e Nuovo Testamento - la nostra speranza è solo immaginazione, una chimera.

Al contrario, senza la speranza, la fede è morta: una fossa comune dei fatti del passato che serve solo a popolare la memoria; non c'è più niente da aspettarsi, non c'è più niente di nuovo da vivere. Certamente, un tempo è successo qualcosa, ma la “rivoluzione” a fatto il suo tempo e il vulcano si è spento.

Questo gioco sottile della fede e della speranza è uno degli ingredienti di una spiritualità equilibrata: ne determina il grado di salute. Perché, nella fede, c'è già una parte di speranza: noi crediamo nella Risurrezione del Cristo a titolo di garanzia della nostra propria risurrezione che verrà. Ma nella speranza c'è anche una parte di fede: la speranza trova uno stimolo che gli offre la fede. Poiché la promessa si è già realizzata, essa si può nuovamente realizzare.

DOPPIA TENTAZIONE

In questo ambito il cristiano è sottoposto a due tentazioni: quello della temeraria fiducia nella novità e quella della mancanza d'immaginazione.

Colui che vive solo proteso all'avvenire, che si preoccupa solo delle sue realizzazioni, affrancato da tutta la saggezza trasmessa dal passato, costui è privato della memoria. Non si rende conto del fatto che certe “vie nuove” sono state sperimentate già da molto tempo e si sono rivelate impraticabili. Privato della memoria, egli sperimenta a tutto andare. Questa è la fonte di dolorose delusioni, e più tardi anche di demotivazione. Sono i rivoluzionari senza memoria che si ricongiungono per primi al campo dei conservatori.

Ma, al contrario, c'è anche la mancanza d'immaginazione, l'illusione d'una vita senza rischi. Ci si dimentica che c'è sempre “un di più” che non è ancora stato inventato o sperimentato. C'è qui una speranza insufficiente. Perché il momento presente contiene ancora tante cose meravigliose rimaste inutilizzate.

SPERANZA E CARITÀ

Chi ha fiducia in Dio e spera in Lui, deve come Lui donarsi interamente agli uomini. La speranza si riversa nella carità. Ciò suppone un delicato equilibrio tra i due atteggiamenti: attendere nella fiducia e rimboccarsi le maniche per l'azione. Il cristiano è sempre come seduto sul bordo estremo della sua sedia. Seduto su quello che dispone d'un appoggio sicuro: la speranza. All'estremo bordo della sedia, perché è pronto ad alzarsi e a pagare di persona. La poltrona del fannullone non fa parte dei suoi mobili.

Non si accorda una piena fiducia a Dio se non Lo si ama. E non si può amare Dio se non si ama il proprio prossimo. Così la fede conduce alla speranza e la speranza conduce all'amore. In sovrappiù non si spera mai solo per se stessi. La speranza non ha raggiunto il suo termine finché essa non si estende a tutti gli uomini, all'intero universo. Come posso raggiungere il cielo nella gioia, se so che sarò tutto solo?

Fede, speranza e carità, le tre grandi che non possono fare a meno l'una dell'altra. La fede vede cosa è già, la speranza dice ciò che verrà, la carità ama ciò che è; la speranza si occupa già di ciò che sarà. Per il nostro tempo la speranza sarebbe ugualmente la più grande? Comunque sia le tre si tengono reciprocamente in equilibrio e tutte e tre ci sono necessarie.

VEGLIARE NELLA PREGHIERA

Infatti non c'è che un solo esercizio di speranza: vegliare nella preghiera. L'atteggiamento silenzioso di attesa davanti a Dio è la scuola della speranza. Imparare ad attendere e porsi come una vedetta.

Tutta la Bibbia descrive la preghiera come vigilanza e attenzione: tenersi pronti per il ritorno del Signore presso di Lui e provvedere alle lucerne nella Sua attesa. I salmi sono i libri delle lamentazioni per eccellenza, dell'attesa della giustizia, dell'attesa che il giusto sia protetto e il perdono accordato al peccatore, della perseveranza nelle prove. “Mio Dio, mio Dio, quanto tempo ancora... ?”.

Pregare è anche mantenersi con pazienza tra il passato e l'avvenire. È prendere nelle mani la Bibbia e ricordarsi “le meraviglie che fece il Signore”. È il nutrire la propria memoria e permetterle di lavorare. Ma è anche lo sperare con il cuore ardente ai giorni del compimento, al tempo della ‘liberazione d'Israele' e del ritorno del Signore. “Maranatha”.

Pregare è render grazie per tutto quello che ci ha preceduti ed entrare già nelle promesse di quanto deve ancora venire. È esultare di gioia cantando il Magnificat ed esercitarsi al paziente abbandono del Nunc dimittis . È il sedersi tra Maria e Simeone, tra l'azione delle grazie e la speranza corrisposta.

A dire il vero, esiste per una cultura (e per una Chiesa!) una terapia della depressione diversa dalla preghiera? “È perché voi non pregate, che siete senza coraggio” , potrebbe dire Giovanni alle Chiese in una nuova versione della sua Apocalisse.

IMPEGNARSI

La speranza non giungerà mai se io non m'impegno in niente, se non mi decido a fare qualcosa, se non scelgo. La nostra cultura deve reimparare a legarsi, a scegliere, a risolversi a qualcosa. Si è sviluppata una sorta d'irresolutezza generalizzata: di fronte al matrimonio, di fronte ad ogni impegno definitivo, di fronte a ogni decisione di rendersi disponibili in maniera impegnativa. Può darsi che ci siano delle spiegazioni di questo atteggiamento, delle motivazioni più o meno ammissibili. Ma ci sono anche delle ragioni soggiacenti molto poco eleganti. Una specie di narcisismo che non permette di rinunciare alle proprie comodità, il bisogno di garanzie assolute - questa mentalità che spinge a sottoscrivere un'assicurazione a fronte di qualsiasi cosa - e a volte manifestamente la pigrizia e il “ciascuno per sé”.

Ma bisogna anche rilevare nella nostra cultura il disagio della percezione del tempo. Non solo l'impossibilità di aspettare, la legge del “tutto, tutto subito”, ma anche la diffidenza fondamentale per il credito da accordare al tempo. Dobbiamo imparare di nuovo a fare del tempo un amico... aspettando di ridivenire sensibili a una realtà chiamata classicamente “Provvidenza divina”. Quando vorremo capire che Dio si prende cura di noi molto meglio di quanto lo possiamo fare noi stessi?

LA CRISI DELLA FEDELTÀ

Nella sfera del “provvisorio” nella quale noi evolviamo, sopravviene anche la crisi della lealtà. E questo in tanti ambiti: matrimoni, amicizie, affari, ambienti di lavoro. La fedeltà non la si guarda più con ammirazione, ma tutt'al più con sorpresa, se non con compassione.

Così si degrada il tessuto sociale: è logorato. Da che tempo è tempo, la fedeltà ha avuto un ruolo legato fino a un certo punto con il tragico della condizione umana. La fedeltà di Lefte al suo voto lo portò ad immolare sua figlia. La fedeltà di Antigone alle leggi non scritte dell'amore fraterno la condusse alla morte. Questo tragico era profondamente umano, anche se pagano. Proclamava chiaro e forte che non si può mancare alla parola data. La nostra epoca non conosce più i tormenti di questo aspro dramma pagano. Ne conosce altri. Lo strappo di tanti partner abbandonati e di tanti bambini privati dei genitori, la fatica di dover continuamente riprovare con qualcun altro, i cinici preavvisi significati a delle persone che invecchiando rischiano di costar troppo caro, la rottura dei contratti, quella specie di amnesia che riguarda i propri impegni passati...

L'infedeltà rende una società profondamente deprimente. In più, l'infedeltà ha la tendenza di propagarsi con la velocità dei funghi in una foresta. Un girotondo di streghe. Ogni infedeltà fa venir voglia alla parte lesa di fare altrettanto.

Se vogliamo sfuggire a questo funesto ingranaggio, bisognerà ritrovare la virtù naturale della fedeltà. Ricordandoci che è d'altronde il tratto più caratteristico di Dio: è un Dio fedele.

LA SPERANZA SI PRENDE CURA DEGLI ALTRI

L'esclusione, comunque si manifesti, provoca molta disperazione nella nostra società. Esclusione dal lavoro e dall'avvenire, esclusione da se stesso, dalla patria e dalla cultura, esclusione dalle cure e dall'alloggio. Troppa gente oltrepassa il limite. Questo assomiglia a una spirale che si stringe sempre di più, un laccio attorno al collo. Tutti gli assistenti sociali, gli uomini politici, i sacerdoti e gli animatori pastorali la conoscono bene. È la preoccupazione costante dei servizi sociali, e la Fondazione Re Baldovino l'ha studiata a fondo dal punto di vista scientifico.

Cosa dovremo fare se vogliamo dare delle possibilità alla speranza? Certamente dei provvedimenti di giustizia s'impongono alla collettività. Molti responsabili politici ci lavorano d'altronde con prudenza. Ma si è creata anche una rete di punti d'ascolto e soccorso, troppo numerosi per enumerarli, che funzionano spesso grazie al numero di benefattori, e ricevendo migliaia di persone, giovani e vecchie, con tutti i loro possibili problemi. Poiché i servizi pubblici non bastano, né per il numero, né per l'efficacia, né soprattutto per questa prossimità affettuosa necessaria a chi soffre. Pensiamo al corpo umano: quando un'arteria s'incrosta e si ostruisce, sono dei piccoli vasi sanguigni che ne sostituiscono la funzione. Quindi, a fianco degli organismi pubblici, agiscono delle migliaia di piccoli centri di speranza. La speranza si prende dunque cura degli altri. Questo è sufficiente?

LA SPERANZA ANTICIPA

La speranza non può accontentarsi di limitare o riparare i danni quando il danno è fatto. La speranza è anche previdente. Vuole agire preventivamente. Se noi non agiamo preventivamente, in effetti trascuriamo le vittime ed esponiamo il contribuente a degli oneri sempre più pesanti. Poiché la vittima è già ferita e riparare costa molto più che prevenire. Oltre tutto la società avrà la tendenza a scindersi in assistenti e assistiti. La frattura sociale diventerà sempre più profonda.

Dove si colloca la prevenzione? Nelle scuole e nelle famiglie. Non bisogna investire di più in questa azione? Non solo dal punto di vista finanziario, ma anche psicologicamente? La mancanza di speranza nella nostra società è spesso imputabile al fatto che genitori ed educatori abdicano. Da ciò la necessità di lanciare questo appello profetico: “Aiutate i genitori e i maestri” . Tutto quello che non si fa a casa e a scuola, si iscriverà automaticamente un giorno al debito della società.


(Il testo è tratto dalla lettera pastorale: Espérer?)
Letto 2469 volte Ultima modifica il Domenica, 17 Dicembre 2006 11:35
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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