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Venerdì, 08 Luglio 2005 20:33

La pace, gli slogan e il cuore nuovo (Gerolamo Fazzini)

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La pace, gli slogan e il cuore nuovo
di Gerolamo Fazzini





Va forte, di questi tempi, la pubblicità di una nota azienda di telecomunicazioni: come sarebbe oggi il mondo - questo il senso del messaggio - se Gandhi avesse potuto lanciare i suoi appelli alla non violenza dagli schermi di Times Square o toccare i cuori dei giovani raggiungendoli sul video del cellulare?

La domanda è suggestiva. ma fuorviante. Se l'educazione al perdono e alla riconciliazione chiedesse soltanto sistemi più evoluti di comunicazione, la questione sarebbe (relativamente) semplice. In realtà, l'adesione a opzioni etiche di fondo - come nel caso della pace - chiama in causa le ragioni profonde per cui l'uomo vive.
La lezione più impressionante che ho colto dal viaggio in Colombia (...) va in questa direzione. Incontrando tante persone della Chiesa e della società civile, in quel contesto così difficile, ho percepito chiaramente che la pace non chiede in primo luogo slogan efficaci o tecnologie sofisticate. Bensì esige di pagare un prezzo per essa.

Difficilmente potrò dimenticare le parole di padre Francisco De Roux, che davanti alla delegazione europea che sostiene i suoi progetti, disse: «Voglio chiedervi di non fermare il Laboratorio de Paz quando ci saranno dei morti, perché questo è inevitabile. Noi sappiamo di dover correre dei rischi per avere pace in questo Paese».
Da lui, da tanti altri missionari e da numerosi esponenti delle organizzazioni di base che ho incontrato mi aspettavo analisi socio-politiche, denunce contro il governo colombiano e la sua politica «militare», strali contro gli Stati Uniti (condivisibili, visto che appoggiano il famigerato Plan Colombia cui si deve la piaga delle fumigazioni delle coltivazioni illecite). Ebbene: nessuno dei miei interlocutori si è mostrato tenero nei confronti del presidente Alvaro Uribe. Nessuno di loro si sogna di negare che per arrivare a una pace vera sia necessario rimuovere ostacoli di ordine sociale, economico e politico, che per sciogliere il rebus-Colombia serva il contributo della comunità internazionale e che la lotta al narcotraffico debba essere una priorità... Ma nessuno di costoro si trincera dietro l'alibi di un contesto avverso per evitare di compiere fino in fondo il suo dovere di testimonianza. Chi operando sul fronte della lotta alla miseria e all'ingiustizia; chi impegnato direttamente nelle trattative con le varie fazioni armate; chi condividendo la sorte dei più vulnerabili. Ad accomunare tutte queste scelte è la convinzione che la guerra nasce prima nei cuori che sui campi di battaglia. Ed è da lì, dal cuore dell'uomo che bisogna ripartire. Come insegna il formidabile tentativo della «Scuola di perdono e riconciliazione».

Un altro motivo di riflessione nasce dall'aver constatato come per la Chiesa, dal vescovo al catechista più umile, l'educazione alla pace non si «aggiunge» alla vita cristiana, ma vi appartiene per così dire strutturalmente. Se si lavora per annunciare il Vangelo e costruire la comunità, insegnando a guardare l'altro non come un nemico, stando vicino a chi soffre, già si sta facendo... guerra alla guerra. In altri termini: la pace non è un valore per il quale i credenti debbano prevedere chissà quale corsia preferenziale, in obbedienza a una moda o al «politicamente corretto». Piuttosto, proprio perché tesi a dare carne alla Buona Notizia, i cristiani non possono non fare i conti con una situazione segnata dalla violenza e provare a rispondervi con la forza del Vangelo. La pace, insomma, non dipende da spot più o meno riusciti, bensì da coscienze che si convertono, da intelligenze che sanno leggere la storia, da persone che si mettono in gioco. Un messaggio esigente e attualissimo anche alle nostre latitudini.


(da Mondo e Missione, Novembre 2004)
Letto 2262 volte Ultima modifica il Giovedì, 01 Dicembre 2005 17:30
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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