Testo di una relazione tenuta all'Università di California, a Santa Barbara, nel 1984. Il titolo originale è: "Il mito del pluralismo: la torre di Babele. Una meditazione sulla non violenza". E' stata pubblicata dalla rivista Bozze 84, n. 6, pp. 51-104. Il testo risente dello stile colloquiale della relazione. Alcuni riferimenti all'attualità politica risultano un po' datati, ma la relazione conserva tutta la sua attualità e pregnanza circa la riflessione sul pluralismo.
Il pluralismo, oltre il monismo e la dialettica
La grazia di Babele
(terza parte)
Dobbiamo guarire dai sogni di nuovi imperi mondiali
Ma è tempo di concludere.
Ho detto che vi è un urgente bisogno di una nuova fantasia, di una nuova visione, di un'esperienza mistica che tocchi il vero nucleo del Reale kat'exochen - e non solo - dell'essere umano individuale o della razza umana soltanto. Noi abbiamo assistito a quel che probabilmente abbraccia quaranta secoli di specializzazione, ossia allo smontare in pezzi diversi e, seguendo le orme di Descartes, al diventate sempre più perspicaci circa sempre meno (un procedimento sul quale non dovremmo sogghignare, perché senza di esso non saremmo nemmeno sopravvissuti). Ma ora forse, è venuto il momento di ricomporre questi pezzi entro un nuovo insieme, che non ignori né disprezzi la diversità e che perciò non possa venire ridotto a qualche blanda o monolitica uniformità.
La categoria dell'umano oggi dovrebbe necessariamente guarirci da tutti i sogni irreali e messianici di nuovi imperi mondiali, anche se annunciati da grandi, trionfali strombazzate di Libertà, Dio, Verità - che sono i veri simboli positivi; ma noi non abbiamo né la totalità di essi, né un monopolio su di essi.
Ho detto che noi abbiamo a che fare con un mito e un mito è qualcosa su cui non possiamo mettere la mano senza disperderlo. È qualcosa che noi non possiamo manipolare. Non siamo pluralisti se integriamo tutto in una visione del mondo "Pluralistica". Siamo pluralisti se riteniamo che nessuno di noi possiede la pietra filosofale, la chiave per il segreto del mondo, l'accesso al centro dell'universo, ammesso che ci sia; se ci asteniamo dal pensare esaurientemente tutto per timore di distruggere "la cosa pensata" (das Gedachte, non der Gedanke) e il pensatore. Questo non è irrazionalismo. È umiltà intellettuale o buon senso.
il criterio della realtà è di essere "a prova di pensiero", cioè resistente al pensare
Permettetemi di dirlo ancora in puro linguaggio filosofico. Se noi pensiamo (ausdenken) l'Eucaristia, la distruggiamo; se Dio, egli svanisce; se un atomo, esso scompare; se una persona, noi la perdiamo; se un albero, non lo comprendiamo. In altre parole, pensare ha un potere corrosivo; distrugge ciò che davvero pensa a fondo. Quando tocca la superficie di una cosa, va bene - la cosa ancora mantiene uno spessore non toccato dal pensare. Il prezzo del comprendere è che noi trasformiamo, assimiliamo e così cambiamo, assorbiamo e alla fine distruggiamo la cosa compresa, rendendola un oggetto, un concetto, una concezione concepita dal nostro pensare. Fino a quando noi non pensiamo una cosa in modo esaustivo, quella cosa sta ancora fuori dal nostro pensare, cioè esiste (ek-sist, mette fuori il suo collo). Ma proprio per mezzo di questo fatto noi guadagniamo un'intuizione decisiva riguardo alla natura della realtà. Questa: il criterio della realtà è precisamente di essere "a prova di pensiero", cioè resistente al pensare. Quando qualcosa non obbedisce al nostro pensiero, quando offre resistenza, mostra la sua realtà per mezzo di questo stesso fatto. Indubbiamente noi non possiamo "pensare a fondo" (nel senso di pensare esaustivamente) l'eucaristia, o Dio o un atomo o una persona o un albero. Essi offrono una resistenza di altro tipo da quella, ad esempio, di un triangolo o di un sillogismo logico. Questi ultimi sono inscandagliabili, producono sempre più e noi non scopriamo i loro limiti; possono esserci sempre più proprietà in un triangolo e più raffinamenti in un argomento logico. Offrono la resistenza della foresta siberiana: non c'è nessuno là e tu non sai che cosa c'è oltre e se avrà mai fine. I primi offrono la resistenza della Muraglia Cinese. Tu sai che tutta la gloria dell'impero è dietro di essa e che tu non puoi demolire il muro. Ma tu sai anche che se ti riuscisse, avresti distrutto il regno del Sol Levante (con tutte le mie scuse agli storici per questo trasformare fatti storici in metafore filosofiche!). Un albero, ad esempio, arresta semplicemente la nostra riflessione ad un certo punto. Possiede un recinto proibito o, piuttosto, impenetrabile al nostro pensiero. Se potessimo pensarlo fino in fondo, distruggeremmo l'albero (e alcuni di voi possono ricordare il potere di tapas e della concentrazione); l'albero diventerebbe totalmente un oggetto della nostra mente. Questa è la differenza fondamentale fra un'idea di Dio, che ha infinite possibilità, e un Dio reale che arresta e mette a tacere il nostro pensare. Questo limite è qualcosa che non ci può essere imposto da niente, fuorché dalla resistenza della cosa stessa. E paradossalmente (come ho già suggerito), noi siamo allora convinti che la cosa è vera ed esiste; siamo condannati, sconfitti, sopraffatti dalla cosa e le nostre accuse - cioè le nostre categorie con le quali cercavamo di capire la cosa - ritornano a noi, proprio come se rimbalzassero dalla forza della cosa. Giacobbe combatté con Dio in forma di angelo e sperimentò la sua realtà il giorno dopo, quando sentì che era stato colpito. La riflessione umana, quando non è un orbitare solipsistico sui nostri propri costrutti, riporta sempre la ferita della cosa che ha toccato, la cosa che ha cercato di "flettere", di piegare, perché ci potesse dare il suo segreto. La riflessione fa più male del raggio laser. Se le cose stanno così, la fondazione del pluralismo implica il riconoscimento di una debolezza, non nella nostra mente - così che se noi fossimo più intelligenti potremmo pervenire ad una singola verità teoretica sulla quale tutti gli uomini sarebbero d'accordo - ma nella natura della realtà, cioè sia nel potere del nostro pensiero che nelle cose stesse. È più che un esempio di prospettivismo, perché in questo caso potremmo sempre arguire che, nonostante il fatto che vi sia un'altra prospettiva che vede le cose in modo differente, la nostra propria prospettiva è quella adatta per quel particolare scopo, che è lo scopo "reale". Ammettere prospettive diverse su una questione sposta solo il problema, perché allora dobbiamo ricominciare daccapo a discutere quale sia la prospettiva giusta per quel caso particolare, e così via.
il pluralismo non è la mera giustificazione di una pluralità di opinioni, ma la percezione che, il reale è più che la somma di tutte le possibili opinioni; e l'uomo è in-finito
Il pluralismo non è la mera giustificazione di una pluralità di opinioni, ma la percezione che il reale è più che la somma di tutte le possibili opinioni. La "intelligenza" di Laplace non può esistere: significherebbe distruggere tutto e, per di più, non conoscerebbe se stessa. Non vi è "intelligenza" come Laplace immaginava. Il pluralismo afferma che Parmenide aveva torto, se vuoi, ma che noi abbiamo ugualmente torto se pretendiamo che Eraclito che lo contraddisse avesse ragione. La Realtà non è dialettica; benché la dialettica, naturalmente, abbia un posto nella realtà. Possiamo sentirci disorientati di fronte a tanti "orienti", a tante bussole, medicine e profeti. Eppure non dovremmo rassegnarci e cercare di rinchiuderci nel nostro egoistico individualismo, ma invece riconoscere che l'Uomo stesso e la Realtà sono pluralistici (né monistici, né dualistici), e perciò che l'immensa varietà di quello che appare come conflittuale (se guardato dialetticamente) può essere trasformata (oserei dite convertita, ma questo non è un processo automatico) in tensioni dialogiche e polarità creative. Tutto ciò che occorre è che noi sperimentiamo, tocchiamo, raggiungiamo quel vero nucleo della realtà che ci rende così diversamente unici da essere ciascuno incomparabile, e così unicamente unici che tutte le nostre differenze appaiono come altrettanti vividi raggi di una luce insondabile.
In parole povere, ho detto che nessun gruppo, nessuna verità, nessuna società, ideologia o religione può avanzare una pretesa totale sull'Uomo, perché l'Uomo è sempre inafferrabile, non completato, non finito, infinito - ancora in via di costruzione, per via, itinerante - come lo è l'intera realtà nella quale l'Uomo è un partecipante attivo. E questa libera e attiva partecipazione, eppure solo partecipazione, che rende le nostre vite realmente degne di essere vissute. Ed è proprio questo ciò che io volevo condividere con voi.
A modo di epilogo: la nuova Babele
Epilogo. Una volta, tanto tempo fa, tutto il mondo era un pianeta solo e divenne una singola gigantesca città, la megalé polis, Babilonia. I figli dell'Uomo avevano costruito la Scienza e la Tecnologia, credevano nella Ragione e nella Civiltà e avevano già imparato ad usare con successo (non si può dire parlare) un singolo codice - scientifico razionale - Esperanto. Siccome gli Uomini si muovevano tanto agevolmente da Oriente ad Occidente, giunsero alla constatazione che stavano vivendo sulle pianure di un territorio che essi chiamavano Terra e decisero di rimanere là dove i loro antenati si erano stabiliti. E si dissero l'un l'altro:
Venite, facciamo le Nazioni Unite e creiamo gli Stati Uniti, i Mercati Comuni e le Internazionali di tutti i tipi; venite, limitiamo i nostri armamenti a non più che la capacità di distruggere i pianeti un migliaio di volte; facciamo le macchine che lavoreranno per noi e avremo, Corse, se ci sarà bisogno, qualche popolazione del "quarto" o del "quinto mondo" che lavorerà per le macchine; usiamo Duralluminio e Oro e Plutonio e Uranio arricchito. Venite, dissero, facciamo un solo Mondo, una sola Civiltà, davvero un solo Pianeta per la prima volta e non assomigliamo ai nostri ingenui e sciocchi antenati che credevano che l'Impero Romano fosse il mondo intero, il Cristianesimo la Religione del genere umano, la Muraglia Cinese il recinto della cultura e simili sogni utopistici. Con i nostri viaggi supersonici, i nostri voli interplanetari, abbiamo infranto la barriera del suono e anche quella dello spazio; presto infrangeremo anche la barriera del Tempo. Costruiamo una perfetta (chi può scherzare con una perfetta banca dei dati computerizzati?) società del benessere, senza classi, socio-capitalistico-paneconomica, combinando il meglio dei nostri sforzi, e costruiamo una torre umana con la sua vetta nella luna per ora, così da non suscitare gelosie e da non imitare i nostri antenati creduloni che ancora credevano nel. cielo. Diamoci un nome, inviamo messaggi nello spazio esterno per far sapere all'universo quanto siamo bravi, uniti e felici. Altrimenti saremo scaraventati dappertutto per luogls inospitali e perderemo la nostra identità. I nostri dogmi evolutivi ci dicono che siamo venuti da molto lontano, dalla nebulosa gassosa via scimmie e primati e che stiamo viaggiando verso un punto omega via galassia alfa.
Allora il Signore venne giù per rallegrarsi delle meraviglie di questa illuminata civiltà Umanistica e Scientifica e per vedere la Torre che gli Uomini avevano costruito. Egli aveva udito alcune altre voci diverse, ma altrettanto umane, per cui temeva che non tutto fosse così scintillante e sospettò che tutto fosse avvolto in propaganda politica, studi statistici e grandi conferenze. Costoro stavano gridando a gran voce che il mondo stava vivendo sul credito del tempo e dello spazio, mettendo in secondo ordine il vivere e i problemi reali, come se lo spazio e il tempo fossero infiniti.
Lo spazio - gridavano questi zeloti nel deserto - ha cominciato a mostrare i suoi limiti, gli oceani sono pieni di inquinamento e la terra è svuotata della sua energia. Perfino il futuro ha cominciato a dare segni di non essere illimitato, non solo nelle vite personali (la morte), ma anche su scala cosmica: siamo a corto di tempo. Il debito monetario di una singola nazione, per fare un esempio più concreto, richiederà un minimo di quattro anni di lavoro esclusivo di tutti i suoi cittadini per essere sanato - e nuovi mercati non saranno subito disponibili...
All'ora del levarsi della brezza della sera, il Signore andò a fare una passeggiata, per constatare di persona. La gente non sapeva con sicurezza in quale sobborgo della megalopoli della Torre doveva tenersi il Capitolo ed Egli aveva la sensazione che potessero venire ad un confronto, ma essi erano troppo intenti alle loro competizioni, per voler alterare l'equilibrio di potere, che aveva portato la Torre ad un così avanzato stadio di costruzione. Essi l'avevano quasi finita, a tal punto che avevano ridotto la "maledizione" della vecchia Babele, che lasciò il mondo con oltre quattromila linguaggi, a una mezza dozzina di lingue (per tutti gli scopi seri, cioè pratici). A dite il vero, le loro attuali lingue, erano molto peculiari. Bestemmie, imprecazioni e spergiuri erano praticamente scomparsi dalla faccia della terra e così pure la fedeltà alla parola data. Apparentemente una grande inflazione di parole aveva obbligato gli Uomini a usare, invece, parole di carta. Avevano carte in una mano e segni nell'altra, tanto civilizzata la razza dell'Uomo letterato era diventata; erano Uomini di lettere, non di parole. Naturalmente, le "segnaletiche" umane erano ben organizzate da delicati computers e potevano far arrivare i voli in tempo, i pacchi puntualmente e le ore di lavoro, soprattutto, utilizzarle al minuto - e far ben conoscere "i bisogni" dei clienti alle agenzie commerciali. La razza Umana era diventata vecchia o, forse, intelligente, con una forma di saggezza diversa da quella tradizionale. Allo scopo di sfuggire alla confusione della prima Babele, la nuova civiltà stava convertendo le parole, che una volta erano simboli vivi e perciò polisemici, in termini che erano puri simboli e, perciò, univoci. L'univocità era l'ideale e le metafore, sospettate di essere non scientifiche, erano in declino - almeno per tutte le questioni "importanti". L'ideale era ridurre tutto a formule quantitative. Solo allora le inutili discussioni sarebbero state eliminate. Il "presente", ad esempio, era stato ridotto alle ore 20,57 del giorno 15 del mese 10 del 1984 e, se qualcuno avesse contestato tale "fatto", sarebbe stato semplicemente inviato ad un reparto psichiatrico. La giustizia, per fare un altro esempio, stava avviandosi a trovare parametri quantitativi. Doveva ridursi a 2.000 calorie per ciascuno stomaco, un certo ammontare di danaro per ciascuna tasca e a 3 o 10 o più mesi o anni di prigione per ciascuna infrazione alle regole. Il parlare a vuoto, senza chiarire tutto sulla natura della bellezza o dell'amore o del dharma o del karma e simili, stava cadendo in disuso. La gente non avrebbe più avuto bisogno delle proprie opinioni fallibili. La maggioranza avrebbe deciso. La ricerca era possibile, ma non il dialogo. Senza dubbio, vi erano pure alcuni che volevano di nuovo il fuoco dal cielo, ma il cielo non era più l'abitazione di Dio.
E il Signore Dio non ascoltava le preghiere dei "credenti" di convocare i suoi angeli per costruire un'altra Torre, in modo tale che, dalla più poderosa fortezza angelica, le sue schiere potessero facilmente abbattere Babele. Il Signore ancora si ricordava della sua ironica politica nel Paradiso, quando aveva incitato l'Uomo a mangiare dall'Albero della Scienza del Bene e del Male col proibirgli di farlo. Questa volta il Signore non proibì ai figli di Donna di costruire la Torre dei loro sogni. E Babilonia fu edificata e gli ziggurats- sono ancora là, per quanto vuoti e in rovine. Babele fu dispersa, ma non altrettanto Babilonia, (Atene, Roma e tutti i loro successori), la quale oppose resistenza a Oholibah (Gerusalemme e i suoi successori), quando fu attaccata dialetticamente. Solo un ex-Manicheo poteva scrivere di "Due Città" e premere il grilletto delle dialettiche della Cristianità Occidentale. Questo accadde molto tempo fa. Il fatto è che il Signore non resistette agli scopi malvagi degli Uomini; semplicemente consentì all'individualismo egoistico di penetrare nelle loro teste e di impregnare le loro lingue, cosicché non vi fu più un linguaggio comune. La sua precedente ironia, che a quel tempo egli considerò come "esprit de finesse", quel gioco di parole inter-culturale, che Egli si era permesso di fare, non lo convinceva più. Voleva convertire ogni Uomo in un poeta; questa è la ragione per cui dette ad ognuno la sua lingua. Invece, Babele come Babilonia, "il Cancello di Dio", babilim, divenne Babele come balal "confondere". Egli non poteva supporre allora che Arte (techne) e Parola (logos) fossero diventate "tecnologia". Anzi, il Signore disse:
Eccoli qui, essi credono di formare una unità, perché tutti quelli che ne hanno i mezzi usano le stesse vitamine, aggeggi e materiali di plastica; anche il letterato usa (non diciamo parla) una delle più importanti lingue per le quali vi è traduzione simultanea. E ora che si stanno avvicinando al termine della costruzione, non perderanno il loro prezioso tempo, come Penelope, a disfare di notte il lavoro fatto di giorno, perché non ti sono rimasti corteggiatori: cominceranno a combattersi l'un l'altro per i posti più importanti, perché si capiscono troppo bene, conoscono tutto il gioco e hanno, in teoria, abolito i privilegi; si sono superati nel controllarsi l'un l'altro. Eppure sono, in qualche modo, ingenui, perché non sanno - altrimenti commetterebbero un suicidio collettivo - quanto sono soli, quanto lavorano per costrizione. Se smettessero di lavorare - come hanno preso sul serio quello che abbiamo detto loro tempo fa nel Paradiso! - si divorerebbero tra loro l'uno con l'altro. Non si rendono conto di quanto sono diventati dipendenti, dediti come formiche alla costruzione della Torre e della Metropoli. Che cosa faranno se riusciranno a finirla? Istruiti come sono, non hanno letto i segni dei tempi e non hanno compreso il significato delle guerre mondiali, delle carestie, delle crisi e delle rivoluzioni, tanto sono impegnati a decifrare i loro reciproci segnali in codice. Tutti sembrano essere estaticamente assorbiti nell'acquisire o conservare il potere. Venite, andiamo giù, disse il Signore, e confondiamo i loro significati, cosicché, quando diranno "democrazia", alcuni possano intendere dittatura popolare, alcuni licenzioso individualismo, alcuni un sottomettersi alla maggioranza e altri la manipolazione della opinione pubblica; quando dicono "giustizia , alcuni possano intendere il mantenimento dello status qua ad ogni costo, alcuni affermazione della proprietà, alcuni sovvertimento, alcuni violenza e alcuni non-violenza; quando dicono "amore", alcuni possano voler dire stupro, altri flirt, e altri ancora conquista, piacere e anche dolore, abnegazione di se stessi, o gratificazione di se stessi. Apparentemente non hanno ancora compreso che il linguaggio è il simbolo personale e concreto e che una lingua universalis non sarebbe un linguaggio- Venite, vediamo se, come il nostro Mistero Trinitario, che non è né un numerico uno né un quantitativo tre, o come la nostra Natura Non-Dualistica che non è né una né molte, ma un simbolo pluralistico del quale essi pure partecipano - vediamo se forse ritorneranno in sé, cosicché cominci a balenare nelle loro menti la convinzione che ciascuno dei bambini dell'Uomo è l'unica e, in un certo senso, l'intera realtà, che egli o ella riflettono come uno specchio, il migliore e il più puro che ci sia. Venite, andiamo giù, ma ora non è più il caso di inviare un avatar, o un profeta, o un saggio, o nemmeno mio figlio. Essi sono troppo scaltriti per credere in certe innocenti teofanie; non si darebbero nemmeno pena di lapidarli, bandirli, o crocifiggerli. Semplicemente li tollererebbero e li ignorerebbero, consentirebbero loro anche libertà di parola per renderli innocui e perfino, forse, con le dovute garanzie, permetterebbero loro di fondare una nuova piccola setta per una élite scelta e illuminata. Nei tempi antichi mandammo loro mediatori, ma essi li presero per intermediari; alcune rovine dei nostri interventi ancora conservano il nome pontificale, ma essi sono anche impegnati a costruire alcune speciali cupole della Torre e hanno dimenticato come si fanno ponti fra di loro, strade di comunicazione tra la gente. Essi hanno dimenticato che ciascuno ha il suo proprio centro ed è la sinfonia di questi centri che fa la musica delle sfere intorno alle quali essi hanno sognato, da quando i figli di Dio videro che le figlie degli Uomini erano belle, proprio perché ogni singola lingua umana è così bella e unica come qualsiasi figlio di Dio.
E il Signore esitò a convocare un'altra assemblea di Dei. Si ricordava molto bene che in una di queste assemblee essi avevano deciso di mettere il Cherubino al Cancello, per impedire all'Uomo di guardare indietro con nostalgia e per incoraggiarlo a continuare il suo pellegrinaggio. Eppure l'Umanità vuole sempre ritornare al Paradiso e non ha capito che l'essenza dell'Eden è la sua esistenza come Paradiso Perduto. Solo un Paradiso Perduto è reale. Questa è la ragione per cui non si può cercare guardando indietro, ma avanti. I figli dell'Uomo hanno preso la Caduta troppo sul serio, senza integrarla, allo stesso tempo, in una pari, originale e rigenerante Risalita. Essi hanno preso Babele come una maledizione, invece che come il nostro interessamento per il pluralismo e il rifiuto dei sistemi finiti e monolitici; hanno trascurato il fatto che, subito dopo Babele, noi siamo andati avanti fino alla chiamata di Abramo.
Ma, informato che l'uomo era diventato "adulto", il Signore rimase in silenzio
E il Signore rifletté ancora come in un'altra di queste assemblee, quando essi decisero che lo Spirito dovesse discendere di nuovo, ella (lo spirito) non ridusse tutte le lingue di Babele ad un singolo idioma, come se la verità vera avesse un solo linguaggio; e il suo scopo non era di creare una sola grande Cupola per albergare l'umanità intera, come se la creazione fosse cattiva e avesse bisogno di una ulteriore protezione; voleva semplicemente far sì che la gente si capisse reciprocamente, eppure parlasse lingue diverse, non una sola lingua; consentì loro di avere religioni differenti e non un singolo sistema di credenze, di amarsi l'un l'altro e non di amare le stesse cose. Babele è accaduta e rimane ambivalente, come tutte le cose viventi e reali, perché il Regno non è né una proprietà privata dentro, né un affare pubblico fuori, ma in mezzo ad ogni cosa che esiste. E il Signore ritornò su, domandandosi se la Torre sarebbe stata completata, o se la gente avrebbe imparato che la pienezza della vita non consiste né nell'isolamento in monadi individualistiche, né nell'agglomerazione in unità collettivistiche, ma nella comunione in totalità interdipendenti. Voleva lasciare un messaggio di speranza, o, almeno, una sola parola di amore, ma non osò... dopotutto, i suoi consiglieri avevano detto al Signore che ora l'Uomo è adulto e non accetta facilmente consigli da forze estranee. Il Signore rimase silenzioso: upararâma.
(fine)