Oggi siamo rintanati in casa. Come ieri. E come anche sarà domani. E dopo? Aspettiamo quel domani che ci riporti alla normalità della vita – e non sappiamo quando sarà. Aspettiamo un dopo che sia come il prima. Ma intuiamo che questo dopo non sarà più come prima. Esso sarà ben diverso.
Intanto pensiamo il giorno in cui potremo ritornare in mezzo alle strade. Immaginiamo che saranno giorni di festa e d'allegria. Ci metteremo a correre nei prati. Riconquisteremo le piazze e saremo prodighi d'abbracci e di baci, anche con gli sconosciuti. Ci daremo alla pazza gioia. Come quando hanno fine gli incubi delle guerre. Dobbiamo ammetterlo: non abbiamo un altro immaginario per pensare a questo dopo.
Ma sarà proprio così? Certo, ci sarà posto per la gioia e l'allegria… Ma fino a quanto? I sopravvissuti si guarderanno intorno facendo la conta degli assenti. Di quanti ci sono stati sottratti dall'epidemia: parenti, amici, conoscenti. Ognuno avrà un pesante fardello. Ci saranno quelli che si sentiranno in colpa per essere stati involontari veicoli di morte. Ci sarà la necessità di elaborare i lutti in una maniera nuova, rispondente allo stato d'eccezione causato dall'epidemia. Sarà essenziale rieducarsi al toccare e, soprattutto, al lasciarsi toccare. Sarà fondamentale rompere il bozzolo dell'isolamento che l'epidemia ha costruito – non tanto intorno a noi, ma in noi.
In queste ultime settimane sono state prese progressive misure molto restrittive riguardanti la vita degli individui. Non solo sono stati resi inaccessibili gli ambienti del vivere sociale, ma si profila la tracciabilità delle nostre esistenze. In nome di una sicurezza sanitaria, il rischio è di restare perennemente sotto lo sguardo onnipresente del Grande Fratello. Il nostro dopo sarà consegnato ad una tale prospettiva? Magari, in nome del nostro mai sazio bisogno di sicurezza, inizialmente limitato ai soggetti ritenuti al momento pericolosi – gli infetti – per poi estendersi ad altri soggetti pericolosi, di volta in volta individuati dai poteri economici, sanitari e militari?
Ma il dopo sarà anche il tempo di ragionare sul perché delle cose. Perché il costo in vite umane sia stato così alto… Proprio là ove la politica ha scelto di favorire gli armamenti e la loro produzione rispetto al miglioramento del sistema sanitario e scolastico. Là ove l'inquinamento ambientale ed atmosferico era massimo. Là ove si è cercato con tutti i mezzi di vanificare l'opera del volontariato e delle organizzazioni non lucrative, in nome di un'efficienza e di una standardizzazione che rispondessero solo a criteri economici. Là ove alle competenze specifiche si è preferito coltivare il clientelarismo, il conformismo degli yes man, la mediocrità dei propri fan, le politiche da stadio. Là ove non si è ragionato nei termini del bene comune, ma del prevalere degli interessi d'alcune lobby, a discapito del restante. Là ove si è costruito una politica del dividere e non si è voluto favorire una sinergia delle risorse migliori. Là ove si è scesi a patti con le varie mafie, per gestire poteri e spartire guadagni, compresi quelli illeciti…
Perché là ove si mostrano i limiti, soprattutto in uno stato d'eccezione, bisogna trovare le soluzioni migliori. Mentre la nostra fiducia nei confronti della scienza – e della medicina, in particolare – ne esce ridimensionata. La medicina in questi giorni sta rivelando la propria impotenza, i suoi limiti e la sua vulnerabilità. Nonostante la buona volontà e l'abnegazione di tante persone. Siamo costretti a riconsiderare l'esperienza umana nei termini della fragilità e della debolezza e a rinnovare le domande circa la salvezza, senza per questo attendere necessariamente risposte miracolistiche o aver bisogno di eroi.
Il mondo dell'economia, della finanza e delle realtà produttive ragioneranno in termini di costi e di perdite, di crisi e di recessione, di crollo dei consumi e di disoccupazione… Ma quale sarà il nostro vivere, dopo tutti questi giorni di paura? Quale sarà l'impatto sul nostro mondo interiore, la nostra psicologia e la nostra spiritualità? Come saranno i nostri sonni e i nostri sogni? Tranquilli o disturbati da tutto ciò che ci sta invischiando?
Nella prospettiva ebraico-cristiana il futuro è dono di Dio. Dio viene dall'avvenire. Più che dalle capacità umane nasce dall'apertura e dall'accoglienza dell'imprevisto e dell'imprevedibile. Il dopo ha un sapore divino ed è accompagnato da un profondo stupore per quanto sta già germogliando – qui ed ora, ed avendo gli occhi per vederlo.
Insomma, sarà un dopo molto ricco – con i suoi dolori e le sue lacrime, le sue gioie e le sue speranze – solamente se lo intenderemo e lo attenderemo non come un ritorno al prima, ma come ci si svela: un nuovo dono che c'è offerto, per rifondare le nostre esistenze.
Faustino Ferrari