La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". (Gv 20, 19-23).
La missione è un elemento costitutivo dell'essere cristiani. E’ testimonianza. È comunicazione della propria esperienza di fede. Se si sperimenta nella propria vita la necessità di essere salvati (dall’egoismo, dal limite, dalla morte, dal peccato, dal non senso…) e questa salvezza la si sperimenta in Gesù Cristo, allora non si può fare a meno di comunicare agli altri la propria esperienza. Non comunicazione di catechismi, di qualcosa che si è imparato a memoria, ma comunicazione della propria esperienza e della propria vita.
Se la missione non è nutrita da questa comunicazione di esperienza è vera missione? Come non resistere alla tentazione che essa dipenda soltanto dalla propria volontà, dai propri mezzi, dai propri sforzi? Come si fa a cogliere la presenza del Cristo nel mondo che è già all’opera e che già fa crescere il Regno in mezzo agli uomini? ("Il Regno di Dio è in mezzo a voi" Lc. 17,21). Come si può far capire agli altri che la propria esperienza è innanzi tutto un’esperienza di gratuità, un dono che si riceve da Dio nel nostro oggi?
L’ambito della missione è quello della nostra vita. Sul posto di lavoro, nella famiglia, nel tempo libero, nelle relazioni con gli altri uomini e le altre donne. In questo mondo sommerso dalle parole, ove ormai si ha difficoltà a stare ad ascoltare perché troppi sono i rumori che disturbano il nostro ascolto, ove può essere detto tutto ed il contrario di tutto, dobbiamo avere la pazienza, la fiducia, la preoccupazione di annunciare il Cristo con la parola della nostra stessa vita. Sul lavoro, in famiglia, nella società, possiamo comunicare, possiamo evangelizzare.
Non abbiamo bisogno di aver fatto approfonditi studi teologici o per forza imparare ad usare Internet. Se fosse così, Gesù non avrebbe dovuto scegliere dei pescatori, ma avrebbe dovuto fare un attento discernimento tra gli scribi di Gerusalemme o tra i filosofi di Atene. Possiamo comunicare agli altri che la nostra esperienza di fede, la nostra sequela del Cristo è qualcosa di importante per noi, la cosa più importante. Che il nostro essere cristiani non è un peso, una fatica, un obbligo, una disgrazia che ci è capitato addosso perché i nostri genitori ci hanno fatto battezzare. Che anche per altri vale la pena provare a fare l’esperienza che stiamo facendo. Che in questo mondo che ha difficoltà a trovare un senso al proprio essere ed al proprio agire possiamo comunicare il senso che abbiamo scoperto in Cristo del nostro essere e del nostro agire.
Questo comporta che rimettiamo al centro della nostra vita l’elemento fondamentale della nostra fede: la resurrezione di Cristo. Dobbiamo immergerci nel senso della pasqua. Dobbiamo essere capaci di lasciarci vivere dalla pasqua del Cristo lungo tutti i giorni del nostro cammino. Non siamo noi ad andare incontro al Cristo risorto. Non siamo noi ad andare verso la Pasqua. Dobbiamo essere capaci di lasciare entrare il Cristo Risorto nella nostra esistenza, lasciare che la Pasqua ci venga incontro. Se la Pasqua entra nella nostra vita, già da ora possiamo in qualche modo essere trasfigurati, partecipare della trasfigurazione del Cristo, partecipare alla nuova creazione.
E’ questa la più grande testimonianza che possiamo rendere, la missione che il mondo si attende da noi. Una parola di vita. Quella parola di vita che il mattino di pasqua esce dal sepolcro ed illumina la notte dei discepoli affranti.
Ed allora, qui od altrove, ma pur sempre testimoni. Qui, nella vita di ogni giorno, o su di una isola lontana o in mezzo alla boscaglia: evangelizzatori, sì, se testimoni di quell’unico buono, gioioso annuncio che è la pasqua del Cristo. Testimoni di un seme gettato da Dio che già germoglia nel nostro terreno e che è talmente rigoglioso che si espande, trabocca e porta vita.
Fausto Ferrari