Il Mandarino è un celebre racconto dello scrittore portoghese José Maria Eça de Queiroz (1). Vi si narrano le vicende di un tranquillo impiegato di Lisbona, al quale viene proposto di ereditare le immense ricchezze di un lontano mandarino cinese, suonando semplicemente un campanello piovuto dal nulla. Tutto così facile? Non proprio: gli viene anche detto che il suono del campanello provocherà la morte del mandarino.
Eppure il pacifico impiegato non esita a premere il pulsante. Chi gli assicura, infatti, che la sua insignificante azione provocherà la morte di un uomo? Una persona sconosciuta, quasi fantastica, legata all'immaginario di un lontano oriente, per di più. Egli è allettato dalla possibilità di ereditare le ricchezze promesse. Si tratta di un'occasione unica, irripetibile, da non lasciar perdere. Morte di una persona umana e possesso di ricchezze materiali sono due ipotesi, due possibilità che l'impiegato portoghese si trova a dover ponderare. Non ha dubbi. E, al tempo stesso, si sente a posto con la propria coscienza. Non si ritiene, infatti, responsabile di ciò che possa accadere premendo quel pulsante. E poi, cosa vale per lui la vita di un remoto, vecchio, sconosciuto mandarino cinese, nel caso che costui dovesse morire?
Le tematiche suscitate da questo racconto pubblicato nel 1880 sono diventate quanto mai attuali nella nostra società informatica, pervasa sempre più dalla realtà virtuale. Fin dove giunge la nostra responsabilità personale? Ci siamo dati, infatti, una rete di protezione che separa il nostro agire dalla percezione delle possibili conseguenze che esso possa produrre. Siamo leoni da tastiera che insultano il mondo intero, ad esempio, senza alcuna coscienza di ciò che producono le nostre dissennate parole. Non ci si sente responsabili di alcun macrofenomeno che sta avvenendo a livello globale, pur sapendo che, con ogni probabilità, il nostro comportamento personale e le nostre scelte quotidiane apportano un contributo a tutto ciò. Papa Francesco ha parlato di una «globalizzazione dell'indifferenza». A nulla servono le decine di migliaia di morti del Mediterraneo, i milioni di profughi siriani causati da una guerra ormai decennale. Non interessa la continua deforestazione dell'Amazzonia né i persistenti incendi dell'Australia. Non interessano le popolazioni dell'Oceania che vedono le loro isole scomparire sotto l'innalzamento delle acque…
I nostri interessi sono tutti volti altrove. Alle settimane bianche sulla neve e alle vacanze alle Mauritius. Alle crociere e ai safari. Al divertimento. Al soddisfacimento immediato – assoluto – dei propri desideri. Divertimento: quel volgere altrove il proprio sguardo, il proprio interesse – tale è il significato originario di questa parola che ci avvolge e consuma.
Poi è giunto un invasore invisibile che ci ha assalito e si diffonde sempre più. Non è giunto con i barconi dei disperati e neppure nascosto tra i bagagli dei migranti. È arrivato mediante gli uomini d'affari che corrono da un capo all'altro del pianeta per curare i propri interessi. Si è diffuso grazie a quanti sono corsi a rifugiarsi nelle loro casette in montagna o al mare o han pensato che le proprie vacanze o i propri affari s'avevano da fare, a qualunque costo. Ha continuato a prosperare perché i padroni delle industrie e dell'economia hanno continuato a ritenere che la vita degli operai non fosse misurabile con i tempi delle consegne da rispettare. Si è moltiplicato a causa del perpetuarsi di un comportamento quotidiano irresponsabile e superficiale. E ci ha travolti.
Ospite inatteso, temuto e ostile dei nostri corpi. Ci ha ricordato che siamo fragili, vulnerabili. Ha fatto prepotentemente riaffiorare un aspetto della nostra vita che la realtà virtuale ci stava facendo dimenticare: siamo esseri sociali, abbiamo bisogno di stare insieme, siamo fatti anche di abbracci e di baci.
Non solo. Questo virus microscopico ci obbliga a riconsiderare la nostra responsabilità personale. Non si diffonde a suo capriccio, ma tramite un nostro coinvolgimento. I nostri corpi ne sono il veicolo, attraverso i contatti fisici e le interazioni personali. Ben più di tante altre malattie. Più velocemente e pericolosamente.
Non ci si deve misurare rispetto alla paura personale che si possa restare infettati e morire, ma quanto il nostro comportamento possa produrre in coloro con cui veniamo in contatto, a partire dai nostri cari. Ma il discorso, ora più che mai, non può limitarsi all'ambito personale. Le scelte politiche, finanziarie, industriali e militari di questi ultimi decenni sono ora messe a nudo. Si deve tornare a dare la priorità assoluta alla vita umana – con buona pace di quanti hanno fatto dell'economia e della finanza gli unici principi dell'attuale orizzonte.
L'impiegato portoghese del racconto, premendo il bottone del campanello, diventa un killer. Diversi studi hanno dimostrato che un tale comportamento corrisponde a quello di gran parte delle persone che si trovano ad affrontare scelte simili. Solamente ben pochi, di solito sostenuti da forti motivazioni etiche e/o religiose, non vogliono correre il rischio di trasformarsi in assassini, seppure quasi inconsapevoli. Perché per quest'ultimi il valore della vita – anche di uno sconosciuto e seppure in maniera ipotetica – viene prima di tutto il resto.
Quasi tutti noi, dunque, siamo dei potenziali killer. Certo, non abbiamo in mano pistole fumanti, ma è il nostro comportamento irresponsabile a renderci tali. Quando continuiamo a ritenere che la nostra condotta e le nostre scelte non abbiano alcuna influenza sulla vita degli altri. Né c'importa di ciò. E più grande è il nostro ruolo all'interno della società e maggiore la potenzialità del killeraggio. Killer è l'industriale che non ritiene che la salute dei suoi operai sia importante come la propria. Killer è il politico che considera il bene comune succube degli interessi dei gruppi finanziari ed economici. Killer sono anche coloro che al soldo dei potenti di turno si fanno custodi del dominante pensiero economicista…
Ma questo virus ci mette di fronte allla prospettiva che ben presto ci trasformiamo tutti nei potenziali killer di noi stessi. Se non si tornerà ad essere pienamente responsabili: verso se stessi, come verso gli altri e verso l'intero pianeta.
Faustino Ferrari
1) Il Mandarino, Firenze, Passigli, 2004.