Voglio attirare i vostri sguardi su una figura della Vergine Maria, posta in fondo al coro di questa nostra cattedrale di “Notre-Dame”. Maria è seduta ai piedi della croce e tiene nelle sue braccia il figlio morto. E la Pietà, la madre dei dolori. Sarà la madre di tutti quelli che riceveranno, vivente, questo corpo morto, poiché Cristo, morto nella sua carne, è risorto per la nostra vita. Ai due lati vi sono le statue del re di Francia Luigi XIII e di suo figlio: sono ricorsi alla madre addolorata del Cristo per affidare questo paese a Dio.
Meditiamo il paradossale accostamento dell'assunzione di Maria nella gloria di Dio con questa rappresentazione della madre addolorata che non guarda suo figlio, ma volge i suoi occhi verso il cielo.
1. Madre dei dolori, madre dei viventi
Seguiremo il Cristo nella sua passione. In questo giorno noi capiamo che Maria è la madre dei viventi, perché è allo stesso tempo la madre dei dolori.
Adamo, nostro progenitore, dà a sua moglie questo nome di “madre dei viventi”: «L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi» (Gn 3,20). Madre dei viventi, ma anche madre dei dolori. Ricordiamo quella frase misteriosa che, ancor oggi, ci sconvolge e a cui forse ci ribelliamo. Dopo che la rottura con Dio è consumata, la voce divina dice a Eva: «Con dolore partorirai figli» (Gn 3,16).
Madre dei viventi, madre dei dolori, è proprio così che conviene chiamare Maria. La Tradizione della Chiesa la designa infatti come la nuova Eva.
Paolo VI, in occasione della festa del 25 marzo, l'Annunciazione, ce lo insegnava di nuovo: «La solennità dell'Incarnazione, diceva, appare come la festa della nuova Eva, vergine obbediente e fedele che, col suo "fiat" generoso, divenne, per opera dello Spirito, madre di Dio, ma anche vera madre di tutti i viventi e, accogliendo nel suo seno l'unico Mediatore, vera Arca dell'Alleanza e vero Tempio di Dio» (1). Maria, madre dei dolori, madre dei viventi, ecco quello che propongo di meditare.
«Eccomi». Ricordiamo la frase finale del dialogo tra Maria e l'inviato di Dio al momento dell'annunciazione: “Ecco la serva del Signore. Si faccia di me secondo la tua parola» (Le 1,38). Questa accettazione, questa sottomissione alla volontà divina è rivestita per noi dello splendore di una serena bellezza. Pertanto la liturgia della festa dell'Annunciazione accosta la risposta di Maria a un passo dell'Epistola agli Ebrei (10,5-7.10). Questa stessa frase, l'autore la mette sulla bocca di Gesù, quando gli fa dire, entrando nel mondo: «Tu non hai voluto sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato... Allora io ho detto: Ecco, io vengo, per fare, o Dio, la tua volontà». L'autore della Lettera agli Ebrei prosegue: “Ed è appunto per quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre”.
All'annunciazione la voce del Verbo fatto carne si fa sentire attraverso la bocca di sua madre. Il “fiat” di Maria, la sua risposta: “Si faccia di me secondo la tua parola” anticipa quello che Gesù dirà nel Getsemani: «Padre, non la mia, ma la tua volontà» (cfr. Lc 22,42).
Ma, sotto la croce, Maria, in piedi, come ce la descrive Giovanni (19,25-27) tace. È il Figlio che dà voce all'offerta della madre. È attraverso la bocca di Gesù che Maria si esprime. Allo stesso modo che condividerà il suo silenzio quando egli avrà rimesso il suo spirito tra le mani di suo Padre.
L'autore della nostra Pietà lo ha presentito. Il corpo morto del Figlio prediletto, enigma insopportabile per la fede di Maria, riposa sulle sue ginocchia. La Madre guarda verso il cielo, con le braccia levate in alto. Dalla sua bocca sembrano scaturire le parole pronunciate dal Figlio sulla croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). In quest'ora di tenebra, il dolore della madre, volto verso il Padre invisibile dei cieli, la fa partecipare alla passione del Figlio.
L'artista, scolpendo gli angeli che sostengono Maria in quell'istante, ci fa pensare all'angelo che “confortava” Gesù nell'agonia (Lc 22,43). Sì, la parte che Maria prende nella passione del Figlio è senza dubbio il suo silenzio nell'istante del supremo abbandono.
L'incredulo, lo scettico, colui che ignora che cos'è il mistero cristiano, se visita questa cattedrale e si arresta un momento davanti a questa statua, resterà senza dubbio sconcertato. Si domanderà che cosa significa questa espressione patetica del dolore umano che, tuttavia, dà prova di un tale dominio, di una tale interiorità. Non può vedere là che la prova incomprensibile, lo scandalo più grande che attraversa l'umanità: una madre piange perché le è stato tolto il suo figlio. Come già al tempo della strage degli Innocenti, compiuta per ordine del re Erode, risuona il grido di Rachele, che non vuole essere consolata (Mt 2,18). Ma, qui, il volto di questa madre non esprime il rifiuto.
Maria riceve il corpo morto del suo Figlio nell'oscurità della fede di Abramo. Ricordiamoci di quel versetto del Magnificat: “Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza per sempre» (Lc 1,54-55). Dio risusciterà suo Figlio alla vita che non finisce. Il Figlio, come in una seconda nascita, le sarà dato e restituito, ci sarà dato e restituito.
Maria partorisce nel dolore del Servo sofferente, non il piccolo nato dal suo seno verginale, ma questo corpo morto disceso dalla croce, che si è dato per i nostri peccati, è risorto per la nostra vita. Lei partorisce anche noi, fratelli e sorelle del Cristo, nei dolori della passione di Gesù. Partecipa al parto spirituale del Cristo con la sua unione alla passione che ha voluto subire fino in fondo. Partecipa al parto spirituale dei fratelli e delle sorelle del Cristo che, battezzati nel Cristo morto e risorto, nascono alla nuova vita dei figli di Dio. E proprio quello che Gesù ci rivela, secondo le parole che ci ha trasmesso san Giovanni. “Gesù disse alla madre: "Donna, ecco il tuo figlio". Poi disse al discepolo: "Ecco la tua madre!"» (Gv 19,26-27).
Questo parto spirituale è forse un modo immaginoso di parlare? Ricordate la frase che ci riferisce l'evangelista Luca: “Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti”. Gesù risponde: “Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8,20-21). E san Marco da parte sua, come san Matteo, dice: “Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (Mc 3,35; cfr. Mt 12,50). Facendo la volontà di Dio, entrando nei disegni dell'amore misericordioso, entrando in questa obbedienza del Figlio che apre il cammino della vita e dell'amore, Maria, a sua volta, ci partorisce come fratelli e sorelle di Cristo, come figli del Regno.
Permettetemi una confidenza. Facevo visita a un sacerdote infermo, chiuso da lunghi anni in un silenzio inesplicabile. Non rivolgeva più la parola a nessuno, nemmeno ai suoi parenti che lo curavano. In colloqui a tu per tu, a diverse riprese, gli parlavo meglio che potevo, non sapendo se lui mi sentiva e mi capiva. Un giorno egli tira fuori bruscamente dalla sua veste il pugno chiuso. Lo apre ed è il suo rosario che mi mostra. Me lo mette con forza tra le mani. Io, in principio, esito: non era per caso un gesto di ribellione di fronte al dolore e alla sofferenza? Voleva riconsegnarmi il rosario di cui non sapeva più che farsene? La verità è la migliore delle guarigioni e la sola degna di un uomo e di un sacerdote. «Vi rifiutate di pregare?» gli ho domandato. In quel momento ho visto quell'uomo, che non comunicava più con nessuno, scuotere la testa con una forza incrollabile in segno di diniego. Ho compreso che, mettendomi il rosario tra le mani, mi affidava a mia volta la missione di pregare con lui, per lui e per la Chiesa. Ho tentato allora di dire ad alta voce quello che mi veniva nel cuore per questa offerta della sua vita sacerdotale. 1 Io pensato in quell'istante alla Pietà che abbiamo sotto gli occhi. Il suo sacerdozio, muto e umanamente sterile, questo lento affondare nelle tenebre e nel silenzio era abitato dalla preghiera sacerdotale di intercessione che è, allo stesso tempo, la preghiera mariana. Non una morte, ma una nascita alla vita.
È per questo, fratelli miei, che, interrompendo qui questo punto della nostra meditazione con Maria, madre dei dolori, madre dei viventi, vorrei che rendessimo grazie con tutte le nostre forze per la bellezza e lo splendore della vita a cui Dio ci chiama. La vita che ci è data, la vita dei figli di Dio, ci fa misurare che ogni vita umana è infinitamente preziosa. Il Redentore degli uomini è il Redentore di tutti gli uomini. La vita umana è un dono di Dio. Essa non termina con l'irriducibile fallimento della morte, come pensano quelli che non conoscono le parole della Vita. La vita dei figli di Dio ci fa attraversare la prova della morte di Cristo donando a nostra volta la vita. Offrendo la loro vita con Cristo, i discepoli di Gesù sono trascinati dal torrente della grazia. Queste vite si uniscono le une alle altre per formare quella corrente d'amore che attraversa il mondo e gli dà la salvezza.
2. Madre della Chiesa, unica e una
Maria, madre dei dolori, madre dei viventi, è la madre della Chiesa, attraverso la quale, ormai, il Cristo vuol dare la vita al mondo.
Maria è madre della Chiesa unica e una. Ce lo ricorda P. Claudel, colui che in questa cattedrale ha scoperto il mistero della Grazia, il giorno della Natività. Egli ci dice: “Nostra Signora della Liberazione. Lei libera, infatti. C'è in fondo a ogni essere umano un'anima prigioniera, un'anima confinata che è soggetta alla vanità pur non volendola e che aspira più o meno confusamente alla conoscenza e alla luce. Ma riuscirebbe, alla fine, a dire di sì, riuscirebbe nella sua dolorosa lotta contro le tenebre e l'oppressione, se non ci fosse questa Chiesa, che non abbiamo imparato a distinguere dalla figlia di Anna e di Gioacchino, per assisterla nel suo sforzo ostetrico?... E attraverso la maternità che l'uomo diventa il figlio di Dio» (2).
Questa frase di Claudel, è carica di presentimento profetico, designa già, in Maria, la figura della Chiesa e la madre della Chiesa.
All'inizio dell'anno mariano, il papa ha affidato alla preghiera della madre di Gesù l'unità della sua Chiesa. Numerosi anniversari, infatti, che sono stati o saranno celebrati, ci ricordano il tempo della Chiesa indivisa, i secoli che precedettero le grandi lacerazioni tra l'Oriente e l'Occidente.
Già nel 1985 commemoravamo l'undicesimo centenario della prima evangelizzazione degli slavi da parte dei santi Cirillo e Metodio. Abbiamo festeggiato da poco il giubileo del battesimo dei popoli della Russia a Kiev. Il 4 dicembre 1987 si è celebrato il dodicesimo centenario del secondo concilio di Nicea, l'ultimo prima della divisione, mentre il 25 marzo 1981 Giovanni Paolo II aveva ricordato il 1600° anniversario del primo concilio di (Nicea)-Costantinopoli e il 1550° anniversario del concilio di Efeso. Se il papa ha desiderato che tutte le Comunità d'Occidente si unissero, in questo 25 marzo 1988, alla preghiera delle Chiese di tradizione bizantina cantando l'inno alla Vergine — l'inno “Akathistos» — è per ravvivare la speranza di una prossima e piena comunione ristabilita tra le Chiese d'Oriente (bizantine, slave, antiochene, ecc.) con la Chiesa d'Occidente.
Siano, infine, riunite le membra separate dell'unico Corpo in cui abita l'unica Grazia e per cui intercede l'unica madre di Dio.
Da parte mia vi invito a unire a questa preghiera un'intenzione tutta particolare. Che, per intercessione della Vergine Maria, la nostra Chiesa, in Occidente, riceva la gioia dell'unità, della comunione. Che nel cuore e nello spirito di tutti l'amore dell'unità cattolica sia risvegliato dall'amore di Maria per l'unico Corpo di Cristo.
Una pagina del Primo libro dei Re può darci qui molta luce. Io penso al giudizio di Salomone (1Re 3,16-28). Ricorderete questo episodio. Due giovani madri si disputavano uno stesso neonato. In realtà, il bambino di una di esse era morto soffocato durante la notte. Ognuna dice all'altra: “Il mio figlio è quello vivo, il tuo è quello che è morto”. In qual modo Salomone nella sua sapienza identificherà la vera madre? Il re dice: “Portetemi una spada!” e si portò la spada davanti al re. «E il re disse: "Tagliate in due il bambino vivo e datene una metà all'una e una metà all'altra". La donna il cui figlio era quello vivo si rivolse al re — perché le sue viscere erano commosse nei riguardi di suo figlio e disse: "Signore, date a lei il bambino vivo; non uccidetelo affatto!". L'altra disse: "Non sia né mio. né tuo; dividetelo in due!". Presa la parola, il re disse: "Date alla prima il bambino vivo; non uccidetelo. Quella è sua madre"“ (1Re 3,24-27).
Allo stesso modo noi riconosciamo sia la maternità di Maria, sia la verità della Chiesa in questo: che Maria, proprio come la Chiesa, vuole che viva l'unico Figlio prediletto. Non può accettare, senza sentirsi trapassare il cuore da una spada (cfr. Lc 2,35), che sia diviso il corpo del bambino profeticamente «deposto nella mangiatoia» (Lc 2,7).
San Paolo, a diverse riprese e particolarmente nella Prima lettera ai Corinti, si serve di questo paragone del corpo. «Come il corpo essendo uno — scrive a proposito dell'azione dello Spirito Santo nella Chiesa — ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo» (1Cor 12,12-13). Quest'ultima frase non si comprende che nella logica del parto, dell'incarnazione, dirà più tardi il linguaggio teologico. Infatti, lo Spirito Santo è venuto su Maria, la potenza dell'Altissimo l'ha coperta della sua ombra perché lei partorisca un figlio, il Figlio dell'Altissimo (Le 1,29-35). Allo stesso modo, lo Spirito Santo viene sulla prima Chiesa radunata nel cenacolo con Maria (At 1,14; 2,1-4) perché sia partorito il corpo ecclesiale del Cristo. È per questo che, nella nostra diversi là, noi non formiamo che un solo corpo. Nessun membro può distaccarsi da questo corpo senza morire. “Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo» prosegue l'apostolo (1Cor 12,20). «... Perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra abbiano cura le une delle altre. Se un membro soffre, ditte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte» (1Cor 12,25-27).
San Giovanni, nel racconto della passione, sottolinea due fatti profetici di questa unità del corpo di Cristo, rispettato persino sulla croce, a motivo del suo parto e in previsione della sua resurrezione.
I soldati, prima di tutto, non lacerano la tunica di Gesù, tunica senza cuciture, tessuta tutta d'un pezzo dall'alto. Tirano a sorte colui che l'avrà. Nuovo giudizio di Salomone per questa tunica sacerdotale che, in anticipo, è simbolo dell'indistruttibile unità del popolo sacerdotale che Dio farà nascere. Possiamo intravedere allora quale logica spirituale spinga san Giovanni a citare subito dopo questo episodio la presenza di Maria, sua madre, in piedi presso la croce di Gesù, e le sue parole: “Donna, ecco tuo figlio... Ecco la tua madre» (Gv 19,23-27).
E per questo che, in secondo luogo, questo corpo nato dalla Vergine Maria, ferito, crocifisso, morto, il cui costato è trapassato dalla lancia del soldato, è rispettato nell'integrità delle sue membra, come l'agnello pasquale: «I soldati... non gli spezzarono le gambe... perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso» (Gv 19,33-37).
È dunque legittimo affidare l'unità alla preghiera di Maria, l'unità, l'integrità del corpo ecclesiale di Gesù risorto. Ascoltare le parole di Gesù al discepolo: «Ecco la madre”, ci permette di riconoscere dove si trovino sia la vera unità della Chiesa, sia la vera maternità, manifestate nella Vergine Maria come nell'unica Chiesa. Là dove è veramente voluta e amata l'unità del corpo di Cristo, là dove è religiosamente rispettata l'integrità indivisa in questo corpo, là è la vera madre, Maria e la Chiesa. Ma chi preferisce che sia tagliato il corpo del Figlio non può pretendere di essere la vera madre. Chi divide il corpo del Figlio, scaccia la madre. Ella gli sfugge assieme al Bambino, come davanti ai soldati di Erode che massacrano gli Innocenti di Betlemme (Mt 2,13-15).
Abbiamo, dunque, ricevuto dalla nostra nascita spirituale un dovere imperioso di fedeltà alla Chiesa. Esso ci sollecita a far trionfare la carità, l'amore su tutte le divisioni.
Come Chiesa dobbiamo entrare nell'atteggiamento di generare con dolore, come scaturisce dall'Annunciazione, dalla Passione e dalla Pentecoste. Come Chiesa, siamo chiamati a prender parte ai dolori della Passione che Maria stessa prova. Come Chiesa, dobbiamo superare le dispute e le divisioni contrarie allo Spirito del Cristo. San Matteo (20,20-28) ci riferisce, infatti, l'ambizione della madre dei figli di Zebedeo per i suoi due figli. La sua domanda divide il gruppo dei dodici Apostoli e fa nascere la disputa. Gesù li raduna invitandoli a seguirlo nella sua Passione, e a divenire, con lui e come lui, servi. Perché è lui, il Figlio della “Serva del Signore” (Lc 1,38) che la darà loro per madre.
E per questo che dobbiamo essere pronti a subire le sofferenze che possiamo infliggerci gli uni gli altri come una partecipazione che Dio vuole darci alla passione del suo Figlio. Noi non dobbiamo riconoscere che una sola maternità, quella che genera alla vita. La vera madre è quella che vuole che il figlio viva. Vive solo chi vuole la comunione e la carità. Perché chi non ama il fratello è nella morte. Molto peggio, è omicida e mentitore, ci dice san Giovanni nella sua Prima lettera (1Gv 4,20).
È dunque normale che domandiamo con insistenza e supplica, persino con audacia, alla madre di Dio, alla madre di Gesù — colei che ha generato questo corpo — di placare le passioni perché i cristiani non siano più fratricidi, uccisori gli uni degli altri attraverso l'odio o la menzogna, ma sappiano riconoscersi nella grazia comune che li genera, ma sappiamo render grazia per la dignità che è la loro.
Lacerare il corpo è un peccato, non solamente nei riguardi gli uni degli altri. E molto di più: è bestemmiare la carità divina. Noi, discepoli di Gesù, dobbiamo averne una coscienza acuta. Davanti alla croce, con Maria, nessuno di noi può reclamare il suo diritto: non può che obbedire a quel che Dio vuol donarci e di cui vuol farci partecipi.
Non può farlo che nel?obbediente carità.
Non può farlo che nella compassione della madre di Dio.
3. Madre del genere umano
Maria, madre dei dolori e madre dei viventi.
Maria, madre della Chiesa una, perché madre dell'unico corpo del Figlio risorto.
Maria, madre degli uomini. Questo nome dato a Maria sottintende una verità che dovrebbe esserci familiare: l'unità del genere umano.
Che cos'è l'uomo? Qual è la natura dell'essere umano? La fede risponde a questa domanda con un'affermazione fondamentale, che è un prodigioso atto di speranza nell'avvenire dell'umanità. La nostra epoca ne ha il presentimento. Tutti vogliamo riconoscere l'unità del genere umano, ma in realtà sembriamo incapaci di ammetterlo.
La nostra epoca dovrebbe essere capace di comprenderlo meglio ancora dei secoli passati. Noi conosciamo tutti gli individui che abitano sulla faccia della terra. Oggi non esistono più popoli sconosciuti, né “selvaggi” che i “civilizzati” debbano ancora scoprire. Potremmo quasi arrivare a calcolare il numero di tutti gli esseri che compongono la nostra specie umana.
Anzi l'unità del genere umano ci è ormai presentata nella sua origine dai risultati convergenti del sapere scientifico, a prezzo di approssimazioni successive. Anche se oggi conosciamo meglio i limiti della scienza, possiamo immaginare con una relativa certezza la comparsa della nostra specie e la sua unità.
E allo stesso tempo il nostro secolo accresce le divisioni dell'umanità in misura della sua potenza e della sua grandezza, accumula gli omicidi, spinge il suo odio fino al parossismo, per farne un'arma del terrore. E, quel che è molto più grave, il nostro secolo fa affondare nell'oblio la memoria grazie alla quale gli uomini sanno di essere fratelli tra loro. Adesso che, col progresso delle tecniche di comunicazione, ci si conosce tutti e ci si potrebbe infine riconoscere nella nostra comune origine, si agisce gli uni nei riguardi degli altri come esseri senza padre né madre. I,'umanità sembra perduta per se stessa, non «conoscendosi più né di Eva né di Adamo”. Come se, uomini e figli degli uomini, fossimo divenuti definitivamente estranei gli uni agli altri.
Oggi vediamo sulla nostra terra disgrazie, omicidi e massacri. Vediamo oggi uomini e donne, scacciati di casa loro perché altri uomini e donne negano loro il diritto di fare di quel paese il loro paese. Uomini e donne sono disprezzati a motivo del colore della loro pelle, del loro accento, della loro origine. Vediamo oggi l'odio ostentato senza pudore, suscitato, nutrito e programmato come un'arma di conquista, del potere o delle ricchezze. Vediamo oggi l'unità stessa della specie umana minacciata da ciò che sta entro il cuore degli uomini.
La minaccia non viene dall'esterno, viene dall'interno. Come disse Gesù, è dal cuore dell'uomo che escono gli odi, le violenze, i peccati (cfr. Mt 15,19). E tuttavia l'unità del genere umano è una verità attesa e desiderata da ogni persona che considera la sua esistenza in mezzo alla moltitudine innumerevole degli esseri viventi. L'unità del genere umano è il fondamento di una speranza universale che sembra essere la condizione della pace e della felicità.
Questa verità della natura dell'essere umano, smentita dal suo stesso agire, dobbiamo scoprirla nuovamente e comprenderne il realismo. Anzi, possiamo rimetterla in luce e salvarla se riceviamo la grazia della nostra condizione filiale attraverso l'atto del Redentore, il Figlio di Maria. Sì, è in Maria che possiamo scoprire, riscoprire Eva; è nella fraternità dei figli di Dio che possiamo scoprire e riscoprire la solidarietà dei figli di Adamo.
Come? Per quale via? Per quale strada? Il Signore ce ne dà il senso e l'indicazione chiara: col perdono.
Andiamo alle prime pagine del libro della Genesi che ci descrivono la nascita dell'umanità. All'uscire dal seno materno e paradisiaco, il primo avvenimento che segna la storia umana è l'omicidio, la divisione: Abele ucciso da Caino. Questo delitto ci indica nettamente la natura di ogni attentato contro il prossimo: è un fratricidio. La Genesi ci trasmette i resti di un canto barbaro, su cui bisogna fermarsi un istante (Gn 4,17-24). Lamek, un discendente di Caino, canta questo poema sanguinoso:
«Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura
e un ragazzo per un mio livido.
Sette volte sarà vendicato
Caino ma Lamek settantasette».
Questo crescendo incredibile della violenza, della vendetta, dell'odio e del sangue sembra essere la legge inesorabile della sorte dell'umanità.
Ricordiamo la domanda di Pietro a Gesù: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù gli rispose: “Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,21-22).
Alla crescita inesorabile del sangue, del dolore, delle grida e della vendetta, Gesù oppone la crescita infinita dell'amore che diventa perdono. Perché il perdono è la sola via che permette alle persone di risalire la china dell'omicidio di Abele da parte di Caino. L'umanità deve poter perdonare l'immenso risentimento accumulato dalle origini, per permettere che questa striscia sanguinante sul nostro pianeta non ci scoraggi e non ci accechi.
Maria, madre di misericordia, Maria, nuova Eva.
Considerando nella «Pietà», prima descritta, lo sguardo di Maria rivolto verso il cielo, eravamo tentali di prestarle il grido di Gesù: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»
Ella tiene tra le braccia il corpo del Giusto, novello Abele, innocente, morto per i nostri peccati. Possiamo cosi mettere sulla bocca di Maria quest'altra preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro; non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Non sanno fin dove arriva la potenza dell'amore. Non sanno quel che significa la morte e l'omicidio, perché sono loro stessi accecati dal sangue che hanno versato, dal peccato in cui sono caduti.
Maria, nuova Eva, guarda verso il cielo, ma ci porta. Quel corpo morto sulle sue ginocchia è il corpo dell'umanità intera finché non sarà stato colpito dall'amore. Péguy aveva già fatto questo accostamento quando dice:
«I sette dolori, erano solo un inizio.
È da molto tempo che Ella è e che noi l'abbiamo fatta la Madre dei settanta e delle settanta volta settanta dolori» (3).
Sì, Maria, madre di misericordia, ci permette di scoprire l'Eva primitiva, la madre dei viventi. Il parto materno della Chiesa e di Maria ci ricorda la nostra comune origine: siamo i figli di Eva. Ci rimanda all'unica paternità di Dio, nostro Creatore, che ci ha costituito tutti fratelli e sorelle gli uni degli altri. Ricordo la parabola dei due figli. Il figlio perduto era come morto, lontano dalla casa del padre. Il figlio ridotto al grado delle bestie, il figlio schiavo dice: “Sì, mi alzerò e andrò da mio padre» (Lc 15,18). Maria ci invita a pronunciare lo stesso grido di speranza, ad alzarci per andare verso nostro Padre, là dove potremo ritrovare i nostri fratelli e ritrovarci fratelli. Colui che ci permette di andare verso di lui è colui che ci perdona, che ci fa indossare l'abito da festa, che ci mette l'anello al dito e ci invita al festino in cui tutti possono infine comunicare gli uni con gli altri ricevendo per nutrimento l'Amore che viene da Dio, l'Amore che è Dio.
Fratelli miei, bisogna che in questo tempo e in questo giorno sappiamo fare del perdono la forza più grande di questo mondo.
Che Dio ce ne ottenga la grazia per intercessione di Maria, la madre del Salvatore, che noi preghiamo con tutta la Chiesa, cantando così nell’Inno akathistos:
«Rallegrati tu, per la quale il male è scomparso.
Rallegrati, tu sollevi Adamo dalla sua caduta.
Rallegrati, per te Eva non piange più.
Rallegrati, perché tu rinnovi ogni creatura.
Rallegrati, o Madre del Salvatore».
La Chiesa riceve continuamente dal suo Signore e Maestro la forza di trasmettere la vita eterna. La promessa fatta alla Chiesa prolunga, un giorno dopo l'altro, l'annuncio fatto a Maria.
Giovanni Paolo II ricordava nell'enciclica Redemptoris mater che «la Chiesa apprende da Maria anche la propria maternità: riconosce la dimensione materna della sua vocazione, legata essenzialmente alla sua natura sacramentale, "contemplando l'arcana santità di lei, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre" (n. 43).
Che Maria, madre della Chiesa, ci mantenga sempre consapevoli di ciò e fiduciosi.
Faccio mia la lode che il card. De Lubac rivolge alla Chiesa con le stesse parole che noi destiniamo alla Vergine Maria:
“Sii lodata tu,
tu che sei amata dal Padrone dell'universo, iniziata ai suoi segreti e che ci insegni quel che gli piace. Tu il cui splendore soprannaturale non si offusca, nelle ore più buie!
Tu, grazie alla quale la nostra notte è bagnata di luce! ...
Tu ci dai ogni giorno Colui che solo è la Via e la Verità.
Per te, noi abbiamo in lui la speranza della Vita. Il tuo ricordo è più dolce del miele e colui che ti ascolta non sarà mai confuso. Madre santa, madre unica, madre immacolata! O Madre! Santa Chiesa, vera Eva, sola vera Madre dei Viventi» (4).
card. Jean-Marie Lustiger
1) Marialis cultus, 6.
2) J'aime la Bible: Fulgem corona.
3) Le Porche du mystère de la deuxième vertu.
4) Méditation sur l'Eglise, c. VIII, “Ecclesia Mater” 1952.