Formazione Religiosa

Domenica, 12 Luglio 2015 11:35

Il testo biblico tra il dire e il detto (Maria Cristina Laurenzi)

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Quante letture esistono della Bibbia? Una sola o infinite? Nella visione fondamentalista, vi è una sola lettura possibile. L’approccio «pluralista » prevede invece una lettura secondo significali diversi ma non reciprocamente esclusivi.

La ripresa della discussione sui metodi di lettura della Bibbia consente talvolta di giungere a precisazioni utili; in questo momento, tra l'altro, si può cogliere un punto sensibile nelle posizioni fondamentaliste e tentare in proposito un chiarimento.

Ad una posizione fondamentalista, che identifica la parola di Dio con il testo biblico, e questo con una serie di significati inerenti ad una particolare lettura, non si può semplicemente opporre un'ermeneutica dell'interpretazione infinita, senza alcune precisazioni.

Una lettura fondamentalista confonde un significato del testo, con il significato esclusivo; se invece si pensa che il testo possa leggersi secondo significati diversi, non reciprocamente esclusivi, si intende che il mio significato sa di altri, e quindi non è unico, ma ha a che fare con la pluralità di linguaggi e di persone, con la storia, la cultura, il confronto di posizioni. La critica storica può aiutare a comprendere se stessi, gli altri e il modo dell'interferenza, ma non va esercitata in senso riduttivo. Qui si ritrova il punto critico di ogni posizione che si pretenda esclusiva: il «per me» non può diventare immediatamente «per tutti», ma questo implica che anche i significati relativi ad una singola comprensione in effetti non si chiudono nell'isolamento, anzi hanno in se stessi il sapere della relatività e il riferimento allo sguardo di altri. La posizione storico-critica sa di applicare le proprie analisi ad espressioni di esperienze complesse, irriducibili a «componenti». Qui è il centro della riflessione sul metodo della lettura biblica: o un «per me» (un significato) che pretende di essere «per tutti», o viceversa «per me» che corre il rischio di annullare la consistenza di ogni riferimento nella deriva di un rimando all'infinito. Ma questa alternativa non esclude altre possibilità. Invece è comprensibile una comunicazione che, nella parzialità del punto di vista del destinatario, mantenga integra e distinta la propria provenienza, così da rendere autentica la comprensione relativa, ma al tempo stesso da limitarne le pretese, anzi da stimolare la ripresa della ricerca e l'interesse per la ricerca di altri.

La lettura «infinita» non può significare, rispetto al testo biblico, un rimando da segno a segno. Nel presupposto di una mancanza che non è colmabile, anzi è la condizione del significare (così nella concezione strutturalista), ma allude piuttosto alla relazione comunicativa, di cui il testo è traccia, che inserisce il lettore in una responsabilità e in un impegno verso la parola udita, verso un inizio indisponibile: è il tentativo, compiuto nella fedeltà, di dire in significati del linguaggio e dell'esperienza (il detto) la parola iniziale, che apre la relazione con un gesto comunicativo (il dire in senso proprio).

Il fondamentalismo presuppone un detto che non può essere scalfito, che è un dato. Ad esso si può rispondere con la distinzione tra la parola che dice (ciò che spinge i testimoni a parlare) e il detto (ciò che essi colgono ed esprimono nelle categorie della loro cultura e dei linguaggi disponibili, in situazioni determinate). Ciò che è detto, pur nel suo condizionamento storico e nei suoi limiti, non si giustifica da solo, se colui che si muove nell'ambito del linguaggio disponibile riconosce l'inoggettivabilità della parola che lo ispira e lo sollecita.

Il testo biblico non è un'espressione e una fonte letteraria simile ad altre, ma vive di questa singolare tensione tra i testimoni e qualcosa che li precede e li chiama, che essi vogliono dire. In questo senso l'interpretazione è infinita, non perché ci sia un gioco di riflessi da una prospettiva all'altra, senza che nessuna si presuma normativa, ma perché c'è qualcuno che vuol dire, nel suo linguaggio, qualcosa che lo precede e che non può essere compreso integralmente. Ma il rimando da ciò che è detto a ciò che potrebbe ancora venir detto, dallo stesso lettore o da altri, indica in effetti una parola iniziale, che continua a parlare, a rivolgersi ad ascoltatori: nella parzialità della comprensione, questi sono in rapporto ad una fonte di significati, che non si esaurisce, ma non annulla nel successivo il precedente sforzo di attenzione e di significazione. Non si tratta di qualcosa di afferrabile, del significato esclusivo della lettura fondamentalista, ma di significati dei linguaggi storici, di una cultura e di un'esperienza, che però non sono effimeri, e traggono consistenza dal riferimento. Questo, in rapporto al testo biblico, è la parola e il suo dire, che giustifica la molteplicità dei significati, ma non il vanificarsi del gesto comunicativo iniziale.

Maria Cristina Laurenzi

(in Confronti, dicembre 2005, p. 38)

 

Letto 2273 volte Ultima modifica il Domenica, 12 Luglio 2015 11:46
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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