Formazione Religiosa

Lunedì, 24 Novembre 2014 22:29

La Chiesa dopo Costantino (Marino Qualizza)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Con questi imperatori che diedero una impronta teocratica al loro governo, la Chiesa è la regina di lusso, ma come consorte subordinata, a cui non mancano riconoscimenti e privilegi, ma che non la fanno totalmente libera.

Gli storici della Chiesa chiamano il tempo dopo Costantino ‘la Chiesa come impero’ per designare la svolta dopo l’anno 313, quando il cristianesimo fu dichiarato religio licita. Il termine ‘impero’ collegato alla Chiesa, richiede qualche precisazione. È vero che alla Chiesa furono dati privilegi ed onori, tanto da chiamarla domina, imperatrix, ma bisogna distinguere i tempi. In effetti, fino al secolo XI, essa si trova in posizione subalterna, in modo particolare con Costantino, Giustiniano (sec. VI) e Carlo Magno (sec. VIII-IX).

Con questi imperatori che diedero una impronta teocratica al loro governo, la Chiesa è la regina di lusso, ma come consorte subordinata, a cui non mancano riconoscimenti e privilegi, ma che non la fanno totalmente libera, tant’è vero, che, per quanto tardi, c’è la reazione forte a questo modello, con papa Gregorio VII, ma siamo già verso il 1077. Comunque la nuova situazione comportò un cambio notevole di mentalità e di vocabolario, desunto questo da quello imperiale, per una specie di imitazione dell’impero. Il passaggio più significativo e quasi impercettibile, era da populus Dei a populus christianus. Ciò diede luogo a quel regime di cristianità che durò fino alle soglie dell’epoca moderna.

Colui che, dopo Costantino, impresse una forte signoria sulla Chiesa, fu Giustiniano, imperatore dal 526, facendo di Costantinopoli, nuova Roma, come capitale dell’impero, ma anche come sede episcopale, seconda solo dopo Roma. Già nel primo concilio di Costantinopoli (381) al vescovo della città fu riconosciuta una dignità del tutto speciale, incluso il titolo di patriarca dopo le Chiese di Roma, Alessandria e Antiochia e dal secolo VI anche quello di patriarca ecumenico, vale a dire universale, con la supremazia sulle Chiese orientali, nonostante le proteste di Papa Leone Magno (440-461). Questi attriti, rinforzati dalla questione del Filioque, (sec. IX) portarono alla separazione della Chiesa nel 1054. Così Occidente ed Oriente rimasero estranei l’uno all’altro, né i tentativi dei due concili di Lione, 1249 e 1274, ottennero qualche risultato. La distanza spirituale oltre che materiale, non giovò evidentemente alla vita della Chiesa, che si trovò priva delle importanti ispirazioni patristiche, patrimonio importante dell’Oriente. Lo stesso vale anche per l’Oriente, a cui mancò lo spirito pratico dell’Occidente.

Riprendendo il discorso della teocrazia imperiale in Occidente, Carlo Magno prima e poi gli imperatori Ottoni (sec. IX-X) si considerarono signori della Chiesa, cosa che non fece molti danni, soprattutto se si considera il disastro ecclesiale del secolo X, quando a Roma i successori di Pietro gareggiavano in depravazione e miseria morale. Su questo sfondo oscuro si colloca la spinta riformatrice del movimento di Cluny, per la ripresa forte della supremazia del sacerdozio sull’impero, con l’obiettivo della libertas ecclesiae.

La svolta del movimento di Cluny con la decisa iniziativa di Ildebrando di Soana, papa col nome di Gregorio VII, ebbe delle enormi conseguenze sul piano politico ed ecclesiale. Finiva un’epoca, il primo millennio, sulla cui conclusione stendiamo un velo pietoso, ma che, prima, aveva segnato la Chiesa in modo straordinariamente importante, soprattutto per la preminenza data al popolo di Dio, e iniziava il secondo millennio con un progetto ambizioso, ma segnato, come vedremo, da una ipoteca clericale.

L’idea della riforma era di stampo monastico: considerare la Chiesa come una grande abbazia sulla quale il papa esercitava il suo potere e pensare ad un clero che, sullo stile monastico, era celibe ed ubbidiente e distaccato da ogni interesse mondano. L’obiettivo di questa riforma implicava “che il papato, tutelando l’onore di Dio, rivendicasse per sé la piena supremazia e tentasse di esercitarla anche su imperatori, re e principi; il papa poteva quindi pretendere di essere ‘origo, caput et radix’ di ogni potere. Il vescovo di Roma s’arrogò il diritto di costituire e deporre, dichiarò gli stati feudo del papa e si affermò signore feudale su tutti i signori di questa terra, che, a loro volta, in quanto vassalli, potevano ricevere l’investitura soltanto in suo nome e dovevano accogliere ed esercitare la propria funzione per suo mandato. In questo senso il papa si comprese come signore universale del populus christianus. Queste intenzioni le troviamo espresse nel cosiddetto Dictatus papae di Gregorio VII, una raccolta di tesi e di rivendicazioni” (MS VII, 290).

Il Dictatus segna il passaggio ad una nuova figura di papa, quale non era apparsa nel primo millennio e con ciò si passa alla concezione della Chiesa come piramide, in cima alla quale, appunto, sta il papa come unica suprema autorità. Vale la pena di citare alcun passaggi significativi del testo, perché rendono chiarissima l’idea che lo guida.

“La Chiesa di Roma è stata fondata dal Signore soltanto. Di diritto solo al vescovo di Roma spetta l’appellativo di universale. Soltanto lui ha il diritto di emanare nuove leggi, fondare nuove comunità, destituire i vescovi senza un verdetto sinodale…Solo a lui spetta anche il diritto di portare le insegne imperiali. Solo lui porge il piede da baciare a tutti i principi. Il nome di papa è riservato esclusivamente a lui sulla terra…Nessun sinodo, senza il suo volere, può essere chiamato universale. Egli ha il diritto di deporre gli imperatori. Il suo giudizio è insindacabile. Lui non può venire giudicato da nessuno. Tutte le questioni più importanti devono venire sottoposte alla Santa Sede. La Chiesa di Roma non ha mai errato né mai cadrà in errore, per l’eternità, come attesta la sacra Scrittura. Nessuno potrà essere considerato cattolico se non si conforma alla Chiesa di Roma. Il papa può sciogliere i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà prestato a sovrani iniqui” (290-291).

Come si vede, un elenco impressionante di poteri esclusivi, che vengono dedotti secondo un procedimento astratto, dal principio del primato spirituale, della visione monastica, che diventa vistosamente terrena ed imperiale, in senso politico. Il tutto è fondato su una esegesi del tutto singolare del passo biblico di 1Cor 2, 15: Homo spiritualis omnia iudicat et a nemine iudicatur. Dove, per ‘uomo spirituale’ si intende il monaco, e il monaco ideale, cioè il papa. Solo che san Paolo per ‘uomo spirituale’ intendeva il cristiano che ha ricevuto lo Spirito nel battesimo: quindi non uno, ma tutti.

A questo segue una serie ulteriore di rivendicazioni, come il titolo di apostolico, riservato solo alle realtà papali, contrariamente al significato precedente, che era plurale, nel senso che si riferiva a tutte le realtà che avevano attinenza ai vari apostoli. La Chiesa da popolo di Dio diventa corpus Christi mysticum, mentre prima designava l’eucaristia. E poi il passaggio decisivo: popolo di Dio ora sono solo i laici, che si distinguono dal clero, che ha un posto eminente nella Chiesa. Principio conduttore di tutto l’agire ecclesiale sarà il diritto canonico, con l’equiparazione di fatto, della Chiesa con la gerarchia.

Marino Qualizza

 

Letto 2640 volte Ultima modifica il Lunedì, 24 Novembre 2014 22:42
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search