S. Giovanni testimonia che il Cristo risorto è apparso in mezzo ai suoi discepoli ancora impauriti e, dopo un saluto di pace, ha affidato loro questo solenne mandato: "Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi". Poi alitò sopra di loro e disse: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv. 20,21-23).
In questa affermazione di Gesù il "rimettere" o "non rimettere" da parte dei discepoli è presentato come determinante ("… essi saranno rimessi… essi resteranno non rimessi"). Con molta probabilità la seconda parte di questa frase è costruita in forma passiva, secondo l’usanza ebraica di attribuire qualcosa a Dio senza pronunciarne o scriverne il nome. L’assegnazione del compito di rimettere o ritenere i peccati riceve una particolare solennità dal parallelo che Gesù ha stabilito tra la sua missione che gli ha affidato il Padre e la missione che egli affida ai suoi discepoli. Una comprensione maggiore delle origini della penitenza ecclesiastica si può ricavare dall’analisi anzitutto del ministero di Gesù nei riguardi dei peccatori, poi dal conferimento del potere di "sciogliere e di legare" dato ai suoi discepoli e, infine, dal modo con cui le prime comunità hanno trattato il fenomeno del peccato man mano che affiorava nella vita dei suoi membri.
Uno degli aspetti più sorprendenti del ministero di Gesù è che egli, il messaggero del nuovo regno di Dio, si sedeva sovente a tavola con i peccatori e i pubblicani. Quando fu provocato dai rappresentanti ufficiali dell’ebraismo, egli ha riassunto così la sua missione: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; non sono venuto per chiamare i giusti, ma i peccatori" (Mc. 2,17). Quando incontrava una disposizione di fede, a volte egli rivolgeva queste parole provocanti: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Mc. 2,5; Lc. 7,48). Gesù ci ha lasciato una relazione commovente della prontezza del perdono di Dio nella storia del figlio che ha peccato contro suo padre, ma che, una volta pentito, non solo ha ricevuto il perdono, ma è diventato il re della festa (Lc. 15). E nell’ultima cena con i suoi discepoli, Gesù precisò che egli affrontava la morte proprio per i peccatori: "Questo è il mio sangue…versato per molti, in remissione dei peccati". Così il mandato di Pasqua registrato da Giovanni conferisce agli apostoli il potere e la responsabilità di continuare un aspetto fondamentale dell’opera di Gesù, e di comunicare ai peccatori i benefici diffusi nel mondo, grazie alla sua morte per gli altri.
2. Il perdono dei peccati, dopo il battesimo, nel Nuovo Testamento
È chiaro che il battesimo è il mezzo principale con cui viene superato il potere del peccato nella vita del credente. Ma il Nuovo Testamento contiene anche varie testimonianze che attestano che la Chiesa ha risposto al peccato, commesso dai suoi membri dopo la loro incorporazione in Cristo, con l’imposizione di una disciplina che aveva come fine la salvezza. Questa risposta al peccato, come l’assegnazione del compito di perdonare o di ritenere si presenta anche sotto forma di alternativa tra il "legare" e lo "sciogliere".
Il Vangelo di Matteo nota che Gesù ha assicurato Pietro e il gruppo più numeroso dei discepoli che tutto ciò che essi avrebbero legato sulla terra sarebbe rimasto legato anche nei cieli, e tutto ciò che essi avrebbero sciolto sulla terra sarebbe stato sciolto anche nei cieli (Mt. 16,19; 18,18). In queste espressioni Gesù ha usato il linguaggio della tradizione rabbinica, e con questo ha affidato alla sua Chiesa la facoltà di occuparsi del peccato nella vita dei suoi membri. Ai tempi di Gesù il potere di legare e di sciogliere era nelle mani dei capi della sinagoga. Con questo potere essi applicavano ai membri peccatori una disciplina di esclusione ("legare") e di riammissione ("sciogliere") nella comunità della sinagoga. Gesù adottò questa prassi per la nuova comunità, la Chiesa, e promise che l’imposizione di un allontanamento o la concessione di una riammissione nella comunità avrebbe avuto significato e validità anche davanti a Dio.
Altri testi del Nuovo Testamento ci permettono di intravedere una pratica di questo genere già in atto nella vita dei primi cristiani. S. Paolo scrisse in una delle sue prime lettere che la comunità doveva "prendere nota" dei membri che non vivevano secondo le norme insegnate dagli apostoli, e nei casi più scandalosi essi dovevano stare alla larga da una persona del genere (2Ts. 3,6.14). Tuttavia si tratta di una disciplina imposta per amore, in quanto mira al rinnovamento ed alla conversione: "Interrompete i rapporti con lui, perché si vergogni. Non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello" (3,14). Una lettera posteriore ripete le regole stabilite nel Vangelo: "Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso" (Tt. 3,10; cfr. Mt. 18,15-18).
Queste direttive si fanno più evidenti e autorevoli nella reazione di Paolo per la denuncia di un caso di flagrante immoralità verificatosi fra i cristiani di Corinto (1Cor. 3,1-5). Questo dovrebbe essere motivo di tristezza per tutta la comunità e portare all’esclusione del colpevole. La direttiva di Paolo assume la forma di un giudizio pronunciato sull’uomo nel nome del Signore Gesù. Perciò la comunità deve cacciare quell’uomo dalla Chiesa dove regna satana, nella speranza che alla fine possa essere salvato da Cristo quando egli verrà per il giudizio. Paolo era convinto, è chiaro, che la sua autorità apostolica includeva il potere di "legare" in nome del Signore coloro che erano caduti in peccati gravi, dopo che erano entrati nella Chiesa con il battesimo.
Tuttavia la severità della disciplina della Chiesa primitiva dovrebbe essere vista alla luce delle parole premurose con cui s. Paolo più tardi scriverà ai cristiani di Corinto, per manifestare l’amore di Cristo per i peccatori (2Cor. 2,5-11). Una volta che una persona è stata punita, essi dovrebbero usarle benevolenza e portarle conforto. Paolo prende parte a questo perdono e a questo amore: "A chi voi perdonate, perdono anch’io. Quello che io ho perdonato…l’ho fatto per voi, davanti a Cristo" (2,10). Questo è il fine ultimo che la Chiesa si propone quando applica a una persona la pena della scomunica: che la comunità dei credenti possa riaccettare con amore la persona ed applicare ad essa il suo "potere di sciogliere" che porta il perdono di Cristo.
Così il Nuovo Testamento non riferisce solo la grande effusione della grazia che perdona e che rinnova su coloro che sono chiamati alla fede e al battesimo. Essa presenta anche dei cenni sul modo di concedere il perdono ai battezzati che sono caduti in peccato, un modo che coinvolge tanto la loro relazione verso i loro compagni credenti quanto la sentenza di condanna e di perdono da parte di chi esercita l’autorità apostolica. Costruita su queste basi, la prassi della penitenza ecclesiale è stata comunque realizzata in una notevole varietà di forme nella storia della Chiesa.
3. Chiesa primitiva e forme di penitenza sacramentale
I pastori della Chiesa del II sec. hanno avuto varie occasioni di sollecitare nei loro fedeli una conversione più radicale o un cambiamento del loro cuore. Essi hanno fatto brevi accenni alla "confessione" dei peccati, ma noi non troviamo una relazione chiara delle forme liturgiche che questa assunse o del ruolo dei pastori e dei sacerdoti in questa confessione.
Nel III sec. sorsero dei movimenti rigoristi che misero in questione l’autorità della Chiesa di concedere la penitenza a coloro che si erano macchiati dei peccati capitali come l’assassinio, l’adulterio, l’apostasia. La grande maggioranza dei vescovi rispose che non c’era motivo di limitare il genere delle persone che potevano riconciliarsi dopo aver completato la penitenza assegnata. Ciononostante si era diffuso uno spirito di rigore, e la penitenza ecclesiastica era molto dura e lunga, e una persona la poteva ricevere solamente una volta nel corso della vita.
I criteri principali seguiti dalla primitiva penitenza cristiana erano i seguenti:
- parziale esclusione di un individuo dalla comunità dei fedeli a causa del suo peccato;
- l’imposizione di un genere di vita penitenziale da parte del Vescovo;
- il sostegno dato ai penitenti con la preghiera e l’intercessione della Chiesa;
- la definitiva riammissione alla piena comunione mediante l’imposizione delle mani del Vescovo.
I primi cristiani erano convinti che i peccati gravi commessi dopo il battesimo non potessero essere perdonati con un atto di pura grazia o di amnistia. Il male si era radicato nel profondo dell’uomo e la conversione doveva passare attraverso un’esperienza dolorosa per un certo periodo di tempo. La purificazione veniva ottenuta digiunando, vestendosi con indumenti grossolani, chiedendo umilmente la carità, astenendosi dalle relazioni sessuali. Questo processo di purificazione, comunque, non se lo imponeva il peccatore, né lo portava a termine in forma ostentata e isolata. La penitenza veniva assegnata dalla Chiesa e perciò aveva un valore quasi sacramentale. I compagni di fede erano solidali con il penitente. Il loro sostegno creava un’ondata di solidarietà man mano che uno si avvicinava al momento della reincorporazione nella comunità eucaristica. I pastori presiedevano il loro popolo nella preghiera per i penitenti. I cristiani carismatici erano vicini ai penitenti per consigliarli e pregare con loro. Secondo l’espressione di s. Girolamo, il Vescovo riammette un peccatore all’altare solamente dopo che tutti i membri della Chiesa hanno pianto insieme con lui.
Ma dal momento che questo processo di purificazione, di conversione e di riconciliazione era rigorosamente limitato ad una sola volta nel corso della vita di un individuo, moltissime persone tramandavano la penitenza alla fine della vita. Questo ha contribuito ad aumentare il numero degli esclusi dalla celebrazione eucaristica e il numero delle confessioni fatte in punto di morte con l’immediata riconciliazione. Un po’ alla volta l’antica forma di riconciliazione mediante la penitenza divenne motivo di rilassatezza da un punto di vista pastorale.
Un’innovazione originale si introdusse nei monasteri irlandesi e anglosassoni verso il VI sec. I monaci da lungo tempo tenevano in grande stima le visite ai "medici spirituali", cioè a monaci loro compagni particolarmente dotati di carismi, per avere consigli salutari e preghiere. Col diffondersi di questa pratica, gli abati incominciarono a concedere più volte la penitenza e la riconciliazione ai loro monaci e alla gente del loro distretto. La riconciliazione avveniva ancora dopo aver fatto la penitenza, ma l’uso sempre più diffuso di questa procedura diede origine a precisi cataloghi che fissavano la lunghezza e il genere delle penitenze da applicare ai vari peccati. Subito vennero compilati dei manuali per confessori e furono diffusi in Europa durante le campagne missionarie dei monaci nel VII e VIII secolo. Questa disciplina penitenziale ha avuto un ruolo non secondario nella creazione della civiltà cristiana tra i barbari che avevano invaso l’Europa dopo il crollo dell’impero romano.
4. La penitenza sacramentale nella Chiesa medievale
Uno sviluppo significativo si verificò intorno all’anno 1000 d. C., quando le circostanze portarono ad una graduale introduzione della riconciliazione immediatamente dopo la confessione dei peccati. Improvvisamente l’attenzione fu concentrata sull’atto della confessione del penitente e sull’assoluzione del sacerdote. In precedenza questi atti erano fasi intermedie di un lungo processo, ma essi erano sempre grandemente subordinati dalla penitenza eseguita con il sostegno della Chiesa. Ora l’atto specifico sacramentale era considerata l’assoluzione pronunciata dal sacerdote.
L’esposizione dei propri peccati al confessore assume presto un carattere penitenziale a causa della vergogna e della umiliazione che essa comportava. Il dichiarare apertamente la propria colpa fu considerato un segno eloquente di conversione e di rinnovata buona volontà verso Dio. La riflessione si concentrò subito sulla relazione tra l’assoluzione del sacerdote e il cambiamento del cuore operato dalla confessione. Se la conversione era già avvenuta perché c’era ancora bisogno della confessione e dell’assoluzione? Se uno si era convertito dal peccato solo in parte, diciamo più per timore del castigo che per amore di Dio, questo era sufficiente per ricevere l’assoluzione?
I teologi del XII e XIII sec. elaborarono una dottrina esauriente sulla penitenza sacramentale. La confessione stava diventando sempre più frequente nella Chiesa e nel 1215 il IV Concilio Laterano rese obbligatoria la confessione una volta all’anno per tutti i cristiani macchiati di peccato grave. Entro la metà del XIII sec., specialmente per opera di s. Tommaso d’Aquino, gran parte delle questioni principali riguardanti il sacramento del perdono individuale concesso più volte, trovarono una risposta.
Il penitente doveva disporsi al pentimento e al dolore, mettendosi già sotto l’influenza della giurisdizione ecclesiastica. L’atto sacramentale è completato dall’azione congiunta, frutto della confessione fatta con pentimento e con la relativa disposizione a far penitenza, e dell’assoluzione del sacerdote. L’assoluzione conferisce la grazia del pentimento interiore provocato dall’amore per Dio, e questo porta a compimento la preparazione del penitente. L’assoluzione, perciò, interviene sulla colpa del peccatore, ma non in modo che il perdono sia una dichiarazione ricevuta passivamente. Il penitente deve disporsi ad una completa conversione sotto la grazia del sacramento e corrispondere a questa grazia, che può risultare efficace solamente un po’ di tempo dopo la confessione, per esempio, quando uno sta facendo la penitenza assegnata o quando riceve la prossima comunione.
Questo è, quindi, il sacramento che i riformatori protestanti hanno attaccato, perché ha imposto ai fedeli una confessione dettagliata e impossibile, e soprattutto non fondata sulla Bibbia. Inoltre i riformatori hanno visto nella soddisfazione che segue la penitenza dopo l’assoluzione un tentativo provocatorio da parte del peccatore per rabbonire Dio, e per guadagnarsi una riduzione della pena che Dio assegna ai credenti come pura grazia.
Nel periodo della Riforma, il Concilio di Trento riaffermò la natura sacramentale della penitenza della Chiesa e sottolineò l’obbligo di fare un’esplicita confessione dei peccati gravi che uno avvertiva dopo un normale esame di coscienza. La confessione rappresenta un momento nel passaggio del credente da una fase di alienazione da Dio a quella di ritorno nella sfera del suo amore e della sua amicizia.
5. L’evoluzione del sacramento della penitenza
Il fatto più sorprendente del sacramento della penitenza è il drammatico decadimento della pratica della confessione da parte dei cattolici. Le cause che hanno portato a questo sono:
il venir meno del senso della colpa personale;
il rito della confessione diventato oramai impersonale e logoro;
l’incapacità di molti confessori di dimostrare premura e comprensione personale e di dare un aiuto alla gente;
la constatazione che i grandi mali del nostro tempo sono così profondamente radicati nelle strutture e nelle istituzioni che il peccato personale diventa insignificante in confronto, ecc.
Tuttavia dobbiamo anche segnalare gli sforzi notevoli fatti per rinnovare il significato di questo sacramento.
Anzitutto ci sono stati tentativi per sviluppare liturgie penitenziali non ufficiali che hanno inserito il sacramento del perdono in un contesto di preghiera e di culto comunitario. Questo è un chiaro segno delle istanze urgenti dei credenti che stanno prendendo sempre più coscienza della loro identità di esseri incorporati nel popolo sacerdotale di Dio. La Chiesa ha l’obbligo inderogabile di presentarsi al mondo come una comunità che esprime nella propria vita la misericordia del Signore.
Tuttavia questo movimento verso un’efficace celebrazione comunitaria della penitenza è stato frenato dagli interrogativi sorti circa l’obbligo di confessare i peccati in forma specifica (Questo si può fare dopo? È assolutamente richiesto dalla legge di Dio?), e della concessione ancora controversa dell’assoluzione in forma generale e comunitaria. Quest’ultima sembra fare del sacramento una grazia offerta alla comunità più che, come è veramente,la reincorporazione del peccatore pentito in questa comunità di culto.
Un secondo sforzo di rinnovamento della penitenza della Chiesa è quello di mettere la preghiera carismatica per ottenere la guarigione in stretta relazione con l’assoluzione del peccato. Questo richiede una confessione più personalizzata e più accurata dei peccati, uno sforzo sensibile per ottenere un discernimento spirituale sia da parte del penitente che del confessore, e la disposizione di accostarsi a Dio con una confidenza audace nell’implorare da lui che effonde la sua grazia sanante sopra il penitente che ricerca una nuova pienezza nel suo servizio. Questo sforzo di rinnovamento ha naturalmente il vantaggio grave di fare della penitenza della Chiesa una chiara continuazione del ministero della guarigione e del perdono operato da Gesù. Tuttavia si richiede uno sforzo speciale per accentuare l’impatto della guarigione fondandola precisamente sulla relazione con gli altri, in modo da impedire così che la penitenza diventi di nuovo un sacramento di consolazione individuale e intimistica.
6. La riforma attuale del sacramento della penitenza
Opere recenti di carattere storico e teologico hanno preparato la via alla riforma del rito della penitenza che arricchirà considerevolmente l’esperienza della conversione e della riconciliazione attraverso la penitenza nella vita dei cattolici.
La storia ha rivelato la varietà di forme usate lungo i secoli in questo sacramento. Noi sappiamo che l’aspetto pubblico e comunitario dell’antica penitenza cristiana non mirava tanto a gettare vergogna sul peccatore pentito, quanto a mettere in evidenza la preghiera di intercessione e le altre forme di aiuto con cui la comunità sosteneva la conversione dal peccato di un suo membro. La penitenza si svolgeva in un contesto di relazioni umane di comprensione e di aiuto.
La teologia ha riflettuto sul posto che occupa la riconciliazione nell’opera di Cristo. Coloro che celebrano insieme l’eucaristia devono essere persone riconciliate tra loro (Mt. 5,23s.). Il popolo raccolto da Cristo nella Chiesa è il segno e lo strumento della riconciliazione che si realizza per tutti gli uomini. Cristo è venuto ad attuare il piano del Padre per riconciliare l’umanità con sé (2 Cor. 5, 18-20). Perciò il sacramento del perdono del peccato dovrebbe essere sentito soprattutto come un risanamento e un rinnovamento della propria relazione personale con Dio, attraverso la piena reincorporazione nella vita del popolo di Dio.
Il nuovo rito della penitenza promulgato all’inizio del 1974 è ora adattato e diffuso nel mondo nelle varie lingue. L’ambiente per la confessione individuale e la riconciliazione dovrebbe essere una stanza ben ordinata, accessibile, sufficientemente illuminata, per permettere la lettura della Sacra Scrittura. Ci dovrebbe essere spazio sufficiente per permettere al penitente di sedersi o di inginocchiarsi come crede più opportuno, o in forma anonima dietro la grata o in un dialogo più aperto, a faccia a faccia con il sacerdote. Il decoro della confessione richiede un ambiente accogliente e ospitale.
La riconciliazione individuale avviene in sei momenti:
Il penitente è ricevuto dal sacerdote con parole di incoraggiamento, come "La grazia dello Spirito Santo illumini il tuo cuore, perché tu possa confessare con fiducia i tuoi peccati e riconoscere la misericordia di Dio".
Quindi si può leggere un brano della Sacra Scrittura per stimolare il penitente a prendere coscienza del suo peccato e della chiamata misericordiosa di Dio alla conversione e alla riconciliazione.
Poi il penitente confessa i suoi peccati e accoglie i consigli del sacerdote e l’atto penitenziale proposto come soddisfazione.
Il sacerdote invita il penitente ad esprimere, con una formula di preghiera o con le proprie parole, il dispiacere per i peccati e il desiderio di vivere riconciliato con Dio.
La formula di assoluzione è pronunciata dal sacerdote tenendo le mani sul capo del penitente: "Dio, Padre di misericordi, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e risurrezione del suo Figlio, e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace. E io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Il rito si conclude con una preghiera di lode a Dio e un incoraggiamento, con parole come queste: "Il Signore che ti ha liberato dal peccato ti doni l’eredità del suo regno. A lui gloria nei secoli".
Oltre a questo rito per la riconciliazione dei singoli penitenti, si è provveduto alla celebrazione della penitenza nella cornice di un’assemblea liturgica, con canti, preghiere, letture bibliche e omelie, esame personale (specialmente per quanto riguarda le proprie relazioni con gli altri), preghiere comunitarie di contrizione e di pentimento, e rendimento di grazie per il perdono misericordioso di Dio. Se le circostanze lo consentono, la confessione individuale e l’assoluzione possono essere inserite durante la celebrazione religiosa, oppure possono aver luogo immediatamente dopo la conclusione della celebrazione comunitaria.
In un altro tipo di celebrazione comunitaria si può fare la confessione generale, e si può impartire l’assoluzione generale a un gruppo di penitenti, tramandando a più tardi la confessione individuale dei peccati gravi. Stiamo a vedere se questa terza forma di riconciliazione verrà usata solamente in occasioni straordinarie o se diventerà una prassi regolare nel ministero di riconciliazione della Chiesa.
7. Significato fondamentale del sacramento della penitenza
Il sacramento della penitenza è un momento fondamentale nella vita di continua conversione e trasformazione a cui sono chiamati in forma categorica i membri della Chiesa. Il credente è sempre in tensione tra il vecchio e il nuovo, tra l’egoismo ed un servizio generoso, tra il peccato ed una maggiore intimità con la Trinità. Questo processo di conversione o di "penitenza che ci accompagna tutta la vita" deve essere sempre attuale, in modo che questo sacramento venga inserito tra le preoccupazioni principali del cristiano impegnato.
Nel processo di conversione, ricevere questo sacramento significa sottolineare nella forma più chiara ed efficace le varie necessità delle persone chiamate alla crescita e al rinnovamento. Se uno è caduto in peccato creando una notevole distanza da Dio, la necessità di un reinserimento nella sfera della misericordia e dell’amore di Dio, diventerà urgente. La penitenza sarà il modo più energico per rinnovare la propria consacrazione battesimale. Ma se una persona non ha peccato in forma grave, si porrà l’attenzione sull’espressione della propria ansia di risanamento, per una integrazione più completa di tutte le proprie attitudini, desideri e tendenze nell’orientamento generale del proprio cuore verso Dio. Il rinnovamento dei propri legami con il popolo sacerdotale mediante la penitenza è un importante mezzo di crescita e di integrazione personale.
Nel dare la penitenza e l’assoluzione ai suoi membri, la Chiesa applica efficacemente il Vangelo di Cristo. Per coloro che si sono staccati da Dio in forma grave, la Chiesa manifesta la disposizione misericordiosa di Cristo di ammettere ancora una volta il peccatore al banchetto dell’amicizia. Qui la Chiesa si impegna a sostenere l’ardua fatica della conversione e dichiara nella forma più solenne che Dio accetta il peccatore pentito. Per coloro che vivono in comunione con l’amore di Dio, ma preoccupati di superare gradualmente il fascino che il peccato esercita ancora su di loro, il sacramento della penitenza esprime l’impegno e il sostegno che la Chiesa offre per l’opera di risanamento dello Spirito di Dio.
La penitenza, quindi, è un sacramento tanto di riconciliazione quanto di risanamento. La sua riconciliazione ricompone le relazioni interrotte col popolo di Dio e con Dio stesso. La grazia sanate che essa conferisce trasforma i cuori per vivere una vita ristabilita nell’armonia. In entrambi i casi la vita del popolo sacerdotale di Dio diventa espressione visibile della misericordia e dell’amore di Dio. Per i peccatori e per quelli tormentati dall’impatto che il peccato esercita sopra di essi. In entrambi gli aspetti il popolo di Dio si manifesta al mondo come mediatore dello Spirito di Dio, che è spirito di pace e di carità.
8. Penitenza sacramentale: unico mezzo per ottenere il perdono dei peccati commessi dopo il battesimo?
La penitenza è uno dei mezzi principali con cui Dio ci comunica il suo perdono, ma non è l’unico mezzo. Non dobbiamo dimenticare che il punto essenziale nel perdono dei peccati è il cambiamento o la conversione del cuore che passa dalla considerazione di sé, dalla propria autoaffermazione all’affermazione di Dio e degli altri superando tutte le varie forme di egoismo. Il perdono si identifica con la sottomissione a Dio e con l’inizio e l’approfondimento del nostro amore per lui. La grazia di Dio è un dono che trasforma, e diventa veramente nostro quando noi spontaneamente ci arrendiamo a Dio.
Quindi, tutto ciò che impegna una persona in questa conversione d’amore è un modo per ottenere il perdono dei peccati. Una celebrazione sentita dell’eucaristia ci impegna verso il Signore, il cui sangue è stato sparso per la remissione dei peccati. Nella comunione noi ci arrendiamo all’influenza dell’Agnello di Dio, la cui morte ha eliminato il peccato dal mondo. Una preghiera rivolta a Dio col cuore, che esprime dolore per il proprio peccato e amore e sottomissione a lui, è un passo importante verso la crescita e il perdono. Noi dovremmo esperimentare qualche cosa del genere attraverso il rito penitenziale all’inizio della celebrazione eucaristica.. Ci sono anche le opere di penitenza con le quali noi andiamo contro le nostre tendenze, di autoaffermazione o di troppa indulgenza verso noi stessi, che ci trascinano al peccato.
Quando una persona ha deviato sensibilmente dalla propria traiettoria personale allontanandosi da Dio (peccato mortale), allora la conversione che ci fa ritornare a Dio non si realizza con facilità. È necessario un radicale cambiamento di rotta per riportare il proprio cuore sotto il dolce potere della presenza e della grazia di Dio. Qui il sacramento della penitenza ha un ruolo essenziale mettendoci in dialogo con un’altra persona, impegnando la Chiesa a nostro sostegno e identificando la nostra sottomissione a Dio con la nostra sottomissione davanti al suo rappresentante che ci concede il perdono. Tuttavia anche se uno è passato dal peccato grave ad una contrizione perfetta e raggiunta nell’amore al di fuori del sacramento, rimane l’obbligo di sottoporre al confessore i propri peccati gravi. Questo ci salva dall’illusione, e ci porta a considerare il fatto che il perdono ottenuto non è venuto da noi ma da Dio che ha toccato il nostro cuore. Dobbiamo uscire dal nostro anonimato per cercare la riconciliazione con il popolo sacerdotale di Dio di cui abbiamo ostacolato la missione con il nostro peccato.
a cura di Cesare Filippini