Formazione Religiosa

Martedì, 21 Maggio 2013 22:52

Beatitudini: oppio o adrenalina? (Alberto Maggi)

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Lungi dall'essere un narcotico per sedare popoli affamati e oppressi, le beatitudini del Vangelo di Matteo - a cominciare da "beati i poveri" - spingono a prendersi cura del bene comune. E perciò invitano a scegliere la condizione di povertà. Scelta che genera felicità e trasforma la società.

«La religione è l'oppio dei popoli». Con questa perentoria affermazione, Karl Marx denunciava, e non senza ragione, il pericolo delle religioni. Se una religione è usata dai ricchi e dai potenti per mantenere il dominio su una massa di poveri e oppressi, essa è veramente un narcotico che neutralizza le energie vitali del popolo. Secondo Marx, sul banco degli accusati, in prima fila c'era proprio il cristianesimo, in particolare il messaggio delle beatitudini di Gesù (Mt 5,1-10).

Una religione che proclama beati i poveri, perché proprio a motivo della loro indigenza hanno il paradiso assicurato, è indubbiamente una religione alienante. Come si può dire agli afflitti e agli affamati che sono beati? E per quale motivo lo sarebbero? Perché,dopo il calvario della loro esistenza, come "premio" verrebbero portati ai primi posti in paradiso. Un paradiso, però, che non è precluso al ricco, che se lo può assicurare, lasciando generose offerte per la celebrazione di messe perpetue dopo la sua morte. I poveri si sentirebbero beffati sia in questa vita che in quella futura.

La predicazione di un tale messaggio non può che essere fallimentare. Di fatto, i poveri, gli afflitti e gli affamati, alla prima occasione che la vita offre loro di uscire dall'indigenza e dalla sofferenza, non ci pensano due volte: lasciano povertà e beatitudine senza alcun rimpianto. D'altro canto, quanti non si trovano in situazioni di miseria e di oppressione si guardano bene dall'entrarci, decretando così il fallimento del messaggio di Gesù.

In verità, le beatitudini evangeliche sono le grandi sconosciute della dottrina cristiana. Non le si conosce, o le si conosce male. Tutti ricordano la prima beatitudine, forse perché la più antipatica: «Beati i poveri». Ma davvero Gesù ha proclamato beati i poveri?

Di certo Gesù non ha inteso "narcotizzare" coloro che la società affama e opprime. Non è venuto a santificare la povertà, bensì a eliminarla. Il suo messaggio non mira ad addolcire con la visione beatifica la tragedia della vita quotidiana dei poveri, ma a strappare i miseri dalla condizione d'indigenza e di dolore.

Le beatitudini si trovano in Matteo (5,1-10) e in Luca (6,20-23). Le due versioni sono diverse, ma il messaggio è identico. In Matteo l'invito è rivolto a quanti vogliono farsi poveri («Beati i poveri in spirito»). In Luca Gesù si rivolge ai discepoli che hanno già fatto questa scelta («Beati voi, poveri») e hanno lasciato tutto per seguirlo (Lc 5,11).

Gesù aveva la missione di portare a compimento la volontà del Padre, la cui presenza in seno al popolo sarebbe stata garantita dal fatto che in esso nessuno sarebbe stato bisognoso: «Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi» (Dt 15,4). È quanto comprese la primitiva comunità cristiana: «Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù» (Atti 4,33).

Come avrebbe potuto questa comunità testimoniare la presenza del Risorto al suo interno? Non con proclami dottrinali o sontuose liturgie, ma con la vita. La prova del Cristo risorto era a portata di mano e tutti la potevano vedere: «Nessuno tra loro era bisognoso» (Atti 4,34). La certezza che il Cristo è presente in una comunità è che in essa non esistono disuguaglianze (ricchi e poveri, chi comanda e chi serve), ma tutti sono e si comportano da fratelli, responsabili gli uni della felicità e del benessere dell'altro.

Per questo, nel proclamare le beatitudini, Gesù si riallaccia all'ultimo dei comandamenti di Mosè («Non desidererai. .. alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo», Es 20,17; Dt 5,21) e dà ad esso continuità, trasformandolo in un invito positivo: desidera che il tuo prossimo abbia le tue stesse cose.

Questo è il significato della prima beatitudine: un invito a prendersi cura del bene e del benessere dell'umanità: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3 - Matteo preferisce "regno dei cieli" a "regno di Dio" per non nominare il nome di Dio). La decisione volontaria di entrare nella condizione di povertà è presentata dall'evangelista come la beatitudine principale, come condizione per tutte le altre. Le beatitudini che seguono non sono che la presentazione delle situazioni e delle conseguenze positive che la scelta per la povertà comporta nella comunità e nella società.

Gesù proclama beati - cioè pienamente felici - non quelli che la società ha reso poveri, ma quanti volontariamente entrano in questa condizione per alleviare e eliminare le cause della povertà. L’invito di Gesù è rivolto ai poveri «in spirito», a quelli che liberamente e volontariamente, per amore, per lo spirito che li anima, entrano nella condizione di povertà. Quella di Gesù non è una richiesta di spogliarsi di quel che si ha, ma di rivestire chi non ha nulla, scoprendo così che la felicità non consiste nell'avere, ma nel dare: «Si è più beati nel dare che nel ricevere!» (Atti 20,35).

Le beatitudini, quindi, sono un invito a trasformare radicalmente la società, permettendo così l'avvento del Regno di Dio. Per questo sono precedute dalla chiamata alla conversione: «Convertitevi, perché il Regno dei cieli è vicino» (Mt 4, 17). In una società dominata dai tre verbi maledetti (avere, salire, comandare), che causano tra le persone rivalità, odio e ingiustizia,

Gesù propone come alternativa il Regno, ambito in cui, anziché la cupidigia dell'avere sempre di più, c'è il condividere; invece del salire al di sopra degli altri, c'è lo scendere al fianco degli ultimi; al posto della brama di comandare c'è la gioia del servire.

A coloro che fanno la scelta libera della povertà è assicurato il "Regno dei cieli" (da non confondere con "un regno nei cieli"). Questo regno non proietta la promessa di Gesù in un futuro lontano (nell'aldilà), ma nella possibilità - già presente - di avere Dio come signore, ovvero un Padre che si prende cura dei suoi. Un regno che diventa realtà nel momento in cui gli uomini entrano nella condizione di poveri. A chi si fa responsabile del benessere del proprio fratello Gesù garantisce che il Padre stesso si farà carico della sua felicità: «Cercate, anzitutto, il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 6,33; cfr 25,34-40).

Con questa beatitudine Gesù non solo non idealizza la povertà, ma chiede ai discepoli una scelta coraggiosa che consenta di eliminare le cause che la provocano. Ben lungi dall'essere oppio dei popoli, le beatitudini sono adrenalina pura, che stimola nell'umanità energie vitali in grado di mettere in atto una modalità di vita secondo la logica di Dio, tale da permettere agli oppressi, ai diseredati, agli affamati di vedere finalmente la fine della loro condizione d'infelicità.

Alberto Maggi

(da Nigrizia, novembre 2010)

 

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Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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