Sin da bambina Amy sapeva bene che era a rischio, per il solo fatto di essere donna. Nella sua famiglia, tutte le donne lo erano. Morte prima dei quarantacinque anni, le loro foto, in bianco e nero, ingiallite, tappezzavano la scala che portava al piano superiore della casa di famiglia. Tutte morte di cancro all'utero, genetico - anche se a quel tempo non esistevano test che indicassero la familiarità genetica. Eppure, nell'era pre-test genetici, la diagnosi e la prognosi erano certe, anche senza test. La parete colma di foto e la loro giovane età erano sufficienti.
Una storia come tantissime
Lo spettro della morte per cancro era così incombente che Amy aveva pianificato la sua vita accuratamente: lavoro, matrimonio, due figli e, appena partorito il secondo figlio, asportazione dell'utero. Tutto ciò prima di raggiungere i 36 anni. Era quella l'età che i medici le avevano fissato, in base a calcoli statistici, per ridurre significativamente il rischio di cancro all'utero e di morte precoce.
Nel libro in cui racconta la sua vicenda, Amy descrive i momenti cruciali della sua vita: la storia d'amore con chi poi sposerà, la nascita delle due figlie e la successiva asportazione dell'utero, intrecciati con la malattia e la morte di sua madre.. Pur avendo rimosso l'utero canceroso anni prima, la mamma di Amy muore di cancro al seno. Anch'esso, si scopre, è correlato al tumore all'utero. Non si tratta di metastasi, ma dello stesso tipo di tumore che aveva attaccato il suo utero anni prima.
In quel periodo si scoprono due geni che indicano la predisposizione genetica ad ammalare di cancro all'utero e al seno: BRCA 1 e 2, dall' acronimo inglese “cancro al seno” (BReast CAncer). La mamma di Amy era risultata positiva.
L'esperienza della morte della mamma è così traumatica che Amy decide di asportare anche i due seni, senza fare il test. A tutt'oggi, Amy non ha effettuato il BRCA test e non intende farlo. Sua sorella, al contrario, ha scelto di fare il test e ora conosce quale dei due geni è presente nelle cellule del suo corpo e quale percentuale di rischio di ammalarsi di cancro al seno e all'utero ciò comporta.
Amy ha scelto di prevenire, menomando per ben due volte il suo corpo e la sua femminilità, per poter continuare a vivere a fianco di suo marito, vedere crescere le sue due figlie, insegnare, fare ricerca... Lo spettro del cancro ha dominato tutta la sua vita, ma non vuole che ciò accada alle sue figlie. Vuole che vivano serene, affrontando la vita come a lei non è stato possibile.
Test sempre più precisi
La storia di Amy non è unica. Diventerà ancora più comune nel prossimo futuro. Sempre più saremo capaci di individuare test genetici che c'informino sulla presenza di geni associati a malattie genetiche o sulla predisposizione genetica a sviluppare malattie con una componente genetica. Sempre più spesso, come Amy, dovremo decidere se vogliamo essere informati su cosa è presente nei nostri geni, in attesa di comprendere come tale informazione si manifesti e cosa essa comporti. L'informazione che otterremo riguarderà noi, ma non solo.
La storia di Clare e di suo figlio mostra come le nostre decisioni hanno conseguenze per altri componenti della nostra famiglia. J. P., il figlio di Clare, fu diagnosticato all'età di sette anni, nel 1993: sindrome dell'X fragile. Sette anni furono necessari. Colmi di visite, esami, controlli e false diagnosi per cercare di spiegare il ritardo di sviluppo di suo figlio. Infine, la diagnosi fu possibile grazie al test genetico appena introdotto. Clare scoprì che era stata lei a trasmettere questa alterazione genetica a suo figlio. Nella sua famiglia altri ne sono affetti.
I libri di medicina e di genetica indicano che la sindrome dell'X fragile è la più comune forma di malattia ereditaria che causa ritardo mentale nei maschi. Un gene (FMR1) è responsabile della produzione di una proteina nel cervello. Un semplice cambiamento in questo gene, una ripetizione, nell'area "fragile" del cromosoma X, causa un'insufficiente produzione della proteina e, di conseguenza, un alterato sviluppo cerebrale. L'errore genetico è presente in femmine e maschi, ma il quadro clinico si manifesta solo nei maschi poiché hanno un solo cromosoma X. A volte il difetto si manifesta ex novo e non vi è traccia di tale alterazione genetica nei genitori o nella madre.
Ma i libri di medicina non ci aiutano a comprendere il vissuto che accompagna gli anni di travaglio per giungere a una diagnosi e cosa significa avere un figlio con una disabilità, mentale o fisica. Nel suo libro, Clare ci fa vivere tutto ciò. Con discrezione Clare accenna alle difficoltà del marito, incapace di accogliere e amare J. P. e, a causa di ciò, la sua scelta di separazione e divorzio. Con affetto materno, Clare descrive la fatica e i momenti di smarrimento insieme alle gioie che J. P., ora ventenne, porta nella sua vita, le persone che egli aiuta e che lo amano nella biblioteca pubblica in cui lavora a tempo parziale, le domande, le passioni, i desideri che riempiono la vita di J. P. e la sua.
Infine, Clare ci mostra quanto importante è stato l'aiuto che ha ricevuto da tante persone. Senza il loro affetto, cura e premura tutto sarebbe stato molto più difficile.
Per dare aiuto
Due test genetici, due storie. Dietro ogni test genetico possiamo immaginare le tante storie di persone e famiglie, ciascuna con momenti di sollievo, smarrimento, disperazione, gioia, consolazione. Nel gennaio 2011, la prestigiosa rivista scientifica Nature ha pubblicato un articolo invitando i lettori - medici, amministratori e cittadini - a prepararsi: sono in arrivo test genetici prenatali non invasivi. Per eseguire test genetici sulle cellule del nascituro non sarà più necessario ricorrere alle attuali due tecniche diagnostiche invasive, che mettono a rischio la gravidanza -l'esame dei villi coriali della placenta e l'analisi del liquido amniotico (amniocentesi). Basterà fare un esame del sangue nelle fasi iniziali della gravidanza. La semplicità del test lo renderà routine.
La storia di Clare ci invita a rafforzare la qualità dell'aiuto che siamo in grado di offrire a coppie e a donne nell'affrontare l'abbondante informazione genetica che sarà disponibile durante la gravidanza. Il sostegno di persone care e della comunità cristiana aiuterà queste coppie a non spaventarsi di fronte alla possibilità di dare vita a un bambino con una predisposizione ad ammalarsi, nel futuro, di una malattia genetica o affetto da un'anomalia genetica. Concreti programmi di aiuto a famiglie con figli disabili, o che necessitano di sostegno durante gli anni scolari e di un inserimento guidato nella realtà lavorativa, faciliteranno queste coppie nella loro scelta di accogliere la vita. La nostra società e le nostre comunità ecclesiali potranno vantarsi di un impegno concreto e prolungato a favore della vita di tante persone.
Ciò è quanto mai importante. Già oggi, in alcuni Paesi del mondo (Francia e Usa) i test attuali eseguiti nei nascituri per evidenziare la . possibile presenza di trisomia 21 (sindrome di Down) vengono spesso utilizzati per interrompere la gravidanza. Ciò sorprende soprattutto quando pensiamo al progresso in campo medico, educativo, formativo e sociale che, negli ultimi anni, ha promosso lo sviluppo e l'integrazione di donne e uomini affetti da trisomia 21, consentendo loro di contribuire in modo proficuo alla crescita del tessuto sociale ed ecclesiale.
I progressi in campo genetico ci invitano a interrogarci su come accompagnare e aiutare persone a noi vicine, familiari, amici, membri delle nostre comunità, colleghi di lavoro. Le loro storie si aggiungono a quelle di Amy e Clare. Alla riflessione sui test genetici associamo i loro volti. Quanto la tecnologia ci offre può essere occasione o tentazione. Sono messe alla prova le nostre capacità di analisi e discernimento, i valori che viviamo, come decidiamo cosa è meglio per noi e per gli altri, come promuoviamo la dignità umana e come costruiamo una società sempre più accogliente e giusta. Le prossime generazioni giudicheranno come abbiamo affrontato le sfide etiche presenti e future.
Andrea Vicini sj
professore associato di teologia morale presso il Boston College School of Theology and Ministry Boston, Massachusetts, Usa
(da Vita Pastorale, anno 2011, n. 10, p. 85)