Non bisogna smettere di pensare il futuro. Anche se il futuro sarà sempre diverso da ciò che abbiamo potuto immaginare. E dobbiamo pensare sempre al meglio. Non in maniera ingenua o fantastica. Ma realisticamente e positivamente, a tutto ciò che potrà essere il meglio per noi e per le nuove generazioni.
Le narrazioni contemporanee sono dominate dalle immagini della crisi e dalla ricerca di visibilità. Crisi considerata unicamente come questione dell’ambito economico, mentre la visibilità si esprime nella parossistica ricerca dell’apparire. Entrambe le prospettive ci conducono ad un binario morto. La prima, avendo ridotta tutta l’esistenza umana ad una pura questione economica, ove le merci ed i capitali hanno assunto una dominanza unica ed esclusiva, non lascia spazi a relazioni interpersonali che vadano aldilà della semplice strumentalità. La seconda, cercando di compensare il vuoto provocato dalla crisi con il piacere derivante da un autocompiacimento narcisistico, riduce l’esistenza ad un arido ripiegamento su se stessi.
Il futuro pensato non può essere limitato alla semplice idea di progresso - soprattutto tecnologico - ma deve contenere, in primo luogo, l'idea di progresso spirituale. Intendo qui per spirituale tutto ciò che concorre a sviluppare la dimensione umana, personale e comunitaria da un punto di vista sia culturale, sia artistico, sia poetico e religioso. E, al tempo stesso, che concorre a rendere migliori le interrelazioni personali e pacifica la convivenza sociale. E non intendo tutto ciò che può essere considerato come nostalgia di un mitico passato, come contrapposizione alla corporeità e alla materialità o come forma d’oscurantismo.
Purtroppo, anche in un recente passato, in nome della scienza e di una filosofia ormai liberatasi dalla metafisica, si è troppo spesso stigmatizzato come negativo, oscuro, retrogrado, medioevale, tutto ciò che può essere ricondotto alla sfera della spiritualità: la trascendenza, la religiosità, la mistica, ma anche buona parte delle scienze umanistiche, al pari di quelle teologiche – mentre per le arti l'unico riconoscimento concesso è quello che le colloca nel valore economico e nell'avanguardia.
Tuttavia, la spiritualità non può essere lasciata ai margini, magari in mano ai fondamentalismi ed ai tradizionalismi di turno, i quali tendono a manipolarla, riducendola a semplice sfondo per i propri costrutti mitologici e svolgendo un processo analogo – seppure di segno opposto – all’idea scientista del continuo progresso. Mortificando, cioè, nella spiritualità tutto ciò che rappresenta, invece, la sua vera ricchezza, la linfa vitale, un terreno fecondo e liberatorio per la persona umana.
Al pari, dobbiamo conservare la coscienza che una tecnologia senza spiritualità ci riduce, pericolosamente, a poco più di un nulla. Non perché la tecnologia sia ormai disincantata del senso del sublime che un tempo poteva essere sperimentato attraverso la natura, ma perché il fascino che essa esercita sulla persona umana è grandissimo, è tale da portare quest’ultima a considerare se stessa ed il proprio corpo ormai soltanto più come una semplice machina. E le macchine si usano, ben presto si consumano e, ormai prive di valore, sono sostituite da altre macchine. Oppure, per usare un’altra metafora, una tecnologia senza spiritualità ci restituisce soltanto l’immagine di un immenso formicaio, dentro cui siamo irrimediabilmente gettati, insignificanti frammenti facilmente sostituibili da altri, infiniti, insignificanti frammenti.
Da un punto di vista religioso – cristiano – pensare il futuro vuol dire accogliere Dio. Poiché il futuro non rappresenta il frutto di progetti umani né l’incombere del caso, ma ci si svela come novum. Come dono che Dio realizza venendoci incontro nel nostro oggi: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5).
Faustino Ferrari