Formazione Religiosa

Martedì, 27 Marzo 2012 19:07

Perché la Chiesa? (Rinaldo Fabris)

Vota questo articolo
(2 Voti)

Una ricerca neotestamentaria sull'identità e sulla specificità della comunità credente.

La risposta all'interrogativo «perché o a che scopo la chiesa»? si può elaborare rimandando all'analisi storica dei fattori che stanno alla sua origine, oppure con un'indagine sociologica circa il ruolo dell'istituzione e organizzazione ecclesiale nella società moderna. L'una e l'altra sono legittimi tentativi di capire e interpretare un'esperienza o fenomeno che ha dimensioni storiche e un impatto sociale innegabili. Per chi vive l'esperienza della chiesa dall'interno è altrettanto legittimo e urgente rendersi conto delle motivazioni che definiscono la fisionomia e lo statuto originario della chiesa. Del resto questa è l'esigenza fondamentale che sta alla base degli scritti del NT, nonostante la diversità di situazioni e di fattori che hanno contribuito alla loro struttura letteraria attuale. I quattro libretti che vanno sotto il nome di vangeli più che una ricostruzione storiografica della vicenda e insegnamento di Gesù, sono una sintesi della predicazione su Gesù, il Cristo, come fondamento e norma autorevole per la vita delle comunità cristiane che si richiamano alla sua persona e al suo progetto. Lo stesso discorso vale per l'unica opera di ricostruzione storica dei primi trent'anni del movimento cristiano, gli Atti degli Apostoli. L'autore, Luca, non intende fare un'opera esclusivamente storica, ma, sulla base di alcuni ricordi e tradizioni storici, vuole aiutare i cristiani del suo tempo, anni 80 d.C. circa, e capire la loro esperienza di comunità cristiana in relazione al passato e ai nuovi problemi suscitati dall’impatto con il loro ambiente. Anche gli scritti che costituiscono l'epistolario paolino non sono dei trattati teologici o dei catechismi, ma dei dialoghi a distanza tra Paolo o un suo discepolo e le prime comunità cristiane. In queste lettere si affronta il problema teorico-pratico dell'identità cristiana in rapporto alle nuove situazioni che sorgono all'interno della comunità e nel dialogo con l'ambiente esterno. Questa tradizione di dialogo epistolare si prolunga quasi fino alla fine del primo secolo, con gli scritti che sono posti sotto l'autorità di personaggi del periodo di fondazione delle chiese: Pietro, Giacomo, Giovanni (Apocalisse e lettere) e Giuda. In altre parole gli scritti del NT rappresentano la prima riflessione sull'esperienza cristiana a dimensione ecclesiale. Si tratta di una riflessione fatta a caldo, come nelle lettere di Paolo, o frutto di un'elaborazione più distaccata come nei vangeli e Atti degli Apostoli. In ogni caso all'origine di questi testi, riconosciuti come autorevoli e normativi dalle generazioni cristiane successive, sta l'esigenza di capire e definire la collocazione delle comunità cristiane nell'ambiente storico, culturale e sociale in cui si trovano a vivere. Il confronto con alcuni di questi scritti del canone cristiano può stimolare e sostenere la riflessione dei cristiani che si interrogano sul significato della chiesa nella società attuale.

1. La chiesa per la missione (Atti)

Tra gli autori del NT che si pongono in termini espliciti il problema della chiesa in rapporto alla missione si distingue Luca, l'autore del terzo vangelo e degli Atti. Questi due scritti sono concepiti come un'opera unitaria in due parti: la prima tratta dell'attività e insegnamento di Gesù, e la seconda dell'origine ed espansione del movimento cristiano dalla Palestina alla capitale dell'impero, Roma. Luca non presenta Gesù come fondatore della chiesa, ma come annunciatore della buona notizia del regno di Dio, 4,43; 8,1. Però Gesù invia i discepoli non solo ad Israele, ma a tutte le genti, delle quali egli è riconosciuto «luce» e salvatore, 2,32; 3,5. Il primo volume di Luca, il vangelo, si chiude con l'incarico dato da Gesù risorto ai discepoli di portare l'annuncio della conversione e del perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. 24,47. Questo programma di evangelizzazione viene ripreso all'inizio degli Atti nell'ultimo discorso di Gesù risorto ai discepoli. Contro i sogni di restaurazione messianica-politica, e la ricerca di avventure apocalittiche il Signore stabilisce lo statuto dei discepoli e il programma di evangelizzazione: «Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra», 1,8. Il cammino storico della chiesa, secondo Luca, è tracciato da questo comando del Signore che giustifica le tappe progressive della sua missione che va da Israele ai popoli, dalla Palestina agli estremi confini della terra. Un altro elemento qualificante della missione storica della chiesa, oltre l'invio o incarico da parte del Signore, è la promessa e il dono dello Spirito santo, la forza dall'alto. Infatti l'inizio ufficiale della chiesa, la sua costituzione come comunità testimoniante, è la Pentecoste. La discesa dello Spirito abilita i discepoli a comunicare in modo nuovo e autorevole ai rappresentanti dei popoli convocati a Gerusalemme le grandi opere di Dio, At 2,11. L'elenco di questi popoli segue idealmente la linea geografica della missione dall'oriente all'occidente, fino a Roma. La forza dello Spirito di Pentecoste rende possibile la comunicazione al di là delle barriere etniche e culturali. Tutti infatti sentono parlare i discepoli, che hanno ricevuto lo Spirito, nella propria lingua nativa. Nell'interpretazione lucana l’azione dello Spirito si traduce in una capacità profetica di annunciare l'evangelo dentro la cultura dei popoli. Pietro, portavoce dei dodici, spiega in questi termini il dono dello Spirito: tutti nel nuovo popolo di Dio sono abilitati all'annuncio evangelico. Si realizza così la promessa di Dio per i tempi messianici di un'effusione piena dello Spirito e della salvezza offerta a tutti: « chi invocherà il nome del Signore, sarà salvato», At 2,21. E' Gesù, il nazareno, crocifisso dagli uomini ma risuscitato da Dio, che viene ora riconosciuto e proclamato Signore e salvatore. Da questa fede, siglata dal gesto battesimale nel nome di Gesù Cristo, sorge la chiesa. Questa genesi della comunità dei credenti in Gesù Signore definisce anche la sua missione storica. Se si vuole riassumere in una categoria unitaria il progetto di chiesa suggerito dalla ricostruzione storica di Luca negli Atti si può dire che la chiesa è la «convocazione dei liberati». Non è casuale che per designare questa esperienza l'autore degli Atti, sulla scia dei primi missionari e predicatori — primo tra questi Paolo — assuma il vocabolo ekklesia, che per i cristiani di lingua greca evoca il tema della libertà. Per quelli abituati alla lettura dell'AT nella versione greco-alessandrina l'ekklesia richiama la santa assemblea o convocazione dei liberati dall'Egitto, la qahal del Signore. Per i cristiani provenienti dalla cultura greca della polis, l'ekklesia ricorda l'assemblea dei cittadini liberi e responsabili della vita pubblica. Ma lo statuto dei liberati nell'ekklesia cristiana non è più definito in base all'appartenenza etnica e sociale, ma sulla base della fede in Gesù Signore. Quelli che credono nel suo nome, accettano di fondare la propria esistenza nella relazione vitale con il Signore risuscitato dai morti. A questi viene dato il perdono dei peccati e la forza dello Spirito, At 2.38. Dunque la fede che segna il passaggio all'ekklesia è liberazione dal passato di morte e peccato, inizio e garanzia di vita nuova che va oltre la frontiera della morte. È significativo che l'effetto immediato sul piano operativo di questa liberazione pasquale sia una rete di rapporti nuovi tra i credenti: una comunione profonda e spirituale che si traduce in una nuova gestione dei beni materiali, AT 2,42.44. I beni non sono più segno di divisione e discriminazione, che nascono dal peccato e dal ricatto della paura di morte, ma sono segno di comunione, AT 4,32. 34-35. Anche ammessa una dose di idealizzazione questo quadro della prima comunità, nata dallo Spirito di Pentecoste, non è senza significato per l'autocomprensione della chiesa e del suo progetto di missione.
La missione della chiesa può essere confrontata, con le forme analoghe di espansione che si riscontrano nei movimenti religiosi, nelle organizzazioni sociali e politiche. Che differenza esiste tra la missione e il proselitismo, la propaganda e il colonialismo? Questo interrogativo non è una semplice curiosità teorica, perché di fatto il movimento cristiano descritto da Luca negli Atti si trova di fronte ad un giudaismo che al di fuori della Palestina conosce un'epoca di fiorente proselitismo. Lo stesso si può dire di altre forme religiose, soprattutto orientali, nonché dei movimenti filosofici che nello stesso periodo hanno una certa udienza nei ceti popolari. La novità e originalità della missione cristiana non stanno nelle forme e tecniche di comunicazione spesso prese a prestito dal giudaismo della diaspora o dai filosofi itineranti. La missione cristiana è il volto esterno dell'esperienza di libertà fondata sullo Spirito, dono del Signore risorto. Se la chiesa è la convocazione dei liberati attorno a Gesù Signore, di quelli che accogliendo la sua parola vivono rapporti nuovi tra loro, allora la missione non è altro che l'espansione o crescita di questo processo di liberazione che coinvolge altre persone e gruppi sociali. Questo fatto definisce subito i protagonisti della missione, i suoi destinatari e il metodo della sua attuazione. La missione cristiana non è riservata ad un gruppo di esperti o delegati. Tutti i cristiani che hanno accolto Gesù Signore nella fede ed hanno ricevuto il suo Spirito sono abilitati alla testimonianza della libertà cristiana nell'annuncio dell'evangelo. Così accanto a Pietro e Giovanni, che testimoniano Gesù risorto a Gerusalemme, si trova Stefano che come portavoce dei cristiani di lingua greca proclama l'unica Signoria di Gesù, che esautora le istituzioni giudaiche della legge e del tempio. Il gruppo dei cristiani ellenisti, dopo la morte violenta di Stefano, lascia la città di Gerusalemme e dà inizio ad un processo di missione spontanea che attraversa la zona dei samaritani e raggiunge le città ellenizzate della costa mediterranea fino ad Antiochia di Siria. Qui si crea per la loro iniziativa la prima comunità mista, formata da cristiani provenienti dall'ebraismo e dal mondo pagano, At 11,20-21. È vero che Luca si premura di far intervenire ogni volta, in Samaria come ad Antiochia, l'autorizzazione della chiesa storica di Gerusalemme, dove stanno di dodici con Pietro, At 8,14-17; 11,22-24. Non solo. Ma prima di riferire la missione del gruppo dei cristiani ellenisti egli riporta l'episodio programmatico di Pietro che annuncia il vangelo in casa del pagano Cornelio, a Cesarea marittima, e dà il battesimo a lui e a tutta la sua famiglia, At 10,1-48. Però all'origine di questa scelta missionaria sta l'iniziativa di Dio e dello Spirito che ha fatto superare a Pietro le resistenze e le paure connesse con l'insieme dei divieti di separazione tra giudei e pagani. Anche la chiesa storica di Gerusalemme, formata da giudei convertiti, riconosce nel gesto di Pietro un segno del progetto di Dio che offre la salvezza ai pagani senza discriminazioni razziali, 11,18.
Il problema dei destinatari della missione cristiana e del suo metodo si ripropone dopo che Paolo e Barnaba hanno dato vita ad una rete di nuove comunità formate in maggioranza da pagani nelle città dell'altopiano anatolico. Al termine del loro viaggio missionario ad Antiochia si scontrano con la resistenza del gruppo giudeo-cristiano integrista proveniente dalla Giudea. Questi non contestano la missione tra i pagani, ma il metodo di Paolo e Barnaba, che hanno l'appoggio della comunità di Antiochia. I due missionari hanno proclamato il vangelo e organizzato in comunità quelli che hanno aderito e si sono impegnati a vivere nella fede in Gesù Signore. I giudeo-cristiani non si rassegnano ad accettare che dei non-ebrei, sia pure credenti e battezzati, facciano parte a pieno diritto del popolo di Dio, senza diventare in qualche modo ebrei per mezzo del rito della circoncisione. Alla base c'è la concezione di una chiesa che si identifica con una nazione e razza, contrassegnata da riti e pratiche particolari. In altre parole la missione è concepita come «aggregazione» o introduzione dei pagani nella «chiesa» giudaica. Questa è nota distintiva del proselitismo.
A questa concezione, che rischia di ridurre il cristianesimo a una variante riformata del giudaismo, si oppone la prima assemblea cristiana, che ha luogo a Gerusalemme. A questo incontro, chiamato anche concilio di Gerusalemme, partecipa la delegazione dei missionari, Paolo e Barnaba, i rappresentanti della chiesa locale e degli apostoli. È ancora Pietro portavoce di quel nuovo progetto di chiesa che sta alla base della missione cristiana. Egli nel suo discorso si richiama alla esperienza della conversione di Cornelio sottolineando la gratuita iniziativa di Dio: «Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i pagani ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo, e venissero alla fede», At 15,7. Il dono dello Spirito santo, dato ai pagani credenti, è come la pentecoste della prima chiesa: l'inizio e costituzione della chiesa tra i pagani. Dunque — conclude Pietro — non esiste più alcuna differenza tra i giudei e i pagani in ordine all'unica salvezza di Dio. A questa si accede unicamente per mezzo della fede nel Signore Gesù. A questa linea ecclesiale rappresentata autorevolmente da Pietro si associa Giacomo, presidente della chiesa locale, confermandola con l'autorità della scrittura. Corrisponde al progetto di Dio — dice in sostanza Giacomo — la costituzione di un unico popolo formato da ebrei e pagani. Questa presa di posizione, che riconosce la metodologia missionaria di Paolo, è sostanzialmente confermata dalla testimonianza della lettera ai Galati, 2,1-10. Le clausole restrittive che Giacomo propone per le comunità miste, formate da ebrei e pagani convertiti, risalgono ad intervento pastorale successivo al concilio, che Luca ha associato all'assemblea di Gerusalemme per affinità tematica.
Sulla linea del concilio di Gerusalemme si colloca l'attività missionaria di Paolo nei centri della Macedonia, Grecia e Asia. A questa Luca dedica la seconda parte degli Atti. Perciò si può dire che lo stile e il metodo della missione cristiana definisce il progetto della chiesa secondo Luca. Un progetto connotato da una duplice fedeltà: una fedeltà radicale al Signore, alla sua parola e al suo Spirito; e una fedeltà agli uomini, che diventa accoglienza, dialogo e incarnazione. La fedeltà al Cristo, il Signore di tutti, libera i missionari cristiani dalla tendenza a discriminare gli uomini in nome della razza e della religione. La fedeltà alla parola libera gli evangelizzatori dal rischio della propaganda che tende a catturare il consenso. La fedeltà allo Spirito apre la chiesa alla universalità senza l'appiattimento e l'uniformità delle culture. In breve una chiesa per la missione è la conseguenza logica di una chiesa come convocazione di uomini liberi grazie alla forza dello Spirito e della parola, in cui si manifesta e opera il Signore risorto. Là dove gli uomini scoprono la ragione della loro libertà di vivere e di stare insieme nella parola e nello Spirito di Gesù, lì essi costituiscono la chiesa.

2. Fraternità e missione (Mt)

La riflessione sulla identità della chiesa è sviluppata tematicamente anche dal primo vangelo attribuito dalla tradizione a Matteo. Infatti è l'unico dei vangeli in cui appare per tre volte il termine ekklesia per designare la comunità dei credenti in Gesù Signore. La comprensione dell'esperienza ecclesiale in Matteo è condizionata dalla sua situazione comunitaria su due fronti: quello interno e quello esterno. All'interno della comunità cristiana, alla quale si rivolge il primo vangelo, vi sono alcune tensioni tra gruppi, quelli dei profeti dei maestri e la base ecclesiale. Inoltre vi sono delle contraddizioni nella vita pratica: alcuni privilegiano il momento sacramentale e carismatico a scapito della fedeltà e perseveranza operativa. Questa tendenza porta ad una posizione integralista e intollerante che rivendica una chiesa di puri, dalla quale sono automaticamente esclusi i cristiani in crisi e peccatori. Sul fronte esterno la comunità di Matteo deve affrontare l'ostilità e persecuzione dell'ambiente giudaico che ha definitivamente escluso i convertiti al cristianesimo dalla vita sinagogale. Questa ostilità, anche se meno accesa e ideologicamente meno aperta, contamina anche l'ambiente pagano, al quale il nuovo movimento cristiano guarda con più simpatia e fiducia.
In questo contesto si sviluppa la riflessione di Matteo che rilegge la tradizione evangelica, risalente a Gesù, in funzione dei problemi dei suoi cristiani. Egli propone l'ideale di una chiesa come fraternità. Contro la tendenza di alcuni gruppi a privilegiare i ruoli istituzionalizzati sul modello giudaico Matteo richiama la presa di posizione di Gesù contro le precedenze carrieristiche e gli autoritarismi nella comunità: «Non fatevi chiamare rabbi perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli... il più grande tra voi sia il vostro servo», Mt 23,8.11. In questa comunità ideale la regola base è quella dell'accoglienza e del perdono. L'attenzione al più piccolo dei fratelli si traduce in una prassi pastorale volta a ricuperare i fratelli in crisi. Prima dì dichiarare un fratello perduto deve essere messo in atto ogni tentativo per aiutarlo a ritrovare la strada della fedeltà e della perseveranza, Mt 18,15-18. In ogni caso tra i fratelli vale il principio del perdono senza limiti, come condizione per realizzare una comunità orante, nella quale si attua la promessa del Signore: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro», Mt 18,20. Infatti è impossibile rivolgersi al Padre celeste per ottenere il perdono dei propri peccati se non si perdona di cuore ai propri fratelli nella comunità, Mt 6,14-15; 18,35. Alla base dell'autorità nella chiesa secondo Matteo non vi è nessun diritto dinastico e privilegio di razza. La chiesa partecipa alla signoria e vittoria di Gesù, il crocifisso risorto, grazie all'adesione di fede. Pietro riconosce Gesù messia e figlio di Dio per mezzo della rivelazione del Padre, che svela il suo progetto salvifico ai piccoli. Sulla base di questa fede gratuita egli partecipa alla qualità messianica di Gesù come fondamento dell'ekklesia e riceve l'autorità d'interpretare la sua volontà e di guidare la chiesa. Questo ruolo autorevole non contraddice allo statuto di fraternità della chiesa, perché l'unico Signore e maestro rimane Gesù al quale ogni credente deve aderire attuandone con fedeltà la parola. Contro la tendenza del gruppo degli entusiasti e fondamentalisti Matteo richiama l'insegnamento di Gesù sul valore della legge e la sua interpretazione profetica. Egli contesta il legalismo di marca farisaica, e nello stesso tempo propone un nuovo modo di intendere" e attuare la volontà di Dio, concentrata nell'amore verso il prossimo, interiorizzata e personalizzata. A nulla valgono le pratiche religiose e devote se non esprimono l'autentica relazione personale con il Padre celeste. È una perversione assurda quella di chi si serve dell'opera buona, elemosina, preghiera e digiuno per farsi pubblicità e guadagnarsi un prestigio sociale, Mt 6,1-18. Certo i veri discepoli devono attuare la volontà di Dio in una prassi anche esterna e pubblica, ma perché Dio venga riconosciuto come Padre, Mt 5,16. Anzi la condizione per essere autentici discepoli è quella di dare una testimonianza significativa al mondo, pena il rischio di essere rigettati come inutili, 5,13-15.
Qui si innesta il discorso sulla missione che riguarda la relazione della comunità con l'ambiente esterno. Nonostante la situazione conflittuale con il mondo ufficiale giudaico, la chiesa di Matteo non rinuncia ad un dialogo costruttivo che cerca di spiegare le ragioni della propria scelta autonoma rispetto al giudaismo storico. Questo progetto di chiesa che travalica i confini della nazione ebraica corrisponde alle promesse e attese bibliche che trovano il loro pieno compimento in Gesù. Matteo tende a sottolineare che la missione storica di Gesù si è rivolta esclusivamente agli ebrei per offrire la salvezza alle «pecore perdute della casa di Israele», Mt 10,5; 15,24. Ma con la risurrezione e intronizzazione messianica di Gesù la missione si estende a tutte le genti. La chiesa di Matteo ora si rivolge di preferenza ai pagani dal momento che l'Israele storico si è chiuso nel rifiuto e condanna del messia Gesù. La missione ai popoli sta dunque sotto la Signoria di Gesù. Il compito dei credenti è quello di proporre a tutti gli uomini il discepolato al seguito di Gesù senza passare attraverso le strettoie del legalismo giudaico. Unica condizione è l'accoglienza di Gesù come Signore e maestro, impegnandosi ad attuare con fedeltà il suo progetto di vita. I segni sacramentali del battesimo e della cena esprimono e realizzano l'appartenenza ecclesiale, ma non garantiscono la salvezza definitiva se non a condizione di una prassi perseverante. Solo l'attuazione della volontà di Dio in una prassi di amore disinteressato e quotidiano verso i bisognosi di ogni genere, fa partecipare al regno promesso ai miti e misericordiosi, ai pacificatori, agli uomini umili e integri di cuore, Mt 5,3-12; 25,31-46.
La testimonianza ecclesiale di Matteo è esemplare sia per il metodo come per la linea di orientamento. Nonostante le tensioni interne e la conflittualità esterna la sua riflessione sulla tradizione evangelica non si riduce ad una visione di chiesa ripiegata su se stessa, tutta preoccupata di definire le competenze e i ruoli. D'altra parte la persecuzione più o meno aperta sul fronte esterno non dà luogo ad una strategia di difesa o di polemica integrista. Le tensioni vengono superate in una lucida riproposizione della sostanza dell'evangelo nella sua dimensione cristologica: Gesù unico Signore e maestro — e nella pratica attuazione della volontà di Dio concentrata nell'amore fraterno, attivo e responsabile. L'accento posto sulla fede e fraternità sono due risvolti ecclesiali di questo ripensamento originale. La risposta alla conflittualità esterna si traduce in una «testimonianza» ecumenica che fa leva su un amore incondizionato che abbraccia anche l'avversario e il persecutore, Mt 5,43-48. Se la salvezza non è più legata all'appartenenza etnica e alle osservanze legali, ma alla fede in Gesù Signore, e concretamente alla prassi di amore disinteressato e universale, allora l'orizzonte della chiesa si apre all'universo dei popoli senza limiti e discriminazioni.

3. Il nucleo della nuova umanità (Ef)

La tradizione cristiana che fa capo a Paolo, missionario e teologo, è ricca di stimoli per una comprensione della chiesa nel suo duplice rapporto al Cristo e all’umanità. Le lettere inviate dall’apostolo alle giovani comunità cristiane anticipano le intuizioni più originali e profonde per una sintesi ecclesiale elaborata dai suoi discepoli. Tra questi si distingue l’autore di Efesini che si richiama all'autorità di Paolo, apostolo e martire, per aiutare i cristiani delle comunità che fanno capo a Efeso a ritrovare l'unità e il significato della propria missione storica. In queste comunità oltre alla crisi dovuta all'impatto con nuovi indirizzi culturali e religiosi, si manifestano delle tensioni tra i due gruppi costitutivi della prima cristianità. La minoranza ebraica corre il rischio di essere emarginata dal gruppo più forte, formato dai pagani convertiti. Per superare questa situazione l'autore ripropone una sintesi del progetto salvifico, al cui centro sta Cristo, che dà unità e senso a tutta la realtà, Ef 1,9-10. In questo processo di unificazione si inserisce anche l'annuncio del vangelo che dà origine all'esperienza ecclesiale sia dei giudei prima come dei pagani successivamente, Ef 1,11-14. Ma sia gli uni come gli altri partecipano dei beni salvifici per l'iniziativa gratuita ed efficace di Dio padre, che esclude ogni privilegio e rivendicazione. «In Cristo egli ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità», Ef 1,4. In una visione storica del processo salvifico i pagani convertiti ancor meno degli ebrei, possono vantare diritti al beneficio salvifico, perché dalla loro situazione di peccatori ed estranei alla storia salvifica sono stati chiamati a far parte della famiglia di Dio: «per grazia siete salvi mediante la fede», Ef 2,8. Questo è un tema privilegiato da Paolo che ha sempre contestato ai giudei uno statuto privilegiato in ordine alla salvezza. Questo principio della salvezza per grazia nella fede non è solo un cardine della teologia paolina, ma un criterio per risolvere le tensioni ecclesiali riportandole al loro nucleo profondo. Ma nello stesso tempo una corretta visione ecclesiale, centrata sul Cristo, consente di dare una giusta collocazione ai cristiani rispetto all'umanità intera.
L'autore di Efesini pone al centro della sua visione della chiesa l'azione salvifica di Dio rivelata e attuata storicamente nella morte di Cristo in croce. L'autodonazione di Gesù mette allo scoperto le radici della divisione umana tra giudei e pagani, quell'ostilità che si alimenta ad una visione distorta della legge. In una visione ideologica e integrista della religione le opposizioni e separazioni umane si radicalizzano. Dio viene chiamato a consacrare le barriere e divisioni tra i gruppi umani. La morte di Gesù in croce, prodotto di questa distorsione idolatrica del rapporto con Dio, non solo smaschera questa perversa operazione di copertura religiosa delle apartheid umane, ma crea uno spazio per fare incontrare nuovamente gli uomini tra loro e con Dio.
«Egli è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo... per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo... per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo», Ef 2,14. 15.16.
Quello che merita di essere sottolineato in questa riflessione sull'evento salvifico in chiave di pacificazione universale, è la priorità data all'unità tra gli uomini. L'unico corpo è la chiesa che ha il suo prototipo e la fonte di unità vitale nel Cristo, crocifisso e risorto. Egli costituisce il nucleo della nuova umanità che va costruendosi attorno a lui come comunità di uomini riconciliati e uniti. In quest'ottica tutto l’annuncio cristiano si condensa in un «vangelo di pace», proclamato indistintamente a tutti gli uomini, ai vicini, ebrei, e ai lontani, pagani. La meta ultima di questo processo di unificazione umana, che trae origine dall’evento della croce, e si diffonde mediante l’evangelizzazione della pace, è l’incontro con Dio padre in un solo Spirito. In questo consiste l'autentico culto e liturgia cristiana. Il santuario di questa celebrazione, dove si fa presente Dio per mezzo dello Spirito, è questa umanità unita come un organismo vivo attorno al Cristo risorto. Quell'umanità che ha accolto e vive l'evangelo di pace proclamato dagli apostoli, missionari, e testimoniato dai profeti, animatori di comunità, Ef 2,19-22. In questa visione dilatata di chiesa in una visione universale, grazie all'inserzione nel progetto salvifico del Cristo, si inseriscono armonicamente sia la missione come la crescita spirituale interna della chiesa. La missione non può essere altro che la realizzazione storica di quella potenzialità salvifica presente nell'evento del Cristo. L'estensione della salvezza ai popoli fa parte del progetto di Dio che ha un volto storico in Gesù. Non si tratta della aggregazione di altri uomini o gruppi alla chiesa, come organizzazione locale o internazionale, ma della crescita dell'unico corpo di Cristo che tende a coincidere con l'intera umanità, Ef 3,5-6. Il compito dei cristiani che annunciano il vangelo di pace è quello di rendere effettivo questo progetto a favore di tutti gli uomini. Un servizio di responsabilità di fronte a Dio e agli uomini. Ma nello stesso tempo il corpo di Cristo cresce al suo interno grazie al processo di maturazione dei credenti nell'esperienza di fede e intensità dell'amore fraterno. A questo scopo nella fondamentale unità della fede sono dati i vari carismi e ministeri, perché tutti i credenti siano resi attivi nel loro servizio e arrivino a quella maturità che ha la sua fonte e modello realizzato in Cristo, Ef 4,11-13. A confronto con il testo di Efesini, maturato nella grande tradizione Paolina, si intuisce che i problemi della chiesa sia quelli dei rapporti al suo interno come del suo ruolo nell'umanità, si risolvono in una riscoperta e valorizzazione del legame vitale con il Cristo. Però non si tratta di un Cristo sequestrato dai cristiani in funzione polemica o integrista, ma del crocifisso e risorto che sta dentro la storia dell'umanità come spazio definitivo di pace.

4. Dare ragione della propria speranza (1 Pt)

Questo percorso attraverso i testi del NT alla ricerca delle radici profonde dell'identità ecclesiale non sarebbe completo, pur nella sua essenzialità, se trascurasse una testimonianza di chiesa maturata nella dispersione e persecuzione. Di quest'ultimo aspetto un documento suggestivo è l'Apocalisse che propone la speranza nel Cristo risorto all'interno di una situazione di aperto conflitto con l'ambiente sociale e politico. Una speranza trascritta nel codice immaginifico della letteratura apocalittica. Ma preferisco fare un riferimento più puntuale alla prima lettera di Pietro, che fonde insieme sia l'esperienza di dispersione come quella di «persecuzione». In questo testo che si richiama all'autorità di Pietro, un cristiano verso gli anni 80/85 scrive alle comunità dell’Asia per aiutarle a ritrovare i motivi della loro perseveranza in un ambiente ostile e refrattario. Si tratta di piccoli gruppi di cristiani che vivono in mezzo ad una popolazione in maggioranza pagana. I cristiani che non partecipano al culto ufficiale e pubblico, che si contraddistinguono per il loro stile di vita, sono guardati con sospetto in un ambiente che non tollera i diversi. Non mancano casi di incriminazione davanti ai tribunali locali, e anche interventi repressivi della magistratura periferica. Non si tratta di una persecuzione ufficiale di stato, ma di singoli episodi di ostilità che tuttavia mettono in crisi la fiducia e la perseveranza di alcuni, 4,12-16. L'autore della lettera prima di indicare quale deve essere la linea di condotta cristiana in questa situazione, richiama quello che è il fondamento dell'esistenza cristiana come chiesa. Il punto di partenza è la fede che ha accolto la parola di Dio, l'evangelo, che come seme interiore ha prodotto, grazie al gesto sacramentale del battesimo, una rinascita spirituale. Da qui trae origine e si alimenta la fraternità cristiana, il cui tessuto connettivo è l'amore intenso e sincero, 1 Pt 1,22-25. Ma al di là della fede battesimale e della parola di Dio sta la persona di Gesù Cristo, pietra viva sulla quale è costruito l'edificio comunitario. Ma il Cristo diventa pietra di fondazione scelta da Dio dopo esser stato rigettato dagli uomini. Dunque alla base della comunità non c'è un'ideologia, o un Cristo fuori dai conflitti storici, ma il crocifisso risuscitato da Dio. Questo fatto dà la fisionomia specifica alla comunità dei credenti che pongono la propria fiducia in lui. Per mezzo della fede in Cristo Gesù la piccola comunità cristiana, pur dispersa e boicottata in un ambiente ostile, fa parte del popolo di Dio, un popolo di uomini liberi e consacrati a Dio, chiamati a proclamare davanti a tutti le meraviglie della sua azione salvifica: «Voi siete — dice l'autore di 1 Pt rievocando l'Esodo — la stirpe eletta, il sacerdozio reale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le meraviglie di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce», 1 Pt 2,8. Nella pubblica e libera proclamazione dell'opera di Dio, sostanziata da uno stile di vita coerente, consiste il culto del popolo di Dio «i sacrifici spirituali graditi a Dio». 1 Pt 2,5. Su questa solida piattaforma ecclesiale viene tracciata la linea di condotta dei cristiani come singoli e comunità, sia all'interno come nei confronti dell'ambiente. All'interno vale la regola fondamentale dell'amore attivo che diventa capacità di servizio ecclesiale secondo le varie attitudini e ruoli riconosciuti, 1 Pt 4,8-11. Di fronte all'ambiente esterno, sospettoso ed ostile, la risposta dei cristiani si ispira ad una moderata difesa che fa leva sulla testimonianza positiva e sul dialogo. La motivazione ultima è quella missionaria, intesa però non come tentativo di catturare gli avversari o conquistarli, ma come aperta e coraggiosa proclamazione del Cristo. Questo più che a parole, nella forma della propaganda religiosa, è fatta grazie ad uno stile di vita irreprensibile sotto tutti i punti di vista.
All'interno della famiglia alla sposa cristiana si suggerisce un atteggiamento corretto e rispettoso verso il marito pagano, rivendicando nello stesso tempo la libertà e autonomia in campo religioso, 3,1-6. Anche agli schiavi cristiani si propone un ideale di non-violenza perseverante e coraggiosa di fronte alle minacce dei padroni. Questo ideale fa riferimento al modello del Cristo, il servo innocente condannato ingiustamente, 2,18-25; ma il caso degli schiavi maltrattati è solo la situazione limite che illustra molto bene la condotta dei cristiani calunniati e sospettati nell'ambiente sociale e anche davanti all'autorità. Infatti la risposta cristiana alla violenza ingiusta è l'amore attivo: «non rendete male per male, né ingiuria par ingiuria, ma, al contrario rispondete benedicendo». 1 Pt 3,9. All'interno di questa strategia di non-violenza, sostenuta da un ottimismo senza riserve, si colloca la testimonianza cristiana al Cristo. Una testimonianza che sa accettare anche il confronto aperto in uno stile di dialogo sereno e rispettoso dell'altro. «Se anche dovrete soffrire per la giustizia beati voi. Non sgomentatevi per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore Cristo nei vostri cuori, pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi», 3,13-15. Ma in ogni caso questa franca e cordiale testimonianza deve essere accompagnata da uno stile di vita coerente, che già di per se stesso serva a smontare le calunnie e i sospetti dell'ambiente ostile. In questo progetto di testimonianza cristiana operativa si colloca anche il rapporto con l'autorità civile e le istituzioni. Ai cristiani, nonostante l'ostilità e le prevenzioni, si raccomanda un lealismo schietto nei confronti delle autorità civili, senza sottintesi e secondi fini. La libertà cristiana, che ha il suo fondamento nella relazione vitale con Dio, sta alla base di un corretto rapporto con le autorità riconosciute nel loro ruolo autonomo senza servilismi e paure. La prima lettera di Pietro rilegge il progetto tradizionale di chiesa in una situazione storica e sociale particolare. Le sue proposte operative non possono essere estese, senza le opportune mediazioni, ad altre situazioni e tempi. Tuttavia il metodo suggerito da questo autore e la linea di orientamento hanno una validità permanente per dei gruppi cristiani che si trovano a vivere in condizione di minorità e in un ambiente estraneo oppure ostile. Il ricupero di una salda identità cristiana ed ecclesiale centrata sul rapporto con il Cristo crocifisso e risorto, non può essere disgiunta da un rapporto corretto con l'ambiente. Anche la scelta privilegiata di una testimonianza operativa non esclude anzi prepara quella del dialogo aperto ed esplicito che può diventare annuncio della parola. Al termine di questa ricerca circa l'identità della chiesa, del suo ruolo e scopo, sulla base delle prime testimonianze cristiane, si possono individuare alcune convergenze significative. Dal sondaggio fatto in alcuni testi del NT, circa l'immagine di chiesa, risulta che la comunità dei credenti o dei liberati è costituita da una duplice vitale relazione. Una relazione con il Cristo crocifisso e risorto: questa sta all'origine e alla base della libertà dei cristiani; è la ragione ultima del loro stare insieme; perché liberati dalla paura dalle separazioni, peccato e morte, i cristiani possono avere rapporti nuovi di fraternità e accoglienza. Dalla stessa radice, che è il dinamismo dello Spirito e della parola, accolto nella fede e attuato nell'amore, deriva la relazione verso i fratelli dell'umanità. Il rapporto con il mondo, con gli altri, non sta sotto il segno della cattura ideologica o della conquista religiosa. La missione cristiana non è altro che la dilatazione dell'amore fonte della libertà. Un amore che per la sua stessa origine e qualità, dal Cristo e dallo Spirito, non può essere se non incondizionato e universale. Da qui nasce anche lo stile della missione come servizio e testimonianza di amore all’umanità e al mondo.
Questo progetto di chiesa, frutto della riflessione sulle prime esperienze cristiane, non dice immediatamente che cosa fare oggi, quali scelte concrete attuare. Il confronto con l’esperienza originaria della chiesa può stimolare una critica feconda nei confronti di atteggiamenti che sono spesso più il frutto di paure e pigrizia che non espressione della forza liberante e creativa dello Spirito. D'altra parte l'individuazione dei tratti fisionomici essenziali della chiesa può suggerire e sostenere una linea di azione fedele sia alla relazione con il Cristo, sia nel rapporto corretto con gli uomini di oggi.

Rinaldo Fabris

(in Tempi di fraternità, IX, n. 7, pp. 4-6)

 

Letto 5496 volte
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search