Formazione Religiosa

Venerdì, 11 Novembre 2011 22:06

La santificazione del tempo. La domenica

Vota questo articolo
(1 Vota)

Per l’ulteriore sviluppo della domenica fu di grande importanza la legge dell’imperatore Costantino del 3 marzo 321. Essa dichiara «il venerabile giorno del sole» giorno di riposo per tutti i giudici, gli abitanti delle città e coloro che esercitano una professione

a) Fondamenti biblici e sviluppo storico

Già negli scritti del NT il primo giorno della settimana ebraica, che noi chiamiamo domenica, raggiunge un significato rilevante. È il giorno della risurrezione del Signore come tutti gli evangelisti concordemente riferiscono, il giorno preferito delle sue apparizioni (Mt 28,9; Lc 24,13 s.36; Gv 20,19 s.) e il giorno nel quale il Signore glorificato effonde il dono dello Spirito santo promesso (Gv 20,22; At 2,1 s.). Nella consapevolezza dei discepoli esso diventa così «il giorno fatto dal Signore» (Sal 117,24), e il giorno preferito delle riunioni della comunità (At 20,7). In esso i cristiani di Corinto e della Galazia devono raccogliere qualcosa per un fondo di soccorso a favore dei cristiani bisognosi di Gerusalemme (1 Cor 16,1 s.).
Certo la celebrazione comunitaria domenicale non conosceva alcun rituale unitario , però colpisce il fatto che Paolo considera la Cena del Signore come centro delle assemblee (1 Cor 11,17-34; cfr. At 20,7). Una conferma è fornita da antichissimi testimoni non biblici, come la Didachè, la lettera di Plinio all’imperatore Traiano e Giustino martire. Secondo Ignazio di Antiochia la celebrazione della domenica diventa proprio il segno di distinzione dei cristiani nei confronti di coloro che secondo l’antico ordinamento festeggiano ancora il sabato. I cristiani però sono chiamati a una nuova speranza e «vivono nell’osservanza del giorno del Signore, nel quale anche la nostra vita è sorta, per mezzo di lui e della sua morte». (1)
Poiché la domenica era allora un giorno di lavoro ordinario i cristiani dovevano tenere i loro incontri nella tarda serata o, dopo il divieto di riunioni serali da parte dell’imperatore Traiano, nel primo mattino. Ciò comportava sicuramente una certa scomodità e richiedeva un’alta misura di spirito di sacrificio. Non deve quindi neppure stupire che già la Lettera agli Ebrei dovesse richiamare alla regolare frequenza (10,25). Lo stesso fa ancora più insistentemente la Didascalia degli  apostoli (2) a metà del sec. III. Poco dopo il 300 il concilio di Elvira (Spagna) stabilisce: «Se qualcuno che abita in città, per tre domeniche non va alla chiesa deve essere escluso dalla comunità per breve tempo affinché appaia richiamato all’ordine». (3) Il significato della domenica nel cristianesimo primitivo si riflette anche nelle sue denominazioni. Il nome più antico, primo giorno, voleva indicare non solo l’inizio della settimana, ma conteneva anche un’allusione al primo giorno della settimana della creazione, che era il giorno della luce. Con la domenica si inizia la «nuova creazione» (cfr. 2 Cor 5,17). Già in Ap 1,10 incontriamo il nome, in seguito molto frequente, di giorno del Signore, che come dies dominica si è mantenuto non solo nella lingua ufficiale della chiesa, ma anche nelle lingue romanze. Il nome giorno ottavo significa che dopo i sette giorni della settimana della creazione con il suo sabato, il giorno della risurrezione introduce la nuova creazione, che sbocca nell’eterno riposo sabbatico del compimento finale. In Tertulliano e numerosi autori greci si trova il nome di giorno della risurrezione, che sopravvive in talune lingue slave. Dopo una esitazione iniziale i cristiani accolgono anche il nome dies solis, che deriva dalla settimana planetaria greco-romana. Essi fanno ciò nel senso di s. Girolamo, che scrive: «Se esso (il giorno del Signore) è chiamato dai pagani giorno del sole, anche noi siamo volentieri d’accordo: poiché oggi è sorta la luce del mondo e il sole della giustizia, e tra le sue ali trova riparo la salvezza». (4)
Per l’ulteriore sviluppo della domenica fu di grande importanza la legge dell’imperatore Costantino del 3 marzo 321. Essa dichiara «il venerabile giorno del sole» giorno di riposo per tutti i giudici, gli abitanti delle città e coloro che esercitano una professione. Gli abitanti delle campagne devono attendere al loro lavoro per non perdere le ore di tempo favorevoli. Poche settimane più tardi un’altra legge dispone che la auspicabile liberazione degli schiavi non cada sotto il comando del riposo. Con queste disposizioni la celebrazione liturgica della domenica era sostanzialmente facilitata. Lentamente però il riposo dal lavoro si pone sempre più al centro della santificazione della domenica e ne diventa il criterio essenziale. Le “opere servili” in domenica diventano fatti passibili di pena e al riguardo si prende a modello la dura legislazione sabbatica veterotestamentaria. (5) L’alta Scolastica distingue di nuovo chiaramente la domenica dal sabato ebraico e motiva il divieto dei lavori servili dicendo che ciò facilita la partecipazione alla liturgia. Anche nei secoli seguenti il divieto del lavoro domenicale fu troppo in primo piano e quindi oscurò il senso cristologico primario. Nel tardo Medioevo e nell’epoca moderna si insistette fortemente sul precetto della messa domenicale e ogni infrazione al riguardo fu dichiarata colpa grave. (6)

b) La domenica nell’epoca attuale

Con riguardo alla celebrazione cristiana della domenica largamente compromessa, il Vaticano II ha chiaramente rilevato il significato cristiano della domenica come celebrazione del mistero pasquale. «In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare all’eucaristia, e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e rendere grazie a Dio...» (SC 106). La domenica deve essere nello stesso tempo un giorno di riposo e di tempo libero. Poiché essa è «fondamento e nucleo di tutto l’anno liturgico» non le devono essere preferite altre celebrazioni a meno che non siano veramente di grandissima importanza.
Con riguardo a quest’ultima direttiva le NG del 1969 stabiliscono che solo una solennità o una festa del Signore può sostituire la liturgia della domenica, mentre la liturgia delle domeniche di Avvento, Quaresima e pasqua non può assolutamente essere soppiantata (5). Recentemente è sorto il pericolo che queste norme a difesa della liturgia domenicale vengano eluse dalla frequente finalizzazione e tematizzazione di numerose domeniche e dalla nuova moda delle “messe a tema”. Un arricchimento della liturgia domenicale consiste nell’approntamento di dieci prefazi delle domeniche del tempo ordinario, che proclamano il mistero pasquale. Anche le nuove inserzioni delle Preghiere eucaristiche I-III a ricordo della domenica sono adatte a evidenziare il significato della domenica stessa.
Anche il CIC del 1983 ha felicemente ripreso quasi alla lettera la prospettiva cristologica della domenica, propria di SC 106 (can. 1246 § 1). Anche esso accentua insistentemente il precetto della messa e del riposo domenicale, allontanandosi alquanto dal CIC del 1917, afferma: I fedeli «devono astenersi da quei lavori e affari che impediscono la doverosa partecipazione alla liturgia, la gioia propria del giorno del Signore e il necessario sollievo dello spirito e del corpo» (can. 1247). Dove per la mancanza di sacerdote o per un altro motivo non è possibile una celebrazione eucaristica domenicale viene raccomandata caldamente la partecipazione a una liturgia della Parola (v. sopra cap. 11, 4c, p. 191 s.) o un particolare tempo di preghiera (come preghiera personale o familiare; can. 1248 § 2).
Come una deplorevole rottura con la tradizione cristiana va considerata la raccomandazione R 2015 della “Organizzazione internazionale per la standardizzazione” (ISO), una organizzazione secondaria delle Nazioni Unite, di ritenere la domenica, a partire dal 1° gennaio 1976, nel campo economico-tecnico e quindi complessivamente nell’ambito pubblico, come l’ultimo giorno della settimana. La conseguenza fu, nonostante talune proteste, che nei calendari la domenica appare alla fine della settimana e non più, come finora, come il primo giorno di una nuova settimana. C’è da temere che così, nell’opinione pubblica, la domenica venga ancora più deprezzata religiosamente come l’ultimo giorno dello spazio di tempo libero “finesettimana”, e che la sua stima decresca ulteriormente.
Il pericolo che corre attualmente la domenica cristiana appare con particolare evidenza dal decremento della partecipazione alla liturgia. Da statistiche risulta che in certi paesi europei la percentuale della frequenza alla messa si è ridotta di più della metà dall’anno 1935 al 1984. Notevole il fatto che la diminuzione di frequenza interessa anche le giovani donne. La giovane generazione diserta la messa domenicale fino al 90%. Tra i motivi addotti per la mancata partecipazione potrebbe stare al primo posto il calo della fede cristiana. Nelle chiese della Riforma la problematica è uguale, se non ancora più acuta.

La caratterizzazione liturgica dei giorni della settimana

A differenza della domenica i giorni della settimana conoscono solo lentamente e in modo non omogeneo una caratterizzazione religioso liturgica. La messa in risalto della domenica come il giorno della risurrezione, nella quale si compie la redenzione, lasciò dapprima gli altri giorni in ombra. Una eccezione è rappresentata già presto dal mercoledì e dal venerdì. Così l’”Insegnamento dei dodici apostoli” (Didachè) ordina di non digiunare a differenza degli ipocriti (cfr. Mt 6,16) il lunedì e il giovedì, ma il mercoledì e il venerdì. Una caratteristica della quarta domenica di Quaresima (Laetare) consiste nelle vesti liturgiche di colore rosaceo (dal sec. XVI), che non devono essere collegate solo al suo carattere gioioso, ma anche all’uso papale di benedire in essa una “rosa d’oro”. Ciò si rifà probabilmente a una festa primaverile romana, nella quale si andava alla liturgia portando dei fiori (sec. X). La quinta domenica di Quaresima a partire dall’alto Medioevo fu chiamata anche Domenica di passione e fu caratterizzata dall’uso di velare la croce e le immagini, dal prefazio della santa croce e dalla parziale omissione del “Gloria Patri”. Il nuovo ordinamento ha rinunciato alla denominazione di Domenica di passione «per conservare l’unità interna della Quaresima».
Invece il tema della passione trova una più forte espressione nella denominazione della sesta domenica di Quaresima, che ora si chiama Domenica delle palme e della passione del Signore. In essa la commemorazione dell’ingresso di Cristo in Gerusalemme si collega con quella della sua passione. Di una processione delle palme a Gerusalemme verso il 400 ci informa già la pellegrina Egeria. In Occidente essa appare per la prima volta verso la fine del sec. VIII e assume presto elementi ludico-drammatici e folcloristici. Il nuovo Messale prevede svariate forme per la «Commemorazione dell’ingresso del Signore in Gerusalemme». La messa è caratterizzata particolarmente dalla lettura della passione del Signore secondo i sinottici a seconda dell’anno del ciclo.
Anche i successivi giorni della Settimana santa sono completamente contrassegnati dal tema della passione; in essi però si è potuto rinunciare alla lettura della passione secondo Marco (lunedì) e Luca (mercoledì), perché tali brani sono previsti nel ciclo triennale di lettura per la Domenica delle palme.
Quanto ai rimanenti giorni feriali della Quaresima ognuno di essi ha un proprio formulario per la messa. Le loro pericopi bibliche sono uguali ogni anno e prima lettura e vangelo formano una unità tematica. Con l’inizio della quarta settimana di Quaresima il vangelo della messa è costituito dalla lettura semicontinua di Giovanni.
Mentre la sera del Giovedì santo appartiene già al triduo pasquale, al mattino è prevista la missa chrismatis del vescovo con la benedizione degli oli occorrenti per l’amministrazione del battesimo e della confermazione nella veglia pasquale. Per motivi pratici questa messa può essere celebrata anche in uno dei precedenti giorni della Settimana santa, e precisamente come concelebrazione del vescovo col suo presbiterio, possibilmente nella chiesa cattedrale. Secondo la tradizione latina la benedizione degli oli ha luogo in modo tale che l’olio degli infermi è benedetto prima della dossologia conclusiva della Preghiera eucaristica, l’olio dei catecumeni e il crisma, però, solo dopo l’orazione dopo la comunione. Per motivi pastorali tuttavia l’intero rito della benedizione può essere compiuto anche al termine della liturgia della Parola.
Con la missa chrismatis può essere unita anche la rinnovazione delle promesse sacerdotali!

Note

1) Ad Magnes, 9,1 s., in Quacquarelli, I Padri…,112
2) II 59,2 s., in Funk I, 170-172.
3) Can. 21: Kirch, 202.
4) In die domenica Paschale homilia, in G. Morin (ed.), Anecdota Maredsolana.
5) Codex Iustiniani III, 12,2; cit. in Dölger, 229.
6) Con ricchezza di particolari in G. Troxler.

 

Letto 2302 volte Ultima modifica il Martedì, 08 Gennaio 2013 16:49
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search