«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno» (Lc 10, 30-35).
Il maestro chiamò un discepolo a leggere il brano evangelico.
Al termine della lettura ci fu un lungo silenzio.
Poi il maestro chiese ad un secondo discepolo di rileggere il testo.
E ci fu un’altra estesa pausa.
Un terzo discepolo fu esortato a declamare ancora la parabola.
Giunti a questo punto, tutti i presenti furono invitati dal maestro a meditare.
Dopo un certo tempo, il maestro interruppe quel misurato raccoglimento e sollecitò i discepoli ad esporre l’oggetto delle proprie riflessioni.
Il primo esordì affermando che ci si poteva facilmente identificare con uno dei personaggi del racconto. Egli stesso si vedeva nelle vesti del sacerdote. Riteneva, infatti, che a volte si lasciasse prendere un po’ troppo dalle incombenze della preghiera e dei riti e, sicuramente, tutto ciò risultava a discapito del prossimo.
Un altro discepolo s’affrettò ad affermare che si sentiva un po’ come il levita. No, lui non meritava di paragonarsi al sacerdote. Si sarebbe dimostrata una manifestazione d’orgoglio. Né tanto meno poteva pretendere di assomigliare al Samaritano. Non era ancora capace, nella sua povera vita, a compiere gesti così generosi. Per questo, aggiunse, egli sentiva il bisogno di pregare ancora di più e di riservare maggior tempo alla meditazione, per riuscire a diventare come quell’uomo misericordioso.
Alcuni dei suoi compagni lo lodarono per la profonda riflessione che aveva loro comunicato. Altri si dichiararono d’accordo con lui.
Tuttavia, tutti restavano nell’attesa di udire le parole del maestro. Ma il maestro taceva, mentre continuava a giocherellare con una piccola radice legnosa che teneva tra le mani.
All’improvviso il maestro urlò: «Noi tutti siamo i briganti».
Lo sconcerto divampò sul viso dei discepoli. Si diffuse un brusio tra gli astanti. Alcuni avevano trasalito. Altri si mostrarono fortemente turbati. Il maestro, ancora una volta, li aveva disorientati.
Soltanto un discepolo, a quelle parole, s’illuminò in viso.
«Maestro, dici bene: noi siamo i briganti» approvò quel discepolo. «Poiché noi ci preoccupiamo di spiegare la parabola. E questo ci basta. Ci basta pensare di avere capito. In realtà, quello che cerchi di farci comprendere, vale molto di più. Non dobbiamo unicamente accontentarci di diventare come il Samaritano del racconto. Dobbiamo fare in modo, con la nostra vita, che al mondo non si presenti neppure la necessità di persone che debbano agire come il Samaritano. Non possiamo limitarci a curare soltanto le ferite. Ci spetta cercare d’evitare in tutti i modi che intorno a noi ci siano persone che restano ferite. In altre parole, non dobbiamo agire soltanto sulle conseguenze, ma andare alla sorgente degli avvenimenti e rimuoverne le cause. Innanzi tutto a partire da noi stessi, dal nostro comportamento».
Il maestro sorrise e fissandolo negli occhi gli disse: «Se tu hai veramente compreso tutto ciò, va e realizzalo nella tua vita».
Faustino Ferrari
(testo pubblicato in Parlando d'amore e d'altre cose, Effatà, 2012, pp. 39-41)