II. Il messaggio biblico tra Antico e Nuovo Testamento
Uno degli aspetti caratteristici del messaggio biblico è certamente l’apertura al futuro. Con ciò non è detto ancora che questo futuro sia ultraterreno, come risulta chiaramente dal NT, ma è un indizio significativo che lo sguardo di Israele non è rivolto al passato, ma è proteso in avanti, perché nel domani e da esso si attende un cambiamento radicale della storia. Se poi il tutto è vissuto nella fede in Dio, questo collegamento verso il futuro avrà senz’altro le caratteristiche di un superamento dei limiti posti dallo spazio e dal tempo; sarà, in una parola, il futuro di Dio nel quale l’uomo ritroverà se stesso. E diciamo l’uomo, per indicare l’apertura fondamentale della fede in Israele verso l’umanità intera.
Testi significativi a questo riguardo li troviamo in Genesi 3 e 12 e poi distribuiti negli altri libri del Pentateuco, in specie nell’approfondita riflessione sull’alleanza e la promessa di Dio nel Deuteronomio. In Genesi 3 abbiamo già uno spaccato della storia, pensata e progettata nel superamento del peccato e aperta alla vittoria su ogni male e affidata ad una progenie futura, garantita dalla potenza di Dio. Questo futuro positivo non sarà senza lotta e senza pericoli, per sfatare fin dall’inizio l’illusione che la vita e il risvolto positivo di essa, siano cose che arrivano automaticamente. Questa precisazione aiuta anche a coltivare un’idea di Dio e della sua grazia in senso attivo e di coinvolgimento. L’esito della storia è affidato agli uomini, che con Dio costruiscono una città dove si possa vivere con dignità. Non è ancora precisato se questa città sarà nel mondo definitivo di Dio, ma certo non sarà costruita senza il suo intervento determinante.
Il testo di Gen 12, che ci parla della vocazione di Abramo, è ancora più chiaro e luminoso circa il futuro dell’umanità. A lui viene collegata la benedizione del mondo intero, sulla base della fede con cui si è aperto al mistero della presenza di Dio. Le affermazioni contenute in Gen 12, riflettono senz’altro la maturazione di fede vissuta da Israele sulla base degli eventi che hanno caratterizzato la sua storia, a partire dal fatto fondamentale della Alleanza, come leggiamo in Esodo 19-24.
Ma la prospettiva e la speranza teologicamente determinata di un futuro di vita, vengono bruscamente offuscate dall’incombere della morte, proprio a partire da Gen 3, che segna il brusco cambiamento nella storia dell’umanità. La morte è il grosso ostacolo, l’insuperabile enigma dell’esistenza umana. Non è la fine di tutto, ma l’ingresso in quel mondo di tenebre, lo sheòl, che è tutto fuorché la gioia della vita. Il libro di Giobbe e alcuni salmi come il 49 e l’88 accennano a questa condizione oscura, da cui si vorrebbe stare lontani, magari prolungando all’infinito la vita. Che poi la morte sia anche motivo di impurità cultuale illumina ancora meglio il suo significato negativo. Esso viene esorcizzato sul finire del VT con le affermazioni illuminanti del libro della Sapienza, volte ad esaltare Dio, come amante della vita, e quindi, esplicitamente come colui che può vincere la morte (Sap 11,26).
In questa linea si apre una finestra importante, sempre sul finire del VT. Nel secondo libro dei Maccabei troviamo una importante affermazione, dove per la prima volta si parla di resurrezione. Il contesto è drammatico, la persecuzione dei Seleucidi, in particolare di Antioco IV e l’uccisione di molti che non vogliono sottostare alle imposizioni pagane. In 2Mac 7 viene raccontato il martirio dei sette fratelli e della madre che li esorta al sacrificio della vita, perchè ha la prospettiva della resurrezione. Essa è collegata anche ad una eccellente professione di fede nel Dio creatore, che ha fatto tutte le cose ‘non da realtà preesistenti’; noi diciamo ‘dal nulla’. Il collegamento tra la fede nel Dio creatore e nel Dio che richiama alla vita, dopo la morte fisica, è della massima importanza, perché è l’esempio biblicamente documentato, della connessione reciproca dei misteri della fede.
In conclusione, allora, il termine della vita non è la morte, ma la resurrezione e dell’una e dell’altra è artefice lo stesso Dio, fonte prima ed inesauribile della vita, donata a noi mediante la creazione.
Un contributo determinante nella comprensione e nella esperienza di fede nel futuro di Dio è dato dalla letteratura profetica, che soprattutto nei capitoli 43-48 di Isaia ci presenta il risultato di un approfondito concetto di Dio, che è all’origine anche della riflessione sul secondo esito, cioè sul ritorno dall’esilio di Babilonia, nella seconda metà del VI secolo a. C. (Is 43) e poi alla base della prospettiva di cieli nuovi e terra nuova, come si legge in Is 65. anche in questo caso dobbiamo dire che l’aspettativa è innanzitutto legata alla realtà presente, ma ci si apre sempre più ad una prospettiva che va oltre questo tempo, mediante la categoria del ‘giorno del Signore’ come ci dicono i profeti Sofonia 1, Gioele 3 e Amos 5.
Il tema della resurrezione, a cui abbiamo accennato, riceve nuovo impulso, indirettamente con il profeta Ezechiele, nel famoso capitolo dedicato alla rivitalizzazione di Israele, nel capitolo 37 e poi in modo diretto in Daniele 12, dove si parla di una resurrezione reale. L’affermazione è fatta negli ultimi tempi del VT, verso il 164 a.C. e quindi in collegamento con il testo di 2Mac 7, dunque nell’epoca che è considerata aperta alla prospettiva apocalittica, che ha come caratteristica l’attesa di un intervento di Dio nel mondo, nella figura che diventerà familiare del ‘Figlio dell’uomo’.
Come punto finale di questo cammino verso una sempre più chiara indicazione del futuro dell’uomo è il libro della Sapienza, ed è anche cronologicamente l’ultimo del VT. Giova ricordare a questo punto, che questo libro, con altri sei e cioè 1 e 2Mac, Siracide, Baruc, Tobia e Giuditta, non fa parte del canone ebraico, seguito anche dai Protestanti. Essi sono chiamati deuterocanonici, perché entrati in un secondo momento nel canone della Chiesa. Essi, ovviamente, hanno lo stesso valore religioso degli altri libri del canone. Il libro della Sapienza è la testimonianza più alta sulla vita futura, oltre questo tempo e oltre le persecuzioni di questa vita, come possiamo leggere soprattutto nel terzo capitolo.
La testimonianza biblica del VT ci conduce dunque lungo il cammino di questa vita, ma ci indica, proprio nella conclusione, che il nostro futuro è nel mondo invisibile di Dio, oltre questo mondo visibile.