La città di Dio di sant'Agostino
di Carla Noce
Si può dire che non ci sia questione sollevata nella Chiesa che non sia stata trattata da Agostino, che si è imposto come auctoritas assoluta nel pensiero cristiano di tutti i tempi, punto di riferimento e segno di contraddizione, dal cui confronto non ci si può mai sottrarre.
Per quanto riguarda la sua esegesi del più complicato dei testi biblici, ci delude il fatto che nella sua sterminata produzione non sia presente un'opera esplicitamente dedicata all'Apocalisse.
Tuttavia, Agostino dedica all'interpretazione dell'Apocalisse di Giovanni gran parte del XX libro del De civitate Dei - per l'esattezza i capitoli 7 -17 - inserendola nell'ambito della discussione sulla fine del mondo e il giudizio finale.
Il millennio
L'attenzione dell'autore è incentrata sull'oscuro testo di Ap 20,1-6: si preannuncia qui un periodo di mille anni in cui il diavolo sarà recluso nell'abisso e i giusti regneranno con Cristo. Il problema fondamentale era riuscire a conciliare l'idea di questo millennio, in cui già si realizza per i santi la giustificazione operata dalla grazia della redenzione, con un'escatologia che prevede un giudizio finale e una seconda risurrezione.
Agostino cerca prima di tutto di mettere in guardia da un'interpretazione materialista del millennio, che sembra essere stata diffusa nei primi secoli del cristianesimo. Alcuni, infatti, sostenevano che in questa, che viene definita da Giovanni la prima risurrezione, i santi avrebbero goduto per mille anni di beni carnali in maniera superiore ad ogni misura. Meno severo risulta, invece, Agostino a proposito dell'ingenua convinzione che ai seimila anni in cui si calcolava la durata del mondo sarebbe seguito un settimo millennio in cui i santi, risorti, avrebbero regnato con Cristo: tale convinzione - che Agostino stesso confessa di avere condiviso in un tempo della sua vita - risulta ammissibile purché il regno venga rappresentato come un luogo di godimento dello spirito più che della carne. Agostino preferisce però vedere nel numero mille l'indicazione del tempo eterno, del riposo senza fine dei santi.
Durante i mille anni in cui Satana è recluso nell'abisso, i santi regnano con Cristo ancora nel tempo. Questo regno millenario è nel tempo così come la Chiesa è regno di Cristo nel tempo, Chiesa in cui non è ancora avvenuta la separazione tra chi segue i precetti del Signore e chi non lo fa: altro è il regno che vi sarà alla fine dei tempi, dopo la seconda venuta di Cristo, allorché si sarà realizzata la separazione tra le erbacce e il frumento. Nel corso di questi mille anni chi non sarà in grado di tornare in vita dalla morte non prenderà parte alla seconda risurrezione, quella della carne. Prima della risurrezione della carne occorre, infatti, che le anime si rialzino dal peccato e ascoltino la voce del Figlio di Dio: solo in questo modo saranno esenti dalla seconda morte.
La liberazione di Satana, una volta compiuti i mille anni, è interpretata come l'ultima furiosa persecuzione contro la Chiesa che si diffonderà sulla terra intera: scenderà allora un fuoco dal cielo a impedire a Satana e ai suoi di impadronirsi dei fedeli di Dio. Durante il breve tempo in cui Satana è liberato continua, tuttavia, il regno di Cristo con i suoi santi: la prova scritturistica è ravvisata da Agostino in Mt 28,20: «Da questo momento io sono con voi fino alla fine del tempo».
Il giudizio finale
Dopo la liberazione di Satana il libro dell'Apocalisse descrive il giudizio finale: il diavolo verrà gettato in uno stagno di fuoco e zolfo, per subire il tormento eterno, mentre ogni uomo sarà chiamato ad aprire il libro della propria esistenza. Agostino precisa il significato dell'immagine del libro aperto: si tratta della capacità divina di riportare alla memoria di ognuno tutte le opere compiute in vita, in modo tale da poter essere giudicato. Dio, in realtà, nella sua prescienza, già conosce il destino di ognuno, e condanna al fuoco eterno quanti non sono scritti nel libro della vita. Questo brano dell'Apocalisse si pone alla base stessa del tanto discusso predestinazionismo agostiniano: secondo il nostro autore, infatti, Dio, attraverso la sua prescienza, conosce in maniera infallibile se un uomo ha scelto il bene o il male e, di conseguenza, può includerlo o meno nell'elenco degli eletti.
L'ultimo episodio dell'Apocalisse considerato da Agostino nella sua breve analisi del testo è la discesa sulla terra della Gerusalemme celeste, un luogo in cui non vi saranno più pianto ne morte, che egli interpreta, in chiave spiritualizzante, come la condizione di immortalità dei santi.
Conclusione
La lettura dell'Apocalisse fatta da Agostino in questo passo del De civitate Dei, anche se limitata ad alcuni versetti soltanto del testo biblico, risulta molto accurata e puntuale. Agostino non dà mai nulla per scontato nella sua interpretazione, propone diverse soluzioni, tende preferibilmente ad attualizzare il i testo, interiorizzandone il significato. Egli dapprima parte dal senso letterale del testo, per spingersi a un'allegorizzazione che gli permetta di trovare un significato spiritualmente più elevato. Il pericolo maggiore è ravvisato qui dall'autore in un'interpretazione troppo carnale dei beni del regno millenario: una simile lettura porterebbe alla totale svalutazione della dimensione spirituale, al trionfo della carne sullo spirito e pertanto egli qui propone un'esegesi assolutamente allegorizzante, che vede nei mille anni il simbolo di un tempo eterno. Agostino mira bene a distinguere questo regno millenario, che segue alla prima risurrezione, al regno fuori del tempo, che avrà inizio dopo la seconda risurrezione. Il regno millenario è il regno della Chiesa nel tempo, è la città celeste che già esiste, ma risiede ancora nella città terrena, è l'epoca, inauguratasi con il primo avvento di Cristo, in cui il bene convive accanto al male, anche all'interno della Chiesa. Chi, in questo periodo, sarà in grado di rispondere alla chiamata di Cristo, risorgerà nella propria anima e sarà allora in grado di prendere parte alla risurrezione della carne, che avverrà in seguito al giudizio.
La rappresentazione del giudizio finale proposta da Agostino appare sconvolgente agli occhi dell'uomo moderno, che vive nella imperturbabile convinzione di essere completamente padrone del proprio destino. Agostino, di contro, parla di predestinazione, una parola che risuona crudele e ingiusta, assolutamente improponibile per la logica moderna, in quanto sembra ledere la libertà dell'individuo, annullare il valore della volontà.
La chiave per comprendere Agostino sta nell'individuare correttamente il suo concetto di grazia.
L'uomo, dopo il peccato originale compiuto in Adamo, non è in grado di ritornare al primitivo stato di ordine senza l'intervento della grazia di Dio: tutto ciò che egli ha, compresa la fede, è un dono totalmente gratuito proveniente dalla bontà di Dio. Anche il libero arbitrio viene da Dio, ma l'uomo è libero di andare verso il bene o verso il male. Dio, nella sua infallibile prescienza, conosce la risposta della volontà di ciascuno alla grazia da lui elargita e può pertanto giudicare in modo assolutamente giusto. L'esclusione di alcuni dalla grazia e, conseguentemente dalla salvezza, che ci appare quasi il perverso divertimento di un sadico burattinaio, è in realtà per Agostino la manifestazione più evidente di un'imperscrutabile giustizia divina. L'uomo non si può quindi attribuire alcun merito per la propria salvezza, in quanto senza l' intervento della grazia di Dio essa sarebbe per lui irraggiungibile: ogni cristiano per Agostino dovrebbe essere in grado di riconoscerlo.
(da Parole di Vita, n. 1, 2000)