Educare oggi la coscienza morale
di Sara Melchiori
Settant'anni di vita, interamente dedicata e impegnata nello studio e nell'insegnamento della teologia morale. È questa la parabola di mons. Giuseppe Trentin, presbitero della diocesi di Padova, docente di teologia morale, per anni direttore del ciclo istituzionale e della licenza della Facoltà teologica e direttore della rivista Studia Patavina dal 2001 al 2010.
A mons. Trentin la Facoltà teologica del Triveneto ha dedicato, lo scorso gennaio, una mattinata di studio e non a caso, per onorare i suoi 70 anni, è stata scelta una dissertazione sul tema dell'educazione della coscienza morale, in linea anche con gli orientamenti della Cei per i prossimi dieci anni. Ospite il prof. Cataldo Zuccaro, assistente nazionale del Movimento ecclesiale di impegno culturale, che ha declinato il tema dell'educazione alla coscienza in un percorso tra la coscienza indigente, pellegrina, in dialogo e… impolverata!
Parlare di educazione alla coscienza morale e più precisamente cristiana - precisa Zuccaro - non può prescindere da alcune premesse importanti.
Educare a riconoscere il bisogno
In primo luogo c'è la dimensione dell'antropologia dell'indigenza, ossia la consapevolezza che «la cifra del bisogno è scritta dentro l'essere dell'uomo, che pertanto non basta a se stesso» e, di conseguenza, «la dimensione relazionale è costitutiva dell'uomo, aperto, quasi in stato di stand by, pronto ad accogliere ciò di cui ha bisogno per essere». L'imprescindibilità del bisogno durante tutta la vita dell'uomo presume quindi la «decisione del progetto etico fondamentale», ossia la scelta fra un'etica del dono in cui si accoglie il bisogno dell'altro, come occasione per offrirgli il dono da lui atteso, e un'etica del possesso per cui si opta invece alla ricerca della debolezza dell'altro per potersene impossessare.
Sul piano teologico ciò evidenzia come la risposta radicale al bisogno di essere dell'uomo sia rappresentata dal dono di Gesù. «Di conseguenza, la teologia morale si può comprende come sequela Christi, oltrepassando così la riduzione della teologia morale all'etica filosofica, ma anche l'estraneità tra le due discipline».
Partendo da questi presupposti, nell'ambito di un'educazione alla coscienza morale cristiana diviene prioritario «educare a riconoscere il bisogno" (dimensione indigente della coscienza), che, in una prospettiva teologica e nell'inscindibile connessione tra teologia e antropologia (sottolineata dai documenti del magistero dal Vaticano II ad oggi), significa recuperare il bisogno di Dio. Infatti, commenta il teologo: «La crisi antropologica in cui ci troviamo è in realtà una crisi teologica, anzi cristologica. Il nostro mondo soffre il deficit spirituale dell'abbandono di Dio e dello svuotamento delle religioni».
Per colmare questa "indigenza" di Dio dell'uomo e della coscienza, i cristiani hanno bisogno di ritrovare «il rapporto personale con Cristo e in particolare la preghiera», che non va a sostituire la decisione morale della coscienza, né offre risposte immediate ai problemi proposti dalla società in cui si vive, ma «si pone come itinerario formativo della coscienza morale del cristiano, nel senso che esprime la consapevolezza della dipendenza radicale dell'orante con Dio. Di conseguenza, l'orante si dispone e si arrende ad accogliere e ad approfondire la presenza dell'intenzionalità del Maestro in lui, operando nello Spirito Santo una progressiva trasformazione della coscienza».
Nella preghiera si instaura un rapporto vitale e, nel raccontare se stessi a Dio, si narra anche Dio a se stessi, «educandosi così a prestare maggiore attenzione alla sua presenza, assumendo come propri i suoi parametri di valutazione dell'esistenza e della storia».
In questo senso, la preghiera educa il cristiano - sul piano morale - ad assumere «l'obbedienza alla volontà di Cristo» come criterio guida del suo agire nel mondo. Dalla decisione "sulla" fede, ossia sull'accoglienza dell'amore di Gesù Cristo, deriva poi una serie di decisioni "di" fede, che divengono un aiuto pratico nel decidere verso il bene, cioè in coerenza con la volontà di Cristo.
La centralità della coscienza
Dal bisogno di Dio al bisogno e all'accettazione dell'altro, il passo è breve. Ma - come anticipato - il bisogno comporta relazione e quindi «il giudizio morale della coscienza cristiana, per essere oggettivo e non arbitrario, deve essere necessariamente intersoggettivo, ossia deve includere il confronto con gli altri». La soggettività esclusiva dell'individuo nel decidere ciò che è bene o male (senza esimersi dalla propria responsabilità personale) non significa perciò isolamento e chiusura della coscienza o addirittura presunzione di possedere una verità che non si confronti con gli altri.
«Formare la coscienza morale - afferma Cataldo Zuccaro - significa pertanto educare al dialogo» non per convincere l'altro sul proprio punto di vista, ma nei termini di simpatia, amicizia e compagnia di vita. Ecco allora, superando il rischio del relativismo morale e dell'indifferenza (che nega ogni differenza da sé e apre la strada a forme di integralismo), la necessità di un atteggiamento tollerante e di accoglienza della diversità che è presupposto dell'accettazione piena dell'altro. L'educazione della coscienza morale cristiana non può chiudersi in se stessa e comporta la formazione alla differenza contro ogni forma di indifferenza.
Un secondo aspetto riguarda la centralità della coscienza nella vita morale e quindi nel rapporto tra libertà e legge/norma. La coscienza, all'interno della vita morale - spiega Cataldo Zuccaro, utilizzando una metafora tratta dal mondo dello spettacolo - ha un ruolo di "regia" e ha cioè il compito di assumere tutto quanto accade per dare una certa idea agli spettatori. «Pertanto, per giungere alla determinazione della verità morale obiettiva, la coscienza deve impegnarsi per raccogliere tutte le informazioni utili al raggiungimento del suo scopo». Ma è poi solo la coscienza - e non le informazioni o la loro somma - che determinano l'agire morale. «Affermare la centralità della coscienza (che in questo contesto Zuccaro aggettiva come "pellegrina") - per la vita morale non è un modo per sottovalutare il resto, ma per sottolineare la necessità e il dovere di una seria educazione».
Un compito tanto più complesso in un'epoca caratterizzata dall'eclissi della verità, in cui la logica della ricerca del consenso prevale sulla ricerca della verità e del giusto (bene), e in cui si fa spazio il principio di una libertà individualista, concepita al di là di ogni relazione.
In questo contesto anche l'educazione alla coscienza è chiamata a perlustrare strade nuove per ricentrare l'attenzione sulla ricerca della verità, ricordando che «la verità morale è sempre e comunque storicamente interpretata e formulata nel tempo, dentro determinati parametri culturali e linguistici». Non si può pensare che qualcuno - compresa la chiesa - possa possedere la verità come Gesù; al di fuori di lui (che è la Verità), la verità si dà solo in forma storica, e quindi interpretabile. Ciò non sminuisce l'autenticità della verità, né il carisma donato alla chiesa da Cristo per interpretare la verità morale, ma sottolinea «la natura "asintotica" della verità morale che nessuno può esaurire, sebbene sia storicamente possibile crescere sempre più nella sua comprensione», evitando, da un lato, il rischio di schiacciare la verità assoluta sul piano della contingenza storica e, dall'altro, di negare, relativisticamente, ogni carattere assoluto della verità morale.
In riferimento all'agire morale sia la libertà che le norme non sono quindi assoluti, ma sono funzionali al valore di bene. L'agire virtuoso non è dettato dall'abitudine ma dal perseguimento dei valori sottesi all'agire stesso. Di conseguenza sul piano formativo l'educazione alla coscienza ha come obiettivo l'accoglienza del valore e non il cieco rispetto della norma.
La dimensione ecclesiale della coscienza
C'è infine l'educazione alla dimensione ecclesiale della coscienza morale. Il magistero ha un carisma che gli deriva da Cristo. Ciò implica che, all'interno della comunità ecclesiale, non basta che i fedeli siano in posizione passiva e o si limitino ad essere al suo interno e ad attingere le informazioni opportune secondo un'autentica coscienza, ma devono attivamente contribuire alla ricchezza e all'essere della comunità ecclesiale stessa. Il fedele è un soggetto attivo nei confronti della tradizione di Gesù e «formare la coscienza significa radicarla sempre più dentro la vivente tradizione della memoria di Gesù e sentire la responsabilità della ricerca e della verità morale in prima persona, continuando ad approfondirne l'inesauribile ricchezza».
Il parametro per un agire giusto diventa, quindi, un'obbedienza della vita alla parola di Dio che va oltre un assenso puramente giuridico o formale, ma affonda le radici nell'appello alla volontà di Dio. Ciò non toglie che si possano verificare conflitti tra la coscienza del fedele e l'autorità del magistero in campo morale, né che consenso e obbedienza siano sempre sinonimi. Ma «l'obiettivo principale da perseguire è arrendersi alla verità morale conosciuta tramite la coscienza e riconosciuta all'interno della tradizione viva della chiesa che custodisce il respiro di Cristo. Formare la coscienza non è eliminare ad ogni costo la possibilità del dissenso per renderla consenziente, né enfatizzare il grado di autonomia del singolo fedele».
Elemento di sintesi del percorso di educazione della coscienza rimane il discernimento morale, che permette di distinguere ciò che è assoluto da ciò che è relativo circa i valori e interpella il cristiano nella storia. «Il discepolo dovrà decidere all'interno delle situazioni spesso aggrovigliate quale sia per lui l'azione che meglio esprime la fedeltà all'intenzionalità del Maestro e alla propria storia».
Certo - conclude Cataldo Zuccaro, richiamando l'attenzione su un'opportuna e fruttuosa riflessione del «rapporto tra coscienza e compromesso etico»-, quello della morale è un terreno accidentato, sempre condizionato dalla storia personale e dalla complessità del reale, pertanto «non basta la solenne proclamazione del valore se poi non si trovano le mediazioni concrete per attuarlo nella storia».
(da Settimana, n. 7, febbraio 2011)