«Uomo dei dolori»
Il quarto carme del Servo di Jahvè
(Is 52,13-53,12)
di Pierantonio Tremolada
Non v'è testo dell'Antico Testamento forse più importante e più enigmatico del quarto carme del servo di JHWH (Is 52,13-53,12). Già estremamente interessante in se stesso, questo testo costituisce per il Nuovo Testamento un punto di riferimento essenziale e si presenta come una delle profezie più affascinanti e più sconcertanti.[i] Vorremmo presentare questo brano offrendo prima qualche indicazione circa la sua struttura letteraria e poi entrando nel merito del contenuto, attraverso un'analisi che cerca di dare ampio spazio agli interrogativi emergenti dal testo.
Struttura letteraria di Is 52,13-53,12
L'unità letteraria di Is 52,13-53,12 appare ben configurata. L'individuazione degli estremi non pone difficoltà. Lo stacco tra Is 52,12 e Is 52,13 è evidente e lo stesso si deve dire per il passaggio da Is 53,12 a Is 53,13. Ad una prima lettura, il testo si presenta suddiviso in tre momenti: dapprima una dichiarazione di JHWH, poi l'intervento di un soggetto non ben identificato, apparentemente un gruppo, ed infine un nuovo intervento diretto di JHWH. La determinazione precisa delle parti letterarie corrispondenti ai tre momenti e l'identificazione dei vari soggetti è resa però faticosa da elementi testuali piuttosto problematici, che meritano di essere segnalati.
In 52,13 abbiamo senza dubbio una prima dichiarazione di JHWH. Lo dimostra la presenza dell'espressione «mio servo», che riappare in 53,11. Si coglie così subito un primo elemento interessante, cioè la presenza di un'inclusione creata all'interno del carme da due dichiarazioni di JHWH, l'una all'inizio e l'altra alla fine.
Tra le due dichiarazioni di JHWH si inserisce una sezione che a prima vista sembra consistere nella testimonianza di un gruppo. In 53,1-6 abbiamo infatti la ricorrenza della prima persona plurale. Ma questi noi vanno considerati il soggetto dell'intera unità centrale? Tale unità è infatti più ampia di 53,1-6. Sicuramente essa si estende sin là dove inizia il secondo intervento di JHWH, cioè fino a 53,llc. Ma non è da escludere, anzi è molto probabile, che l'unità inizi prima di Is 53,1 e precisamente in 52,14. Tutto dipende da come si intende l'espressione ebraica 'aleka di 52,14. Se la si rispetta,[ii] allora non si ha altra possibilità se non quella di tradurre: «Come molti si sbigottirono a tuo riguardo», intendendo queste parole rivolte a JHWH stesso da un soggetto non identificato, che potrebbero già essere i noi di 53,1ss, ma non necessariamente, poiché qui non ricorre ancora la prima persona plurale. Se invece la si emenda[iii] allora la traduzione sarebbe: «Come molti si sbigottirono a suo riguardo». In questo caso si tratterebbe ancora della parola di JHWH sul servo e di conseguenza la dichiarazione di JHWH si estenderebbe fino a 52,15.
Sempre a proposito di questa sezione centrale, oltre al fatto che l'uso della prima persona plurale cessa con 53,6, si deve notare che in 53,8d abbiamo l'espressione mio popolo, la quale mal si accorderebbe con un soggetto plurale. È vero che non è necessario il noi esplicito per considerare questi versetti la continuazione della testimonianza precedente, ma sarebbe certo più logico e meno problematico attribuire queste parole ad un soggetto individuale. A nostro giudizio, si potrebbe avanzare l'ipotesi che a pronunziare queste parole sia il profeta e che a lui si possano attribuire anche le parole di 52,14-15. Egli sarebbe soggetto distinto dai noi ma anche unito a loro, parte del gruppo ma voce particolare.[iv] Avremmo così all'interno del carme il succedersi degli interventi di tre soggetti: JHWH stesso, il suo profeta e i noi che si stringono intorno al profeta. Questi interventi, naturalmente con autorità differente e con punti di vista specifici, trattano di un argomento comune, che è costituito appunto dalla persona e dall'opera del servo. Ciò è letterariamente possibile e sarebbe per altro avvallato dal confronto con la versione dei LXX, nella quale il profeta ha un ruolo ancora più evidente.
In conclusione, dal punto di vista della struttura letteraria il nostro brano si presenta suddiviso in tre parti: una prima dichiarazione di JHWH, l'intervento di un gruppo e una seconda dichiarazione di JHWH. La strutturazione più condivisa dagli autori identifica la prima dichiarazione con Is 52,12-15, il discorso del gruppo con 53,1-11b e la seconda dichiarazione con 53,11c-12. Non è da escludere, tuttavia, a nostro giudizio, una suddivisione più articolata di questo tipo:
A. PRIMA DICHIARAZIONE DI JHWH: Is 52,13
B. TESTIMONIANZA DEL PROFETA E DEI NOI CREDENTI: Is 52,14-53,11b
a. testimonianza e annuncio del profeta: 52,14-15
b. testimonianza dei noi credenti: 53,1-6
a1. testimonianza del profeta: 53,7-11b;
A1. SECONDA DICHIARAZIONE DI JHWH: 53,11c-12.
La prima dichiarazione di JHWH (Is 52,13)
Il carme di Is 52,13-53,12 prende avvio con una prima dichiarazione di JHWH (52,13). E una dichiarazione improvvisa, breve, solenne. Non è rivolta esplicitamente ad alcun interlocutore. Riguarda una persona che JHWH stesso definisce «il mio servo». Viene così subito presentato il soggetto di tutto il carme. Il nucleo della dichiarazione di Is 52,13 è costituito dall'annuncio per il servo di un destino di esaltazione e di glorificazione, annuncio che è espresso mediante quattro verbi presenti nel versetto, aventi valore di futuro («avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato»). In che cosa consista propriamente tale glorificazione deve essere ancora spiegato. Occorrerà attendere in particolare l'ultima dichiarazione del carme: Is 53,11-12 parlerà esplicitamente di un intervento di JHWH e descriverà la sua opera a favore del servo, evidenziandone in particolare l'efficacia salvifica a beneficio della moltitudine.
L'annuncio del profeta (52,14-15)
A partire da 52,14 si accenna alla concreta vicenda del servo. Tenendo conto delle osservazioni fatte circa la struttura del brano, fissiamo la seguente traduzione: «Come molti si sbigottirono a tuo (= di JHWH) riguardo, tanto sfigurato rispetto a quello di un uomo era il suo (= del servo) aspetto e la sua apparenza rispetto a quella dei figli degli uomini, così egli (= il servo) sorprenderà molte nazioni; su di lui i re si chiuderanno la bocca, poiché avranno visto qualcosa di inenarrabile e avranno considerato qualcosa di inaudito».
Alla dichiarazione di JHWH fa dunque seguito, quasi suscitata da essa, la dichiarazione di un soggetto ancora non identificato. Essa assume la forma della testimonianza, poiché evoca eventi trascorsi, ma sembra avere anche una valenza profetica, poiché annuncia eventi futuri. Una simile constatazione rende problematica l'attribuzione di queste parole ai noi. Se aggiungiamo che queste parole seguono immediatamente la dichiarazione di JHWH e si rivolgono a lui in seconda persona, sembra ancora più verosimile pensare che qui a parlare sia il profeta di JHWH.
Entrando più specificamente nel merito del contenuto, si noterà come 52,1415 dapprima rammenti un'esperienza fatta in precedenza da molti (52,14a) e poi ne annunci un'altra che faranno molte nazioni e molti re (52,15ab).
La prima esperienza è descritta molto concisamente: si dice che molti, per logica interna persone vicine, ebbero modo di osservare l'esistenza del servo e che la sua condizione, tanto dissimile a quella di un uomo, suscitò in loro uno sconcerto di carattere anche religioso («Si sbigottirono a tuo riguardo»). Come poteva JHWH permettere che il suo servo versasse in un simile stato? O forse quella del servo era solo una giustizia apparente? Cogliamo qui una prima allusione a quel giudizio sul servo, nel senso lato della valutazione, che vede protagonisti soggetti a lui non ostili. Il testo non dice ancora quale sia in concreto la condizione del servo che suscita sbigottimento in quanti lo vedono. Che cosa gli è dunque capitato?
La seconda esperienza, annunciata per il futuro, vede come soggetto molte nazioni e re (52,15). L'orizzonte qui si allarga. Si tratta questa volta di persone non vicine, anzi, lontane per eccellenza (le nazioni) e che hanno autorità sui popoli (i re). Di loro si dice che rimarranno esterefatti ed ammutoliranno di stupore, poiché vedranno qualcosa che mai fu raccontato e di cui mai si sentì dire. Il lettore si interroga: che tipo di stupore è questo? Sorge dalla paura o dalla gratitudine, dall'incertezza o dall'ammirazione? Ma soprattutto, che cosa è mai questo evento inenarrabile e inaudito che susciterà un simile stato d'animo?
La testimonianza dei «noi» (53,1-6)
In 53,1 prende la parola un gruppo. Si tratta di un gruppo anonimo, la cui identità può essere solo dedotta dalle parole stesse che qui pronuncia. La frase di 53,1 è piuttosto oscura. È certo che il nostro versetto attesta una presa di coscienza da parte di questi soggetti e che essa assume la forma della testimonianza. Costoro «hanno creduto» e a loro «è stato manifestato il braccio del Signore». Quanto segue chiarisce i termini e i contenuti di questa fede. In 53,2-6 si rileva un alternarsi costante tra lui e noi, tra il resoconto di avvenimenti riguardanti il servo e la descrizione di atteggiamenti assunti nei suoi confronti da quanti stanno ora parlando.
La sequenza delle frasi che descrivono la condizione del servo si presenta così: «crebbe alla sua presenza come un germoglio come una radice nella steppa» (53,2ab); «non aveva aspetto né bellezza ... » (53,2c); «disprezzato ed evitato dalla gente, uomo di dolori, di fronte al quale ci si copre la faccia» (53,3ac). La reazione dei noi è descritta attraverso le espressioni seguenti: «non {...} siamo stati attratti da lui» (53,2d); «non lo prendemmo in considerazione» (53,3d); «lo considerammo un contaminato, colpito da Dio e umiliato» (53,4cd).
Se si confrontano le frasi che descrivono la vicenda del servo con quelle che riferiscono del comportamento dei noi si ha la netta impressione di un crescendo. Dapprima, per il servo, un'esistenza priva di rilievo, che si sviluppa come quella di un germoglio su un terreno assolutamente arido. Ad essa corrisponde, sul versante dei noi, l'assenza totale di qualsiasi considerazione. Poi l'irruzione della sofferenza, che trasforma il servo in un uomo sfigurato. Egli ora attira l'attenzione ma per suscitare orrore e disprezzo. Così, alla mancanza di considerazione si sostituisce la convinzione della sua colpevolezza, della giusta maledizione di Dio.[v] Si tratta di un vero e proprio giudizio, che rispecchia la valutazione di un primo momento e che ora viene ricordato a partire da un nuovo punto di vista.
In 53,4-6 viene illustrata la nuova visione delle cose da parte dei noi e nel contempo viene offerta la chiave di lettura sia dell'umiltà del servo che della sua sconcertante sofferenza. Le espressioni che troviamo in questi versetti acquistano grande valore. Esse mettono in luce essenzialmente due convinzioni fondamentali, che solo successivamente si imposero a quanti ora stanno parlando: la prima, che il servo soffrì - come costoro affermano - «per tutti noi»; la seconda, che egli soffrì perché YHWH stesso lo volle. La prima di queste verità è ampiamente sviluppata in 53,2-5 («egli sopportò le nostre sofferenze e si fece carico dei nostri dolori»: 53,4; «fu trafitto a causa delle nostre malvagità, schiacciato a causa delle nostre colpe»: 53,5ab; «su di lui il castigo della nostra pace, con le sue ferite siamo stati guariti»: 53,5cd), mentre la seconda è espressa in 53,6c attraverso la frase: «YHWH ha fatto ricadere su lui l'iniquità di noi tutti».
È utile rendere espliciti a questo punto due interrogativi. Il primo riguarda l'identità di quei noi che sono stati beneficati dalla sofferenza del servo: di quale gruppo si tratta? Il secondo interrogativo riguarda la misteriosa valenza salvifica del soffrire del servo: come può la sofferenza di uno solo produrre conseguenze salutari per molti altri, recando benefici ad una moltitudine (53,6)?
Se si tenta di rispondere alla prima domanda, la mente corre immediatamente ai ripetuti annunci profetici riguardanti la riunificazione di Israele.[vi] È dunque legittimo pensare che la sofferenza del servo abbia un effetto salvifico per Israele e che questi noi appartengano al popolo dell'elezione? La risposta deve essere sicuramente affermativa. Ma non può darsi che questi noi rappresentino i soggetti consapevoli di una salvezza che abbraccia tutta l'umanità? Alla luce dell'intera sezione del Deutero-Isaia, noi pensiamo che sia proprio così. In Is 54, IO e soprattutto in 55,3 si parla di un'alleanza che assume dimensioni cosmiche e universali, chiamando in causa tutte le nazioni e la stessa creazione.[vii] Si stabilisce così un nesso suggestivo e misterioso tra il servo, Israele, le nazioni e il creato. La sofferenza del servo viene a stagliarsi sullo sfondo di un orizzonte i cui confini sono quelli del mondo stesso.
Quanto al secondo interrogativo, riguardante gli effetti salvifici della sofferenza del servo sulla moltitudine, va subito detto che tale enigma semplicemente si impone e non viene affatto risolto. Come può infatti la sofferenza di uno solo salvare una moltitudine? Questo enigma cresce con il procedere della lettura del nostro brano. Si deve però segnalare che la frase di Is 53,6c («YHWH fece ricadere su di lui l'iniquità di tutti noi»), dimostra che la sofferenza del servo e i benefici ad essa connessi rispondono ad una specifica intenzione di JHWH, alla quale poi 53,12ab ricondurrà anche l'opera di glorificazione. Si prepara così l'affermazione di 53,10 sul disegno di JHWH.
La testimonianza del profeta (53,7-11b)
Con 53,7 si riprende a raccontare la vicenda del servo. Lo stacco rispetto a 53,6 è notevole. Cessa l'alternanza lui-noi, scompare anche ogni accenno al giudizio espresso dai noi. Fino a 53,9 la descrizione degli eventi è incalzante e molto accurata. Vengono alla luce tre dati nuovi e sorprendenti: primo, la sofferenza del servo si presenta come una sofferenza inflitta a lui per mano di uomini; secondo, essa culmina nella sua uccisione violenta e ingiusta; terzo, questa azione viene accettata dal servo senza reagire, sebbene egli sia assolutamente innocente.
La sequenza dei fatti è così descritta: «fu maltrattato» (53,7a); «da un arresto e da un giudizio fu tolto di mezzo» (53,8a); «fu strappato dalla terra dei vivi» (53,8c); «gli diedero sepoltura con gli empi e una tomba con un ricco» (53,9ab ).[viii] Queste parole permettono di capire meglio quanto in 1s 53,12d verrà espresso mediante la frase: «Fu annoverato tra gli empi». Possiamo affermare che 53,7-9 descrive con ampiezza quanto 53,12d riassume in una frase. Quest'ultima frase ha una duplice risonanza: da un lato allude, come in precedenza notato, alla valutazione dei vicini, cioè al loro giudizio nei confronti della sofferenza del servo (53,3-4), dall'altro, e più direttamente, essa si riferisce all'intervento attivo e cruento compiuto contro di lui. Che egli sia stato annoverato tra iniqui significa perciò che inizialmente i suoi vicini lo considerarono in qualche modo colpevole di fronte a Dio e perciò da lui castigato, ma significa anche e soprattutto che alcuni lo trattarono come si tratta un iniquo, condannandolo, uccidendolo e seppellendolo alla maniera di un reo.
Che un tale modo di agire sia da considerare assolutamente ingiusto è già segnalato in 53,8. Ma la cosa diviene esplicita in 53,9cd, dove si incontra la frase: «sebbene non avesse commesso crimini e non vi fosse inganno nella sua bocca» (53,9cd). Tali parole pongono a questo punto il lettore di fronte a due interrogativi non più rinviabili: anzitutto, chi sono costoro che condannano e uccidono il servo di JHWH? Gente del suo stesso popolo o stranieri? In secondo luogo, perché mai essi agiscono così? Che cosa li ha indotti ad uccidere un giusto?
Un'indicazione per una possibile risposta sembra venire da 53,8d. Si afferma infatti: «per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte». Ecco dunque che cosa li ha indotti a ucciderlo: la loro iniquità. Ma come spiegare il nesso causale tra l'agire malvagio del popolo di Dio e la morte del servo? Si può pensare ad una causalità generica, ma si può anche avanzare l'ipotesi che tale causalità acquisti una valenza precisa proprio alla luce di 53,7-9. Essa potrebbe significare che il servo subì l'agire malvagio del suo popolo, cioè dei suoi stessi fratelli israeliti, i quali lo condannarono ingiustamente e lo uccisero. Del resto, che qui si ipotizzi un'azione violenta contro il servo compiuta da persone che non appartengono al suo popolo non è per nulla suggerito dal contesto; per contro, l'agire colpevole degli israeliti nei confronti degli inviati di Dio, espressione evidente del suo peccato, è uno dei grandi motivi che percorre l'intera tradizione biblica.[ix]
Se è così, ci troveremmo di fronte ad una parola dalla chiara tonalità profetica, cioè alla amara constatazione del peccato del popolo eletto, seppure ormai considerato sullo sfondo del disegno salvifico di JHWH. Proprio questo induce a pensare che qui a parlare non siano più i noi ma piuttosto il profeta. Costui. nella prospettiva che gli è propria, legge gli eventi in profondità, riconosce e denuncia la colpa di Israele, ma soprattutto annuncia l'opera salvifica di JHWH.
Rimane aperta ancora la seconda domanda: perché dunque costoro agirono così? Come poterono compiere una simile clamorosa ingiustizia? La risposta è di nuovo suggerita dalla stessa frase di 53,8d: cioè avvenne a causa dell'«iniquità». Si alluderebbe qui ad una realtà drammatica e misteriosa quella della malvagità umana, che non risparmia neppure Israele. Anche il popolo dell'elezione è peccatore e proprio gli avvenimenti riguardanti il servo di JHWH ne forniscono la prova più eloquente. Se rileggiamo in questa luce 53,1-6, il contenuto di questi versetti ci diviene molto più chiaro: la vicenda del servo fu l'occasione che permise ai noi, cioè agli israeliti che si stringono intorno al profeta e che ora guardano nella fede quanto accadde, di riconoscere con dolore e pentimento la loro radicale iniquità, così drammaticamente reale nonostante 1'elezione, iniquità che costituisce il vero motivo della loro disgregazione, del procedere di ciascuno per vie proprie, della mancanza di pace, della corruzione del proprio essere (53,5-6). La morte del servo rivelò tutto questo proprio nel momento in cui ottenne come effetto il risanamento radicale (53,5) .
La dichiarazione finale di JHWH (Is 53,l1c-12)
Tutto ciò getta luce sull'interpretazione dei versetti finali del nostro carme, coincidenti con la seconda dichiarazione di JHWH. Il punto essenziale ci sembra questo: il passo di 53,8d permette di cogliere meglio il senso dell'ironia presente in 53,11c-12e. Potremmo esplicitarlo, a questo punto, nel modo seguente: quanti annoverarono il servo di JHWH tra gli iniqui (53,12d), condannandolo, uccidendo lo e seppellendolo come un colpevole (53,7-9), in realtà si dimostrarono essi stessi iniqui (53,12f), essendo egli assolutamente innocente (53,6). Costoro non potevano certo sapere che in realtà egli, attraverso l'accettazione di questa morte ingiusta, frutto della loro iniquità (53,8d), si era fatto carico del loro peccato (53,1lcd.12e; cf 53,4ab.5ab), ed era così divenuto intercessore per gli iniqui (53,12f) realizzando per loro la pace, compiendo per loro una radicale purificazione e unificando tutti loro, dispersi su false strade (cf 53,5c-6). Si deve tuttavia di nuovo ribadire che nella dichiarazione di 53,11c-12f l'orizzonte si è allargato: gli iniqui per i quali il servo si fa intercessore (53,12f) non sono più soltanto i membri del popolo eletto, alcuni dei quali lo condannarono e uccisero ingiustamente, bensì una moltitudine, della quale il testo non ci fornisce l'identità precisa, ma che, alla luce del contesto dell'intero quarto carme (cf in particolare 53,15), del contesto dei quattro carmi (cf in particolare 42,6; 49,6) e di quello dell'intera sezione del Deutero-Isaia assume una valenza tendenzialmente universale, unificando il popolo eletto di Israele e l'immensa schiera delle nazioni.
Che tutto ciò risponda ad una intenzionalità divina ed assuma l'aspetto di un vero e proprio disegno è quanto affermato da 53,10. La frase iniziale del versetto (53, 10a) contiene l'espressione «JHWH dispose ... » e quella finale (53,10d) suona, letteralmente, così: «il disegno di JHWH per mezzo suo trionferà». Un disegno certo sconcertante, che unifica morte e glorificazione. Stabilita la connessione tra la morte del servo e l'iniquità della moltitudine nella linea di una solidarietà redentrice, resta ora da chiarire il senso della sua glorificazione. In che cosa consiste precisamente questa sua glorificazione da parte di JHWH? Riguarderà semplicemente il servo o anche altri insieme con lui? Queste domande ci introducono all'ultimo argomento che dobbiamo affrontare, argomento che, come già accaduto, trova in 53,11c-12 il suo culmine, ma che già viene anticipato in 53,10c.11ab.
L'espressione di 53,10c appare al lettore assolutamente sorprendente. Vi si dichiara infatti che il servo «vedrà discendenza» e che «prolungherà i giorni». Si noti: il servo non soltanto avrà discendenza, ma la vedrà. Ciò suppone che la sua esistenza personale non sia conclusa. È quanto afferma la seconda espressione («prolungherà i giorni»). Ma come può il servo «vedere una discendenza» se egli «è stato strappato dalla terra dei vivi» (53,8c), come può «prolungare i giorni» se è stato «sepolto con gli empi» (53,9a)? Inoltre, per quale motivo si viene qui a parlare di una sua discendenza? Perché mai, cioè, il servo dovrebbe avere discendenti? A quale titolo? E chi mai farà parte di discendenza?
In realtà in 53, 10-11b si anticipa quel grande enigma che poi ricomparirà in 53,12ab e al quale abbiamo già accennato: in entrambi i casi si tratta dell'instaurarsi di un misterioso legame tra il servo e un' entità pluripersonale non ben precisata, a cui verrà dato il nome di moltitudine. Tale legame viene espresso in 53,12ab mediante le categorie simboliche dell'eredità e del bottino; in 53,10c vi si alludeva mediante quella della discendenza. È evidente che il passo di 53,12ab riprende quello di 53,10c con un'autorevolezza molto superiore, essendo qui JHWH stesso a parlare. L'intera dichiarazione di 53,11c-12f lascia ben intendere che il servo vedrà una discendenza perché ha accettato una morte cruenta e umiliante in obbedienza al disegno di Dio, cui si è affidato. L'accettazione della morte costituisce dunque il motivo per cui egli ottiene da Dio una discendenza. Quanto poi alla modalità con cui essa si realizza, occorre riconoscere che qui sta appunto l'enigma, poiché le espressioni utilizzate sia in 53,10c che in 12ab fanno necessariamente pensare ad un misterioso sussistere della persona del servo, nonostante la sua morte, e ad una altrettanto misteriosa comunione tra lui e la moltitudine, cioè Israele e le nazioni,[x] che ormai gli appartiene.
Noi riteniamo che questo enigma prepari profeticamente il mistero annunciato nel Nuovo Testamento, cioè il mistero della risurrezione di Gesù, il Messia crocifisso.
Targum di Is 52,13-53,12
52
13 «Ecco, il mio servo, il Messia, prospererà, sarà esaltato, diverrà grande e potente.
14 Come la casa d'Israele ha sperato in lui molti giorni quando il suo apparire era offuscato tra i popoli e il suo splendore era meno di quello dei figli degli uomini, 15 così egli disperderà molte genti; per causa sua i re rimarranno silenziosi, si metteranno la mano alla bocca, perché vedranno ciò che non fu mai detto loro e scopriranno ciò che mai udirono.
53
1 Chi ha creduto a questo nostro messaggio? A chi è stata così rivelata la forza del potente braccio del Signore?
2 E i giusti saranno grandi davanti a lui; anzi, come rami germoglianti e come un albero mette fuori le radici presso rivoli d'acqua, così cresceranno le generazioni benedette nella terra che abbisognano di lui. Il suo aspetto non era come quello delle cose del mondo e il timore che incute non è una paura ordinaria; ma il suo splendore sarà così perfetto, che tutti quelli che lo vedranno volgeranno lo sguardo (affascinati) sopra di lui.
3 Allora (egli) sarà disprezzato e cesserà (farà cessare) la gloria di tutti i regni. Essi diverranno deboli e miserabili - ecco: come un uomo di dolore e come uno destinato ai mali, e come se la shekinan (= la presenza gloriosa di Dio) avesse voltato la faccia da noi (che siamo) disprezzati e trascurati. .
4 Allora egli intercederà per le nostre mancanze e per lui saranno perdonati i nostri peccati, benché fossimo considerati distrutti, percossi da JHWH e afflitti.
5 Ma egli costruirà il santuario che fu profanato dalle nostre trasgressioni e abbandonato a causa delle nostre iniquità, e con il suo insegnamento la sua pace si riverserà abbondantemente su di noi, e quando ci raduneremo per ascoltarlo, le nostre colpe saranno perdonate.
6 Noi eravamo tutti dispersi come pecore, ciascuno aveva preso la propria strada per l'esilio; ma fu il volere di JHWH a perdonare le mancanze di tutti noi per cagion sua.
7 Quando prega, egli riceve una risposta e non appena apre la bocca, trova ascolto. I potenti di tra i popoli egli manderà al macello come un agnello, e come una pecora muta davanti ai suoi tosatori, e nessuno aprirà (oserà aprire) bocca e intercedere.
8 Egli condurrà a casa i nostri esuli dalle loro sofferenze e dalla loro punizione. Chi può dire i prodigi che verranno su di noi nei suoi giorni? Poiché egli rimuoverà il dominio delle genti dalla terra di Israele; egli porrà a loro carico i peccati di cui il mio popolo si rese colpevole.
9 Egli consegnerà all'inferno gli empi e alla morte della distruzione (eterna) coloro che si sono arricchiti con il furto, così che quelli che commettono peccato non possano essere preservati e non possano (più oltre) parlare astutamente con la loro bocca.
10 E piacque a JHWH di affinare e purificare il resto del suo popolo al fine di liberare la loro anima dalle colpe. Essi vedranno il regno del loro Messia; avranno molti figli e figlie; vivranno a lungo, e quelli che eseguono la legge di JHWH avranno successo per il suo beneplacito.
11 Dal giogo dei popoli libererà la loro anima; essi vedranno la punizione di quelli che li odiano; saranno saziati del saccheggio dei loro re. Per la sua saggezza assolverà gli innocenti, per prendere molti e farli servi della legge. E intercederà per le loro mancanze.
12 D'ora in poi assegnerò a lui il saccheggio di molti popoli ed egli distribuirà la proprietà di città potenti come bottino, poiché sottopose la sua anima alla morte e condusse i ribelli sotto il vincolo della legge. E intercederà per molte trasgressioni e per lui i ribelli saranno perdonati».
(Traduzione tratta da: J. JEREMIAS, Pais theou, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, Vol. IX, Paideia, Brescia 1982, coll. 377-379).
[i] Benché le citazioni esplicite del nostro testo non siano numerose (cf Lc 22,37; At 8,32-33), il testo di Is 52,13-53,12 si pone senza dubbio sullo sfondo di gran parte del NT. AI riguardo, si veda l'articolo di F. MANZI sul rapporto tra il nostro testo e Fil 2,5-11 proposto in questo numero della rivista. Ci permettiamo anche di segnalare il nostro lavoro di tesi dottorale, nel quale si è cercato di mostrare come il quarto carme del servo di JHWH in un certo senso comandi la narrazione della passione secondo Luca: P. TREMOLADA, «E fu annoverato fra iniqui». Prospettive di lettura della Passione secondo Luca alla luce di Lc 22,37 (Is 53,12d), P.I.B., Roma 1997.
[ii] In verità sembra proprio che non si possa fare diversamente, dal momento che la tradizione del testo ebraico non segnala varianti.
[iii] Come fa la maggior parte degli esegeti contemporanei: cf per es. G. VON RAD, Teologia dell'Antico Testamento, Vol. II, Paideia, Brescia, p. 298; A. PENNA, Isaia, Roma 1957, pp. 528529; J. MCKENZIE, Second Isaiah, New York 1968, p. 129; L. ALONSO SCHÖKEL - J. L. SICRE DIAZ, I Profeti, Borla, Roma 1984, p. 370; P. GRELOT, I canti del servo del Signore. Dalla lettura critica all'ermeneutica, EDB, Bologna 1983. Anche la traduzione italiana CEI legge così. Più incerto è C. WESTERMANN, Isaia, Paideia, Brescia 1978, p. 305.
[iv] Questa distinzione tra servo, profeta e gruppo può essere riconosciuta già in Is 50,10 (cf la nota della Bibbia di Gerusalemme).
[v] Questa presa di posizione è corretta, ortodossa, pia; richiama quella degli amici di Giobbe (cf Gb 8,2-4.20; 11,4-6). La sofferenza era il segno della punizione di Dio e della sua ira (cf C. WESTERMANN, Isaia, pp. 316-317; L. ALONSO SCHÖKEL - J. L. SICRE DIAZ, Profeti, p. 374). La reazione dei noi serve, una volta di più, a sottolineare l'inaudita novità con cui viene superata la legge antichissima della sapienza retributiva: ciò avvicina fortemente il carme al libro di Giobbe. Si coglie qui anche l'eco dei Salmi di lamentazione (per il disprezzo: cf Sal 22,7; 119,2]; per la presa di distanza degli amici: cf Sal 38,12).
[vi] Il motivo della riunificazione di Israele disperso tra le genti ricorre di frequente nel profetismo, particolarmente in quello esilico e post-esilico. Cf Is 56,8; Ger 23,3; 29,14; Ez 11,17; 20,34; 28,25; 36,24; 38,12 ; per il Deutero-Isaia: Is 43,5; 49,5; 52,12; 54,7.
[vii] Nel primo caso si parla di «mia alleanza di pace», nel secondo di «alleanza eterna». Espressioni suggestive. L'orizzonte appare qui ampio.
[viii] La seconda parte di questo versetto è oscura. Per la discussione: cf A. PENNA, Isaia, pp. 535-536.
[ix] Il pensiero espresso qui è in piena sintonia con la tradizione profetica, in particolare quella di Geremia: il profeta è perseguitato dal suo stesso popolo, che lo giudica colpevole e tenta anche di ucciderlo (Ger 26,7-15; 38,1-6). La stessa figura di Mosè, in quanto figura profetica (Dt 18,15), può essere evocata qui, poiché anch'egli fu respinto dai suoi e fortemente contestato: questa sarà la lettura proposta da Stefano in At 7,23-43. Una simile verità trova conferma anche nel Salterio, in cui i giusti subiscono violenza da uomini empi, che normalmente non sono pagani, ma loro stessi fratelli (Sal 3,1ss; 5,9-11; 11,2-3.5; 12,2-3.8-9; 17,6-12; ecc.). Del resto, la storiografia biblica mette ben in luce l'empia condotta di gran parte di Israele durante il periodo monarchico (cf 2 Re 17,7-23): si possono immaginare le sofferenze dei giusti in un periodo come quello. Quanto poi a Sap 2,13-20, è difficile identificare qui gli empi che si accaniscono contro il giusto; stante il nuovo contesto culturale potrebbe trattarsi di ellenisti non ebrei (Sal 2,1-9; 5,4-13), ma non è da escludere che si tratti anche di fratelli israeliti, che hanno abbracciato il pensiero incredulo loro contemporaneo, anzi, Sap 2,12b lascerebbe proprio intendere che si tratta di ebrei.
[x] La moltitudine che costituisce la discendenza del servo non può essere circoscritta al popolo eletto, ma si allarga ad abbracciare anche le nazioni, alle quali del resto il servo sa di essere mandato (Is 42,6; cf 49,6). Va tuttavia sottolineato che la distinzione tra le nazioni e Israele non scompare: lo dimostrano gli stessi due passi di 42,6 e 49,6, dove le due entità socio-teologiche vengono mantenute distinte e lo confermerebbe inoltre, nel quarto carme, la specifica attenzione agli effetti della morte del servo su Israele (53,1-6), il popolo di JHWH (53,8d). Così, Israele si colloca dentro lo scenario della storia e dentro il disegno divino con un proprio ruolo, assolutamente unico.
(da Parole di Vita, n. 5, 1999)