Approcci esegetici al testo della presentazione
(Lc 2,22-40)
di Gérard Rossé
1. Presentazione
La pericope della presentazione di Gesù al tempio appartiene al cosiddetto Vangelo dell'infanzia che mette in parallelo le figure di Giovanni Battista, il futuro Precursore, e di Gesù, il Messia.
Anche se il genere Vite Parallele è ben noto nella letteratura ellenistica[1], la sua applicazione soltanto agli «inizi» dei due protagonisti è piuttosto originale. Questo parallelismo è funzionale: esso permette di esprimere la continuità del disegno divino nella storia della salvezza, e di sottolineare la superiorità di Gesù sul suo Precursore.
Schematicamente:
il precursore |
il messia |
Annuncio angelico (1,5-23) |
Annuncio angelico (1,26-38) |
Visita a Elisabetta (1,39-56) |
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Nascita di Giovanni (1,57-58) |
Nascita di Gesù (2,1 -20) |
Circoncisione e imposizione del nome (1,59-66) |
Circoncisione e imposizione del nome (2,21) |
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Presentazione (2,22-24) |
Cantico di Zaccaria (1,67-79) |
Oracolo di Simeone (2,25-35) |
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Anna (2,36-38.39) |
Sommario (1,80) |
Sommario (2,40) |
La visita di Maria ad Elisabetta (1,39-56) interrompe volutamente il parallelismo, per creare un incontro: l'anticipato incontro del Precursore col Messia attraverso le loro madri.
Luca poi insiste sull'imposizione del nome, Giovanni, dato al Precursore (1,59-66), e amplia con il cantico di Zaccaria (1,67-79). Nel parallelo corrispondente invece, la circoncisione e il nome di Gesù sono evocati brevemente nel v. 21 (con rimando all'ordine dell'angelo: 1,31). Perché questa brevità rispetto alla scena del Precursore? Qual è la funzione di 2,21 ?[2] Letterariamente esso fa da ponte tra il racconto della nascita di Gesù e della presentazione al tempio, e nello stesso tempo salva intenzionalmente il parallelismo con la scena corrispondente di Giovanni Battista; se tuttavia, a differenza di quest'ultima, Luca evoca soltanto brevemente la circoncisione e l'imposizione del nome a Gesù, è perché vuole includere l'episodio successivo della presentazione al tempio in questo parallelismo.
La strategia narrativa del redattore emerge nel v. 22: grazie al rito della purificazione della madre - al quale associa anche Gesù - egli può situare l'intera scena a Gerusalemme e nel tempio, quindi nel centro religioso del giudaismo. La menzione della presentazione del bambino al tempio, a sua volta, porta l'attenzione del lettore su Gesù, e orienta di conseguenza al contenuto del Nunc Dimittis.
Rispetto al racconto parallelo, l'episodio acquista sacralità e ufficialità: questo sfondo scenico di per sé manifesta la superiorità del Messia. E al cantico di Zaccaria risponde la parola di Simeone. Se Zaccaria canta il disegno di Dio su Giovanni nei confronti del Messia, Simeone ringrazia per il disegno divino su Gesù nei confronti dell'umanità.
2. Struttura
L'unità letteraria, chiaramente delimitata dai vv. 22 e 39, è ben situata nella continuità narrativa dopo la scena della nascita di Gesù. L'inclusione è data dalla notizia di spostamento verso e dalla città santa, come pure dal motivo della «legge di Mosè / del Signore» (vv. 22. 39). Il sommario del v. 40 (tema della crescita) conclude l'intero parallelismo col Precursore (1,80).
Il testo stesso si può dividere in tre parti principali:
- Il quadro narrativo introduttivo (vv. 22-24)
- Parte centrale: intervento profetico di Simeone (vv. 25-35)
- Presentazione di Simeone orientata all'incontro col bambino (vv. 25-27)
- Gesto significativo (v. 28) che introduce
- l'oracolo di Simeone a) canto di ringraziamento in tre strofe:
- v. 29
- vv. 30-31
- v.32
b) transizione (v. 33)
c) gesto di benedizione (v. 34a) che introduce
d) l'oracolo profetico (vv. 34b-35)
- Intervento di Anna (vv. 36-38)
3. Quadro narrativo conclusivo (v. 39).
La parte narrativa (vv. 22-24.39) inquadra l'intervento di Simeone che costituisce la parte centrale. Nella costruzione dell'insieme, l'arrivo di Anna può sembrare superfluo, essendo stato detto tutto da Simeone. In realtà, la sua presenza non è inutile: ella svolge il ruolo di secondo testimone, portato da Dio stesso, per confermare la testimonianza di Simeone sul bambino (cf Dt 19,15). Non dimentichiamo inoltre che Luca accosta volentieri nella sua opera una figura femminile a quella maschile.
3. Storia della tradizione e della redazione
Come succede regolarmente per l'opera lucana (in particolare per il Vangelo dell'infanzia e per gli Atti), quando non si conoscono le fonti utilizzate, non è più possibile definire bene la delimitazione e la consistenza delle tradizioni, perché la mano del redattore si fa sentire ovunque. Non mancano tentativi e ipotesi di soluzione[3], ma nessuna convince. E l'esegeta C.F. Evans è disposto ad accettare possibilità estreme: «Mentre non si può escludere che Luca abbia scritto la storia, il forte sapore semitico suggerisce che egli riprenda e pubblichi una fonte scritta...»[4].
Anche se Luca ha potuto attingere a qualche tradizione o ricordo[5] proveniente dall'ambiente dei «poveri di JHWH» della comunità di Gerusalemme, ritengo che l’apporto redazionale sia predominante.
Nella parte narrativa (vv. 22-24), Luca dimostra la sua abituale nescenza in materia di rituale giudaico. Come scrive R.E. Brown a proposito di questi versetti: «II risultato è una strana combinazione di una conoscenza generale del giudaismo con una conoscenza imprecisa dei particolari».[6] Infatti la purificazione concerne soltanto la madre e non il bambino[7]. Luca poi passa subito ad un altro rito: la presentazione (consacrazione) del neonato a JHWH nel tempio, rito che non esisteva più, mentre omette quello del riscatto del primogenito, sempre attuale (Nm 8,14-16), che però si poteva compiere dovunque senza dover recarsi nella Città santa[8]. Si ha l'impressione che il redattore manipoli diversi riti al fine di far giungere Gesù al tempio di Gerusalemme e provocare l’incontro con Simeone e Anna.
Nella stessa linea - e quindi redazionale - è il tema della fedeltà alla Legge, sottolineato nei vv. 22.23.24 e che corrisponde bene alla visione lucana, tema in relazione intenzionale con l'agire dello Spirito santo - altro motivo prediletto dall'autore - che domina invece nei vv. 25-27 (3 volte): l'Israele fedele riceve la manifestazione dello Spirito in connessione con la venuta del Messia. «Legge e Spirito si contrappongono e nello stesso tempo si compenetrano - come l'alleanza antica (e il vecchio Simeone) e la nuova alleanza (e il piccolo bambino)»[9].
A differenza del Magnificat e del Benedictus, il Nunc Dimittis non sembra risalire ad una tradizione preesistente. L'inno appare costruito su misura, in quanto è adattato alla vecchiaia di Simeone e al contesto: l'intento è di riaffermare l'identità e la funzione del Messia, esposte in Lc 1-2, in prospettiva universalista[10].
La seconda profezia di Simeone (vv. 34b-35) è da situare sullo stesso livello redazionale? La risposta, se c'è, è secondaria. Importa infatti una lettura sincronica dei vv. 29-35 per capire la relazione tra la prima e la seconda parte dell'intervento di Simeone. È questa relazione che metterà in luce l'intenzione dell'autore sacro.
4. La composizione
La composizione dell'insieme risale al redattore. Egli descrive l’incontro tra Gesù e il vecchio Simeone secondo un modello letterario che utilizzerà anche nel racconto dell'apparizione del Risorto a Saulo in At 9,1-19 (incontro tra Saulo e Anania) e, in modo più complesso, nell'incontro tra Pietro e il centurione Cornelio (At 10). In due quadri successivi, l'autore presenta il personaggio e la sua situazione. In ogni quadro si trova l'elemento - normalmente una visione - che creerà poi l’incontro tra i due protagonisti, che risulta voluto da Dio. Nel nostro caso, chi muove la santa famiglia verso Gerusalemme e il tempio è l'obbedienza alla Legge di Mosè. Lo Spirito santo, da parte sua, spinge Simeone verso il tempio. L'incontro tra il vecchio Simeone e il bambino è dunque stato voluto e guidato da Dio... e dalla fedeltà alla sua volontà[11].
Possiamo ora rivolgere l'attenzione al cantico stesso.
5. Analisi del testo: Lc 2,29-35
5.1. Prima strofa: v. 29
Simeone rivolge a Dio una preghiera di lode[12], che costituisce una sorta di risposta al v. 26: si è compiuto ciò che lo Spirito santo gli aveva promesso, di vedere il Messia prima di morire.
Simeone si esprime nella lingua dei LXX[13], caratteristica del vangelo dell'infanzia e riprende concetti già presenti nei canti del Magnificat e del Benedictus[14].
Il versetto inizia con l'avverbio νῦν messo in posizione enfatica; esso acquista valenza storico-salvifica: la venuta del Messia inaugura i tempi della salvezza,
Simeone si pone dinanzi a Dio in rapporto di servo a padrone; l'idea tuttavia va al di là di una relazione giuridica: essa indica la totale dipendenza dal Signore del mondo al quale Simeone è stato fedele durante tutta la sua esistenza[15]. A Dio il servo chiede di essere congedato. L'immagine può essere variamente letta: come domanda dello schiavo che chiede di essere dimesso dal lavoro per andare in riposo; o della sentinella che, dopo un lungo turno di vigilanza, vuole ritirarsi. Comunque Simeone aspetta la morte non più soltanto come un andare presso i padri (cf Gn 15,15), ma con la serenità di una conclusione vissuta alla luce della pace messianica.
In filigrana, attraverso il vecchio e fedele giudeo Simeone, si intravede il popolo della Promessa che vede compiute le sue attese, e quindi terminata la sua funzione preparatoria nella storia della salvezza.
5.2. Seconda strofa: vv. 30-31
Con un ὃτι[16] viene introdotto il motivo della gratitudine di Simeone espressa nel versetto antecedente: egli è testimone della salvezza[17] giunta con la venuta del Messia. «Raramente è così chiaro come qua, che la Cristologia di Luca (τòν ÷ρéóôòí κυρίου: v. 26) è soprattutto Soteriologia (τò σωτὴριòν σου): v. 30)»[18].
La proposizione è formulata sullo sfondo del Deuteroisaia (Is 40,5) che sarà citato esplicitamente in Lc 3,6[19], e che corrisponde anche al vocabolario tipico, ellenistico[20], di Luca.
La seconda parte della strofa (v. 31) esplicita i destinatari di questa salvezza messianica. Per la prima volta[21] la prospettiva si fa universalista: nel suo disegno[22] Dio ha predisposto la salvezza «al cospetto di tutti i popoli». L'espressione è singolare in Luca[23]: potrebbe indicare che Dio opera la salvezza d'Israele alla vista di tutte le nazioni pagane[24]. Ma ciò non corrisponderebbe al pensiero dell'autore (cf Lc 3,4-6): la salvezza è destinata ad Israele e a tutti i Gentili, e il plurale πάντων τῶν λαῶν pare ben includere questi due gruppi[25].
Nei vv. 30-31, il tema della visione dei beni futuri riflette una tradizione apocalittica (cf Ιs 64,3; Sal 31/30,2; 1Cor 2,9), ma che Luca trasforma in una rivelazione, visto che egli è convinto di vivere negli ultimi tempi[26].
5.3. Terza strofa: v. 32
L'ultima strofa prosegue nell'esplicitare la salvezza concessa da Dio in Gesù, distinguendo meglio i destinatari, e continuando ad ispirarsi al Deuteroisaia, in particolare al canto del Servo di JHWH (Is 42,6; 49,6)[27]. In Gesù si realizza la missione del Servo di essere la luce delle nazioni; la salvezza che egli porta è luce che permette agli uomini di vedere il loro futuro e di conseguenza dà il vero senso della loro esistenza[28].
La salvezza è destinata al mondo intero (cf At 28,28), ma Simeone riconosce la funzione mediatrice di Israele nella storia della salvezza. Essa costituisce proprio la gloria particolare del popolo eletto: nel suo seno infatti è nato il Messia, e quindi la salvezza stessa che si diffonderà tra i popoli a partire da Israele.
Nel Nunc Dimittis si sta delineando il programma dell'opera lucana, visto nell'ottica del disegno divino. Nell'attuazione sorgeranno difficoltà che fanno parte, esse pure, del misterioso piano di Dio, e quindi dovranno essere oggetto di profezia (vv. 34b-35).
5.4. Transizione; v. 33
II versetto comporta diverse difficoltà: dal punto di vista grammaticale[29] e tematico[30], eppure con ogni probabilità esso risale al redattore[31], piuttosto che ad una tradizione preesistente che avrebbe ignorato i racconti precedenti. Conviene leggere il testo non in chiave psicologica, ma narrativa. Nel nostro versetto, il ritornello del «meravigliarsi» (cf Lc 1,63; 2,18.33.48), che conclude normalmente un racconto di miracolo, serve a sottolineare l'importanza rivelatrice del Nunc Dimittis, esprime la reazione dell'uomo dinanzi ad una rivelazione o ad un fatto che appartiene al mistero del piano di Dio e che comunque supera l'attesa degli uomini, e non indica una ignoranza.
Dal punto di vista narrativo, l'interruzione costituita dal v. 33 era opportuna per poter introdurre un altro tema che contrasta fortemente con il Nunc Dimittis.
5.5. L'oracolo di Simeone: vv. 34-35
5.5.1. Gesù segno di contestazione: v. 34
II tema della benedizione (cf v. 28) introduce anche la seconda parte delle parole di Simeone, ora rivolte all'indirizzo della famiglia di Nazaret[32].
Poi Simeone interpella direttamente la madre[33].
Il contrasto con il Nunc Dimittis è forte, ma necessario: anche il rifiuto di parte d'Israele dev'essere inserito nel piano misterioso di Dio. II Messia «è posto»[34] per la caduta e il rialzo[35] di molti in Israele. La metafora può avere due significati:
• due momenti successivi, la caduta e poi il rialzo dello stesso gruppo di Israeliti; cioè dopo un'umiliazione o una prova segue la glorificazione.
• Ma la tematica che percorre l'opera di Luca suggerisce piuttosto di riferire la metafora alla caduta di molti Israeliti e al rialzo (conversione) di altri. Lo sguardo si rivolge alla diversa presa di posizione dei giudei suscitata dalla predicazione di Gesù e della Chiesa.
Anche l'ultima proposizione va in tale senso: il Messia sarà segno di contestazione[36].
L'affermazione può essere interpretata in due modi:
• viene detto che Gesù, inviato come segno di salvezza, di fatto si scontrerà con l'ostilità e sarà respinto da molti in Israele[37];
• o si dichiara che Gesù è un segno che provocherà la discussione, la divisione tra i giudei[38].
5.5.2. Una spada trafiggerà la tua vita: v. 35
In modo inatteso[39], Simeone pronuncia ora una profezia enigmatica che conceme direttamente Maria; una spada trafiggerà la sua vita[40]. La proposizione è redazionale[41] e sembra ispirarsi a Ez 14,17s (LXX) che contiene i termini ῥομϕαία e διἐρχεσθαι, e l'idea di una spada che divide.
Come interpretare l'oracolo?
Conviene scartare l'interpretazione assai popolare che vede un riferimento alla Madre dolorosa, la desolata ai piedi della croce. Il lettore di Luca (e l'evangelista stesso) non poteva conoscere una scena che soltanto la tradizione giovannea, più tardi, consegnerà per iscritto.
Una tendenza, rappresentata da P. Benoit[42], presenta Maria come personalità collettiva. Ella, personificazione di Israele, soffre i dolori della Figlia di Sion, del popolo eletto in mezzo al quale la Parola divina passa come una spada che crea divisione e svela i pensieri nascosti (cf Ez 14,17s)[43]. Maria però non è mai vista come una figura collettiva nel terzo vangelo.
Meglio considerare Maria nella sua individualità: a lei personalmente è rivolta la profezia di Simeone. Diverse possibilità:
• Allusione alle prove di fede che Maria, come credente, deve superare, accettando anche lei quella spada che dividerà la famiglia dinanzi a Gesù e il suo messaggio (cf Lc 12,51ss)[44].
• Maria sperimenterà nella sua famiglia la divisione che la parola di Gesù provocherà in Israele[45].
• Simeone, rivolgendosi a Maria, in realtà avrebbe in mente la spada che attraverserà l'anima di Gesù, formulando così una velata profezia della croce[46].
• La comprensione più conforme al contesto rimane quella che vede Maria associata al destino del Figlio[47]; come madre del Messia, ella condivide l'ostilità che suo Figlio ha subito durante la vita e nella vita della Chiesa. «Ogni rifiuto che subisce il Messia da parte di Israele - anche quelli postpasquali - trafiggerà il cuore della madre del Messia»[48].
Il dolore di Maria non è da capire soltanto in chiave psicologica, cioè quale sofferenza di una madre quando vede il figlio maltrattato, ma nel suo significato storico-salvifico: in quanto madre del Messia, ella ne condivide il destino[49]. Dinanzi a lui, alla sua predicazione, alla sua morte, i pensieri cattivi di molti vengono alla luce[50]. Non si tratta soltanto dell'ostilità nei suoi confronti che l'ha portato alla morte in croce, bensì della scelta negativa in rapporto alla Verità manifestata dal Vangelo.
6. conclusione
È possibile ora dare uno sguardo sintetico al cantico di Simeone e all'oracolo che lo completa.
Nonostante alcune incoerenze stilistiche, l'insieme è ben pensato e per il contenuto e per il posto che occupa, alla fine del parallelismo tra il Precursore e il Messia.
Il cantico riprende temi importanti del Benedictus - la pace, la luce, la salvezza - e si presenta come la risposta al cantico di Zaccaria. La salvezza proclamata da quest'ultimo ormai ha preso corpo[51]. Tuttavia, messo al termine del parallelismo presente in Lc 1-2, l'episodio si apre anche al futuro, e costituisce un anticipo del leitmotiv che percorre l’intera opera lucana: la diffusione del Vangelo nel mondo pagano, associata al rifiuto da parte di giudei; l'ostilità di molti, ma anche la conversione di altri (giudei e Gentili). Luca ha delineato in anticipo[52] ciò che sarà l'esperienza non soltanto di Gesù in Israele, ma della Chiesa apostolica nel mondo: la venuta dei Gentili al cristianesimo (vv. 30-32) e il rifiuto di una parte dei giudei (vv. 34-35). Emerge insomma la problematica che costituisce forse la preoccupazione principale dell'autore sacro: la relazione Chiesa - mondo pagano - Israele[53].
La forma di lode e di profezia data a questa visione delle cose inserisce l'insieme nel piano divino, considerando gli eventi come voluti da Dio.
Anche se Simeone si rivolge ai genitori e poi più direttamente a Maria, il «bambino» rimane al centro del cantico e dell'oracolo, essendo il centro della storia della salvezza: punto d'arrivo delle promesse e delle attese dell'Antico Testamento, e punto di partenza di una salvezza destinata a tutta l'umanità e dinanzi alla quale ognuno, giudeo o greco, è chiamato ad una scelta personale.
Era di conseguenza importante per Luca situare l'intera scena nel tempio e a Gerusalemme. La Città santa infatti è il punto d'arrivo del ministero di Gesù e il punto di partenza della missione cristiana, come sarà esposto nel programma di At 1,8. Il tempio sarà il luogo di «residenza» del Maestro, nel terzo vangelo, il centro religioso d'Israele dove insegnerà durante l'ultima settimana della sua vita[54]. Più tardi, sempre nel tempio, la chiesa-madre svolgerà la sua attività di evangelizzazione, ed è dal tempio che Paolo sarà inviato verso le nazioni (At 22,17-21).
Ma fin dalla predicazione di Gesù nel luogo sacro, si sta verificando la divisione interna tra gli Israeliti annunciata nella profezia di Simeone: da una parte il popolo in ascolto (Lc 19,48; 21,38: inclusione); dall'altra, l'autorità giudaica, chiusa ed ostile (Lc 19,47; 20,19.20).
Non meno importante, nella prospettiva della sua opera, il costante riferimento all'Antico Testamento, in particolare ad Isaia. Non ci sono citazioni esplicite, ma non è neanche una semplice imitazione dello stile biblico. L'allusione a profezie precise non serve soltanto a creare un'atmosfera sacrale per la scena; il lettore avvertito vi scorge il costante interesse storico-salvifico di Luca. Con la venuta del Messia si compiono le promesse dei profeti; e di conseguenza proprio la realizzazione di queste promesse divine testimonia che il Messia è veramente quel Gesù annunciato nella Parola degli evangelizzatori.
L'attenzione di Luca all'Antico Testamento manifesta anche un'altra fìnalità: il legame tra la Chiesa e Israele. All'epoca dello scrittore, la Chiesa è da qualche tempo uscita dal giudaismo per diventare Chiesa di tutte le nazioni. Ora importa non perdere le radici, e quindi l'inserimento della Novità nella Tradizione d'Israele. Perché soltanto se la Chiesa rimane collegata con la sua origine rimane anche ancorata nella storia della salvezza che essa porta a compimento.
Gérard Rossé
Via Quattrucci, 117 c
00046 GROTTAFERRATA (RM)
[1] Basti pensare all'omonima opera di Plutarco
[2] II versetto pone problemi: può essere considerato come conclusione della storia antecedente (H. schürmann, Das Lukas-Evangelium I. Herders Theologischer Kommentar zum Neuen Testament, Herder, Freiburg 1969, 119), a se stante (F. bovon, Das Evangelium nach Lukas, EKK, Benziger-Neukirchener, Zürich 1989, 135), o come introduzione al nostro episodio (G. schneider, Das Evangelium nach Lukas I, Echter Verlag, Wurzburg 19842, 70).
[3] Esempi in J.A. fitzmyer, The Gospel according to Luke I. The Anchor Bible, Doubleday and Company, Garden City, New-York 1986,420. Indizi a favore di una tradizione prelucana: i semitismi, le incongruenze stilistiche (nei vv. 27-29.36-37a), le tensioni in particolare nel v. 33.
[4] C.F. evans, Saint Luke, Trinity Press International, Philadelphia 1990, 211.
[5] I nomi di Simeone e di Anna (vedi i dettagli «anagrafici» di quest'ultima) difficilmente sono inventati.
[6] R.E. brown, La nascita del Messia secondo Matteo e Luca, Cittadella, Assisi 1981, 610.
[7] Numerose le ipotesi che si sforzano di spiegare l' αὐτῶν del v. 22. Per R. Laurentin, che legge la venuta del Messia nel tempio alla luce di MI 3,1s, la purificazione non si riferisce alla madre, ma al popolo rappresentato da Gerusalemme: il Signore entra nel tempio e purificherà i figli di Levi (R. laurentin, Les Evangiles de l'Enfance du Christ, Desclée et Desclée de Brouwer, Paris 1982, 92ss). M. Miyoshi vi vede un riferimento a Nm 6 (voto di nazireato); la pericope descrive la purificazione del Nazir Gesù (come quella di Samuele: ISam l,22ss) combinata con quella della madre (Lev 12,1-8) (M. miyoshi, Jesu Darstellung oder Reinigung im Tempel unter Berücksichtìgung von «Nunc Dimittis» Lk 2,22-38, in AJBI 1978, 85ss). Altre soluzioni: αὐτῶν si riferisce a Giuseppe e Maria (grammaticalmente possibile): non fa che spostare il problema; meglio pensare che αὐτῶν vuole soltanto legare «purificazione» e «presentazione» (vedi F. bovon, o.c., 140).
[8] 8 C'è l'intenzione di ricalcare la scena su quella del piccolo Samuele (in 1Sam l,22ss).
[9] F. bovon, o.c., 136. Anche il vocabolario è caratteristico della redazione lucana: nel v. 22: καὶ ὃτε (Lc 2,21.42; 6,13; 22,14; 23.33); κατὰ τòν νόμον (At 22,12; 24,6.14); ἀνάγειν (21 volte nella sua opera; nel resto del Nuovo Testamento solo in Mt 4,1; Rm 10,7 e Eb 13,20). L'espressione «Legge del Signore» (v. 23) si trova soltanto in Luca. Per la formula del v. 24: τò ειρημένον ἐν τῷ νόμῳ: cf At 2,16; 13,40.
[10] Si noti il vocabolario lucano: νῦν, δεσπότης (titolo applicato a Dio in una preghiera: At 4,24; Apc 6,10), ῥῆμα, εἱρήνη, i termini della famiglia σωτήριον, πρόσωπον, λαός, (sinonimo di «popolo di Dio»). Il cantico inoltre è impregnato di allusioni al Deuteroisaia, profeta che Luca, tra gli autori del Nuovo Testamento, cita più volentieri (cf A. george, Etudes sur l'oeuvre de Luc, Gabalda, Paris 1978, 61s).
Non mancano, come nel resto di questi due capitoli, i semitismi; ma più che indizio di qualche fonte aramaica o ebraica, essi sono dovuti all'imitazione dello stile biblico.
[11] II motivo dell'uomo anziano che vive un evento straordinario prima di morire è conosciuto nelle letterature greca e biblica. F. Bovon (o.c., 137) ricorda i due vecchi servi che possono ancora assistere al ritomo di Ulisse. In Genesi, Giacobbe potrà rivedere il figlio Giuseppe, e dirà: «Posso anche morire, questa volta, dopo aver visto la tua faccia, perché sei ancora vivo» (Gn 46,30). Similmente l’incontro tra Tobi e la madre Anna: «Ti rivedo, o figlio. Ora posso morire» (Tb 11,9), e il canto di benedizione intonato dal padre Tobia (Tb 11,14).
[12] εὐλόγησεν τòν θεòν (v. 28).
[13] ἀπολύεις … ἐν εἰρήνη ricorda l'espressione biblica di Gn 15,15; ἀπολύειν come eufemismo per «morire»: Gn 15,2; Nm 20,29; Tb 3,6; 2Mac 9,9; δέσποτα (al vocativo) si legge ancora in At 4,24 nel Nuovo Testamento; come titolo divino è usato nel giudaismo ellenistico (FI. Giuseppe), inclusi gli ultimi libri dei LXX (13 volte): vedi Dn 3,37; 9,8.16.17.19; 2Mac 15,32 ecc.
[14] δολοσ: vedi 1,48; κατὰ τò ῥῆμά = καθὠς ἐλάλησεν di 1,55.70; εἱρήνη: 1,79; cf ἀπò τοῦ νῦν: 1,48.
[15] δεσπότης implica l'idea di sovrano del cosmo; e «servo» contiene quella della fedeltà (Sal 26/27,9; 2Cron 6,23, ecc.). Nell'Antico Testamento, «servo» viene anche dato a chi ha una funzione importante nella storia della salvezza.
[16] Prosegue l'aggancio con i canti precedenti: stessa costruzione con ὃτι in Lc 1,48,68; vocabolario della salvezza: Lc 47.69,71.77.
[17] σωτήριον: aggettivo sostantivato. Importante notare che esso ritorna, in Luca, soltanto a conclusione degli Atti (At 28,28); il termine pertanto fa da inclusione all'intera opera lucana (così come ἒθνος; nel v, 32, cf At 28,28).
[18] F. bovon, o.c., ad loc.
[19] Vedi anche Sal 98/97,3; Bar 4,24.
[20] Vedi l'uso del vocabolario della salvezza nelle lettere paoline e postpaoline.
[21] Cf Lc 1,17.32-33.54-55,68-79; 2,10; un accenno universalista può trovarsi in Lc 2,14.
[22] II verbo «preparare» nel senso di concepire un disegno, avere un progetto: Mc 10,40; Mt 25,34; ICor 2,9; lEn 25,7 (cf Evans): linguaggio religioso del giudaismo.
[23] κατὰ πρόσωπον letteralmente significa «a faccia a faccia» (come in At 25,16), ma si deve tradurre «al cospetto di» (come in At 3,13). Insolito anche λαός; al pl. (ancora At 4,25 = le nazioni); normalmente, al sg., il termine è riservato al popolo di Dio.
[24] Come in Sal 98/97,2; Is 40,5; 52,10.
[25] I due gruppi sono esplicitati nel versetto seguente. Luca sembra riprendere l'espressione da Is 52,10, ma cambia έθνῶν in γαῶν: perché?
[26] F. bovon, o.c., ad loc.
[27] II vocabolario (salvezza, luce, nazioni-popoli, gloria di JHWH in Gerusalemme) si trova soprattutto in Is 60,1-3, ma la visione dell'affluenza delle nazioni verso Gerusalemme non corrisponde al pensiero di Luca. Quest'ultimo fa dire a Simeone la propria comprensione della storia della salvezza che emergerà nel libro degli Atti.
[28] La costruzione della frase crea problema: θῶς e δόξαν possono essere apposizione a τò σωτήριον; ma l'accusativo di δόξαν non va in tale senso. Meglio vedere δόξαν, così come ἀποκάλυψιν, dipendente dalla preposizione εἰς. Difficile anche la formulazione ϕῶς, εἰζ, ἀποκάλυψιν: il genitivo è έθνῶν deve riferirsi a ϕῶς, non a ἀποκάλυψιν (vedi bovon): perché l'autore rompe l'espressione isaiana (ϕῶς έθνῶν) e inserisce ἀποκάλυψιν? Per il parallelismo con v. 32?
[29] Troviamo il verbo ἦν al sg. con due nomi come soggetto: ὀ πατὴρ καὶ… ἡ ρήτηρ, con il ptc. θαυμάζοντες; al pl, (allorché dovrebbe accordarsi col verbo ἦν). Traduzione lett.: «suo padre e la madre era (sg.) meravigliantisi (pl.)».
[30] ὀ πατὴρ αὐτοῦ fa problema e numerosi manoscritti (onciali, minuscoli e traduzioni), ma non i più importanti (vedi fitzmyer, o.c., 428s), cercano di rimediare scrivendo Ιωσὴϕ.
[31] Redazionale: la costruzione perifrastica; θαυμασειν + ἐπὶ (Lc 4,22; 9,43; 20, 26; At 3,12); τὰ λαλουμένα: Lc 1,45; At 13,45; 16,14 cf. 17,19 (anche in Mc 5,36 e ICor 14,9 nel Nuovo Testamento) (cf F. bovon, o.c., ad loc., nota 53).
[32] Incluso Gesù? Simeone chiede la benedizione divina sulla famiglia in vista di ciò che l'aspetta (I.M. marshall, The Gospel of Luke. The New Intemational Greek Testament Commentary, The Paternoster Press, Exeter 1978, ad toc.)? Ricorda la benedizione di Eli per i genitori di Samuele (ISam 2,20), o la benedizione dei patriarchi (cf Gn 27 e 48) che trasmetteva ai figli scelti i beni delle promesse divine fatte ad Abramo? (meno probabile). La costruzione con καὶ εἶπεν... è maldestra: fa pensare che l'oracolo che segue sia il contenuto della benedizione, ciò che evidentemente non è il caso!
[33] εἶπεν + πρὸς con acc. (al posto del semplice dativo) è frequente in Luca (lingua della Koinè). Giuseppe è escluso perché non viveva più quando Gesù svolse il suo ministero (?).
[34] κεῖται: «è posto» nel senso di «è destinato». Allusione a Is 8,14: la pietra d'inciampo; la metafora era nota nella tradizione cristiana: Lc 20,17s; Rm 9,33; IPt 2,6ss.
[35] ἀνάστασιν: tradurre «rialzo» (vista l'opposizione voluta con «la caduta») e non «risurrezione». Di per sé l'immagine del rialzo non va bene con la metafora della pietra d'inciampo, ma riprende il pensiero di Is 28,16: «Io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare...chi crede non vacillerà». Ci troviamo in presenza di una combinazione di Is 8,14 con Is 28,16, come in Rm 9,33 e IPt 2,6-8.
[36] II verbo ἀ ντιλέγειν («contraddire, contestare, discutere») è messo al ptc. pres. pass. con valore futuro.
[37] Così J. winandy, Autour de la naissance de Jésus. Lire la Bible 26, Cerf, Paris 1970, 75; G. rossé, Il Vangelo di Luca, Città Nuova, Roma 19922, ad loc.
[38] Cosi F. bovon, ad loc. Evans vede il «segno» come sinonimo di vessillo, stendardo che Dio fa innalzare come avvertimento di giudizio, nella linea di Is 5,26; 13,2; 18,3 ecc. Meglio pensare al passo di Is 8,18, vicino all'allusione precedente di Is 8,14 (J. fitzmyer, o.c., ad loc.).
[39] II v. 35a fa figura di parentesi tra il v. 34b e 35b. Quindi: dinanzi a Gesù, segno di contestazione, posto per la caduta e il rialzo di molti, si sveleranno i pensieri ostili che si annidano nel cuore di molti.
[40] Costruzione: καὶ σοῦ δὲ αὺτῆς τὴν ψυχὴν…! καὶ ha probabilmente il senso di «anche»; καὶ σοῦ è posto in enfasi; ψυχή può significare vita, o anima, o può stare per un pron. personale.
[41] καὶ... δὲ (ma δὲ è assente in diversi manoscritti: B,L,W, ecc.); il verbo δτέρχεσθαι: 10 volte in Luca e 21 in Atti; 10 volte nel resto del Nuovo Testamento. Fra gli evangelisti Luca è colui che usa di più διαλογισμός; (6 volte; Mc:l; Mt:l). ῤομϕαία è una grande spada a doppio taglio: hapax nell'opera lucana (6 volte in Apocalisse).
[42] Nel 1963 in CBQ (studio ripreso col titolo Et toi-même, un glaive te transpercera l'âme (Lc 2,35), in P. benoit, Exégèse et Théologie, III, Cerf, Paris 1968, 216ss).
[43] Questa interpretazione collega bene il v. 35a col seguito, il v. 35b. Vedi anche Eb 4,12.
[44] Ipotesi di R.E. brown, o.c., 632s.
[45] 45 Così J.A. fitzmyer, o.c., 430: la sua interpretazione (come quella di Benoit) parte da Ez 14,17.
[46] J.. Winandy, o.c.,77s.
[47] Vedi i commenti di H. schurmann, o.c.; W. grundmann, Das Evangelium nach Lukas. Theologischer Handkommentar zum Neuen Testament, Evangelisches Verlagsanstalt, Berlin 19716; J. ernst, Das Evangelium nach Lukas. Regensburger Neues Testament, Verlag F. Pustet, Regensburg 1977. Non è presente l'idea di corredentrice.
[48] H. Schurmann, o.c., 130.
[49] Così J. ernst, o.c., 119.
[50] ὅπως ἄν può avere senso finale («affinchè») o consecutivo («col risultato che»). ἐκ πολλῶν καρδιῶν διαλογισμοί può leggersi anche: καρδιῶν διαλογισμοί ἐκ πολλῶν (considerando πολλῶν come aggettivo sostantivato: i pensieri dei cuori da parte di molti); πολλοί comunque non è sinonimo di πάντες; διαλογισμος ha sempre valore negativo nel Nuovo Testamento: i pensieri cattivi.
[51] A. george, o.c., 62.
[52] Fa parte della sua tecnica narrativa.
[53] Vedi V. Fusco, Progetto storiografico e progetto teologicio neIl’opera lucana, in La storiografia nella Bibbia. Atti della XXIII Settimana Biblica, EDB 1986, 123-152.