Formazione Religiosa

Mercoledì, 08 Settembre 2004 23:27

L’incessante ricerca

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di don Bruno Maggioni *

* biblista e teologo, docente presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale

La prima domanda, che si legge nella Scrittura, è una domanda rivolta da Dio all'uomo: "Adamo; dove sei?" (Gn 3, 9). Dio cerca l'uomo e tocca all'uomo mostrarsi, rispondendo: eccomi, sono qui. Ma poi nella Scrittura si legge spesso anche la domanda dell'uomo a Dio: "Signore, dove sei?". Anche Dio risponde: "Eccomi". La ricerca è dunque duplice: Dio cerca l'uomo e l'uomo cerca Dio. È una ricerca incessante in ambedue le direzioni. Dio non cessa di mostrarsi all'uomo e continuamente ripete: sono qui. È questo il nome rivelato da Dio a Mosé. Ed è ancora questo il nome del Figlio di Dio fatto uomo: Emmanuele, Dio con noi. Ed è ancora il nome del Signore risorto, come si legge nel Vangelo di Matteo: "Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Il nome di Dio è sempre: io sono con voi.

Per cercare l'uomo Dio si è fatto "carne", come dice il prologo del Vangelo di Giovanni. Il termine carne non significa semplicemente uomo, ma uomo legato alla terra, debole e caduco. Si direbbe che a questo punto la ricerca dell'uomo da parte di Dio sia compiuta. E in un certo senso di fatto lo è. Lo è come presenza fra noi (il Natale) e come manifestazione del suo amore per noi (la Croce). Che altro avrebbe potuto fare Dio per rendersi presente e per manifestare tutto il suo amore? E tuttavia la ricerca dell'uomo da parte di Dio è incessante, perché vuole illuminare ogni uomo che viene al mondo e rinnovare la sua presenza in ogni tempo e in ogni cultura.

ANDIAMO ALTROVE

Ma anche la domanda dell'uomo a Dio è incessante. Dio è con noi, ma non si lascia imprigionare da noi. L'incontro con Dio non spegne il desiderio di conoscerlo, ma lo acuisce. E le risposte che Egli ci dona si aprono sempre verso nuove domande.

Il Signore vicino non è una persona che possiamo trattenere, ma un viandante che cammina, sempre oltre. Così ci è detto in un bellissimo episodio del Vangelo. Al mattino presto la folla è già arrivata e i discepoli vanno in cerca di Gesù che si è ritirato solo a pregare. Trovatolo gli dicono: "Tutti ti cercano". Risponde "Andiamo altrove" (Mc 1, 35-38). Nella sorprendente risposta di Gesù comprendiamo che Egli non è venuto per una sola folla. Nessuno lo può trattenere per sé. È di tutti. Gesù è sempre "oltre". Sempre oltre perché Egli è una persona che vuole manifestarsi agli uomini di ogni tempo e di ogni luogo. Sempre oltre, soprattutto, perché è una Persona che racchiude un mistero insondabile, che non può mai essere rinchiusa nell'orizzonte della nostra comprensione.

Ma se è incessante la manifestazione di Dio, è incessante anche il desiderio dell'uomo di conoscerlo e di incontrarlo. L'uomo è limitato e tuttavia il suo desiderio è sempre aperto. Lo abbiamo già detto: l'incontro con Dio non chiude il desiderio, ma lo apre. Il suo desiderio della verità, dell'amore e della bellezza è continuamente proteso verso una pienezza che è sempre oltre. Possiamo dire che il mistero che l'uomo incontra ha due facce, mai l'una senza l'altra: chi è Dio? Chi è l'uomo? L'uomo non può esaurire la sua conoscenza di Dio, né può restringere la sua manifestazione. E neppure riesce a comprendere la realtà di se stesso. Non comprende se stesso perché non riesce a comprendere Dio. L'unica possibilità dell’uomo è di cercare continuamente. Questo non vuol dire che non abbia delle certezze. Ma sono appunto le certezze che si aprono sempre su nuove domande e nuovi desideri!

Queste poche osservazioni, che sto facendo su un tema tanto importante, sono molto semplici, persino ovvie, e tuttavia sono in grado - a mio avviso - di rinnovare profondamente la nostra ricerca di Dio, della vita e persino della missione. Per mostrarlo scelgo, come sempre, alcuni spunti che prendo dalle Sacre Scritture. Sono spunti di genere diverso, come subito si capirà, e tuttavia convergenti. Questa convergenza costituisce, io penso, una prova della loro verità.

UN BAMBINO AVVOLTO IN FASCE

Il racconto lucano del Natale (c. 2) si conclude con una bellissima annotazione mariana: "E tutti quelli che li udivano, si stupivano delle cose dette dai pastori. Maria, invece, custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (2, 18-19). Anche Maria, ha bisogno di sentire le parole ("tutte queste parole") che spiegano l'evento che ella stessa vede e vive: un bambino avvolto in fasce. Parole che ella custodisce nel suo cuore in un raccoglimento interiore e intelligente, incessante. Il verbo infatti è al tempo perfetto e dice un'attenzione prolungata, una cura che nulla vuole perdere e nulla cambiare. Ancora più interessante però il verbo meditare (in greco sunballo) che significa confrontare, comparare, nello sforzo intenso di comprendere la logica profonda, la direzione e la verità di cose che possono sembrare slegate o addirittura in contrasto fra loro. Ed è appunto ciò che deve fare Maria sentendo, da una parte, parole che proclamano la gloria del bambino (parole da lei stessa sentite dall'angelo dell'annunciazione) e, dall'altra, vedendo "un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia". È la tensione fra grandezza e piccolezza, gloria e povertà, che costituisce l'ossatura del Natale e, più profondamente, del mistero cristiano. Con questa semplice annotazione Luca presenta Maria come la figura esemplare del discepolo (e della Chiesa) sempre in ascolto e in cammino: non un discepolo che anzitutto parla, ma ascolta: non un discepolo che già sa, ma che deve camminare nella comprensione, illuminando con la parola ascoltata (che viene da Dio) ciò che vede e vive. Per capire l'evento di cui Maria è testimone - un evento fatto insieme di gloria e di potenza - ella dovrà camminare con Gesù, sentendo le sue parole e osservando i suoi gesti, la sua storia, fino ai piedi della croce.

VEDRETE

Nel Vangelo di Giovanni (1, 39) si legge che alla domanda dei due discepoli che seguono Gesù e gli chiedono dove abiti, Egli risponde con un imperativo e una promessa: "Venite e vedrete". La chiamata è all'imperativo, come sempre: venite. Ma la promessa è al futuro: vedrete. Gesù non dice che cosa vedranno né quando. E stando con lui che il futuro si dischiuderà. Seguire Gesù non significa sapere già dove Egli conduce.

Un pensiero analogo lo troviamo molto più avanti nei discorsi di addio. Gesù dice ai discepoli: "Del luogo dove io vado voi conoscete la via" (14,4). A Tommaso queste parole sembrano nebulose e incoerenti: "Signore, non sappiamo dove vai, come possiamo conoscere la via?". Tommaso è convinto, come tutti, che per conoscere la strada devi prima conoscere la meta a cui si vuole arrivare. Per Gesù è vero il contrario: quando si conosce la via giusta, si giunge alla meta giusta. La via giusta è seguire Gesù, e questo i discepoli lo sanno. L'importante è conoscere quale strada: la meta si troverà di certo alla fine. Così Gesù ha rovesciato il modo comune di pensare: non prima la conoscenza della meta e poi l'individuazione della strada che vi conduce, ma prima la strada.

Ma ritorniamo all'inizio del Vangelo di Giovanni. Gesù dice a Natanaele e a tutti: "In verità, in verità ti dico: vedrete il cielo aperto e gli anteli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo" (1,51). Per manifestare se stesso, Gesù ha bisogno di un futuro. La sua manifestazione infatti avviene attraverso una storia (la sua vita) che solo alla fine può svelare pienamente chi Egli sia. Perciò il suo discepolo lo conosce man mano che lo accompagna. E questo è importante: la correttezza della sequela non sta nel sapere già con esattezza cosa si vuole, dove si va, ma piuttosto nel porsi sulla strada giusta, nella direzione giusta, disposti a percorrerla dovunque essa conduca. Il difetto di fondo sta proprio nella pretesa di chiudere il cammino, di sapere già: rinchiudersi dentro un progetto, anziché aprirsi alla libertà di una persona che è appunto Gesù.

SEGUITEMI

Rileggendo la chiamata dei discepoli (Mc 1,16-20) comprendiamo che il verbo importante è "seguire". Non il verbo imparare, ma seguire. Seguire non dice solo camminare, ma andar dietro a qualcuno al quale si vuole restare vicino, facendo la sua stessa strada e condividendo le sue scelte. Vale la pena di ripeterlo: il discepolo segue il maestro dovunque vada. Alla fine non gli importa dove. Quello che gli importa è di essere dietro di lui. La chiamata non è mai una chiamata a star fermi, ma a camminare. La chiamata non conclude l'itinerario, ma lo apre, indirizzandolo verso l'universalità e la missione: "Vi farò pescatori di uomini".

Se il primo imperative rivolto ai discepoli è "seguitemi", il secondo è "andate". Non si tratta solo di andare ad incontrare uomini diversi e culture diverse e annunciare il Vangelo che tu già conosci. Si va anche per trovare "presenze" di Dio inattese, e scoprire - non senza sorpresa - che il Vangelo anche altrove è capace di inculturarsi e di fiorire e, proprio per questo, di svelarsi con colori originali. È sempre lo stesso Vangelo, ma originale è il suo modo di fiorire, con sfumature e colori che non pensavi. La missione non è soltanto andare per portare qualcosa che già vedi, ma è anche un andare per scoprire una ricchezza nuova in ciò che già vedi. La missione è indispensabile perché Dio si riveli, non soltanto perché Egli salvi tutti gli uomini.

Una conclusione? La ricerca di Dio è incessante, proprio perché Dio è vicino, tanto che il vero problema non è dove trovarlo (lo sai, è qui), ma come riconoscerlo. Che questo sia vero ce lo dice l'episodio dei due discepoli di Emmaus. I due discepoli incontrano Gesù che si unisce al loro cammino, ma non lo riconoscono. Non perché Egli ha assunto un volto sconosciuto per apparire in incognito, ma perché "i loro occhi non avevano la forza di riconoscerlo" (Lc 24,16). Non tocca a Gesù cambiare il volto, bensì ai discepoli cambiare lo sguardo. Quella dei due discepoli è un'incapacità profonda, che investe la mente e il cuore, una vera impossibilità. come suggerisce il verbo usato da Luca. Occorre un modo nuovo di guardare ciò che già prima si è visto.

LE RIFLESSIONI che abbiamo fatto sull'incessante ricerca di Dio e dell'uomo possono terminare qui. La ricerca dell'uomo da parte di Dio è sempre incessante, ed è per questo che è vera. Ma anche la ricerca di Dio da parte dell'uomo deve essere incessante se vuole essere vera, guardando sempre in avanti. Questa capacità di guardare in avanti, di gustare la novità, di andare altrove per vedere come Cristo si rivela anche altrove, è ciò che rende gli occhi capaci di riconoscerlo. Chi si chiude, diventa fatalmente cieco. E illudendosi di portare il Signore, porta in realtà se stesso.

(da Mondo e Missione, dicembre 2003)

Letto 3366 volte Ultima modifica il Domenica, 18 Settembre 2011 20:54
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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