Formazione Religiosa

Lunedì, 10 Maggio 2010 21:39

Il matrimonio (Adolf Adam)

Vota questo articolo
(4 Voti)

Il matrimonio è innanzitutto e soprattutto una parte della realtà della creazione e come tale viene riconosciuta e stimata dalla sacra Scrittura dei due Testamenti. Nella comunione liberamente decisa di due persone e nel loro reciproco amore e fedeltà si realizza la volontà del Creatore, come essa appare nel secondo racconto della creazione in Gn 2,24.

Fulcro di questo discorso è la celebrazione liturgica del matrimonio - detta anche nozze - basata sulla sacramentalità del matrimonio cristiano.

1. Il matrimonio cristiano come istituzione connessa alla creazione e come sacramento

Il matrimonio è innanzitutto e soprattutto una parte della realtà della creazione e come tale viene riconosciuta e stimata dalla sacra Scrittura dei due Testamenti. Nella comunione liberamente decisa di due persone e nel loro reciproco amore e fedeltà si realizza la volontà del Creatore, come essa appare nel secondo racconto della creazione in Gn 2,24. In questo essere l’uno per e con l’altro già l’autore della Lettera agli Efesini vede un termine di paragone e un segno dell’essere di Cristo per e con la sua chiesa. Cristo, il quale «ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola» (5,25 s.), e la chiesa come suo corpo, che si volge a lui con riverenza, disponibilità e amore, sono nella loro comunione e unità la grande realtà salvifica della nuova Alleanza. Ogni battezzato è in essa e vive di essa. Ciò vale - in misura ancora più grande - anche per la comunione di due sposi cristiani, i quali nella unità e nella comunione d’amore di Cristo e della chiesa hanno non solo un modello del loro reciproco rapporto (amore, fedeltà, servizio, sacrificio, perdono), ma anche vivono di questa grazia salvifica. Nella misura in cui essi nel loro patto nuziale rendono visibile il patto salvifico di Cristo con la chiesa e l’amore che lo penetra, si realizza in questo elemento della creazione il patto salvifico di Cristo con la chiesa. Il matrimonio cristiano diventa così una piccola chiesa particolare o una «chiesa domestica», come lo chiama una volta il Vaticano II (LG 1). Così esso rimane da una parte una realtà terrena, e nello stesso tempo è la concretizzazione evidente e sperimentabile della realtà salvifica decisiva della nuova Alleanza. Il modello «si manifesta nella sua copia. Il matrimonio è in qualche modo epifania dell’alleanza tra Cristo e la chiesa. La comunione di Cristo con la chiesa influenza la comunione tra uomo e donna. Questa comunione è ripiena della vita che è scambiata tra Cristo e la chiesa, della grazia e della verità che Cristo ha donato alla sua sposa, la chiesa, della forza d’amore che unisce Cristo e la chiesa»1. Anche la teologia protestante si avvicina a questa prospettiva come fa capire il teologo evangelico Il. Baltensweiler: «Perciò lo schema originale-copia, quale usato per lo più da parte protestante per descrivere il vero pensiero di Ef 5, è troppo carente. Si dovrebbe lavorare piuttosto col concetto di rappresentazione o ripresentazione. Come la comunità in quanto tale rappresenta Cristo su questa terra, così il matrimonio dei cristiani ripresenta l’evento Cristo tra gli uomini. Per questo la parte infedele può essere santificata da quella credente (1 Cor 7,14)2 .

Da quanto detto risulta che il matrimonio diventa sacramento non perché attraverso un rito esterno viene assegnata a questo patto la grazia di Dio, e così esso viene elevato dall’esterno. «La sacramentalità del matrimonio è più di una benedizione che la chiesa imparte ai suoi figli a una svolta decisiva del loro cammino, più di una celebrazione che accompagna il matrimonio e lo fa risaltare sullo sfondo del quotidiano. Essa è quella per cui il patto nuziale è riempito della signoria di Cristo»3 .

Col costituirsi del matrimonio cristiano come «immagine e partecipazione al patto d’amore di Cristo e della chiesa» viene nello stesso tempo impartito un comando e affidata una missione. Il matrimonio cristiano - come il popolo di Dio nel suo insieme - deve diventare, in un senso specifico, segno e quindi annuncio vissuto dell’amore di Cristo per gli uomini. Nell’amore reciproco degli sposi, nel servizio e nel sacrificio l’uno per l’altra, nella loro sopportazione e nel loro perdono, nella loro fedeltà fino alla morte deve rendersi manifesto ciò che Cristo anche al presente è e opera per l’umanità e specialmente per la sua chiesa. Così ogni matrimonio cristiano può e deve diventare segno e testimonianza di Cristo.

Poiché il matrimonio come realtà della creazione è costituito in prima linea dalla volontà degli sposi, e tale matrimonio si identifica con ciò che chiamiamo sacramento, la volontà degli sposi è anche l’elemento costitutivo del sacramento del matrimonio, il che vuoI dire che non è la chiesa o il sacerdote celebrante a porlo, ma gli sposi stessi, in qualsiasi momento essi pronunciano il loro sì in una forma riconosciuta dalla chiesa. Secondo l’attuale diritto canonico, questa forma obbligatoria, detta anche forma canonica od obbligo di forma, consiste, a partire dal concilio di Trento (1545-1563), nel fatto che tutti i matrimoni, nei quali almeno una parte è cattolica, devono essere conclusi davanti al competente ministro cattolico e a due testimoni. Con questa prescrizione obbligatoria deve essere portato più fortemente a conoscenza degli sposi che il loro sì è anche una decisione davanti a Dio e al popolo di Dio, e che il loro patto di amore e di vita deve essere segnato dalla fede della chiesa e insieme deve testimoniarla. Questo obbligo di forma non vincola in pericolo di vita, quando non si può raggiungere il ministro competente, e anche fuori del pericolo di vita, se non si può avere il ministro autorizzato per un lungo tempo (un mese). Inoltre il papa Paolo VI nel motu proprio Matrimonia mixta, del 31 marzo 1970, ha stabilito che il vescovo competente, in matrimoni tra sposi di confessioni diverse, può dispensare dall’obbligo della forma «se al mantenimento della forma canonica si oppongono notevoli difficoltà»5.

Pur riconoscendo il consenso come l’elemento costitutivo, anche la celebrazione liturgica del matrimonio ha un non piccolo significato. I riti nuziali illustrano l’essenza del matrimonio cristiano; essi pongono i due sposi e il loro patto sotto l’impegnativa e orientativa parola di Dio, e rafforzano la loro fede. Gli sposi stessi testimoniano pubblicamente davanti alla chiesa, di cui sono membri, la loro fede, nella quale solamente l’istanza del matrimonio cristiano può essere riconosciuta e realizzata. La chiesa stessa nei suoi rappresentanti ufficiali (sacerdote, diacono) riceve il consenso nuziale e ne prende atto, lo accompagna con la sua preghiera e dà a esso la sua benedizione. Con la parola e con il simbolo essa approfondisce la consapevolezza e la disponibilità degli sposi a dare testimonianza con il loro amore e la loro fedeltà al grande patto salvifico di Cristo con la sua chiesa. Così la celebrazione liturgica del matrimonio non solo vuole essere un’azione marginale che eleva e rallegra l’animo, ma possiede un alto valore funzionale. Non può quindi essere indifferente in quale forma il rito nuziale si compie.

2. Linee di sviluppo del rito occidentale del matrimonio

La conformazione liturgica del matrimonio cristiano solo lentamente e relativamente tardi si è sviluppata in quella ricchezza di forma quale conosciamo noi oggi. Essa «è stata influenzata fin dalle origini dagli usi familiari che nei vari paesi accompagnavano la celebrazione delle nozze. Sia in Oriente che in Occidente, la liturgia nuziale, la cui elaborazione si inizia nel sec. IV, è rimasta tributaria di un insieme di tradizioni sociali e di un simbolismo precristiano, che, fino alla pace costantiniana, sono stati i soli a fornire lo schema della celebrazione del sacramento» 6. Si era concordi nell’antichità cristiana nell’idea fondamentale che i cristiani contraggono il loro matrimonio col consenso e con la benedizione della chiesa, mentre si considerava la volontà delle due parti come l’elemento fondante del matrimonio. Degli usi nuziali tradizionali si eliminarono solo quelli propriamente pagani come sacrifici agli dei familiari e consultazioni di oracoli, e ci si guardò da certi eccessi nella celebrazione della festa. Già presto (con documentazione per il 400 ca) il matrimonio fu unito con la messa, e in esso la “velazione” della sposa in Occidente e la “coronazione” degli sposi in Oriente erano, con una corrispondente benedizione, le cerimonie rilevanti. La benedizione della sposa si era mantenuta nel Messale romano, come inserzione dopo il Padre nostro, fino alla riforma del 1970. Mentre l’antichità romana conosceva una sua celebrazione del fidanzamento con promessa e consegna dell’anello e dei regali alla fidanzata, nell’ambito della chiesa questi usi si fusero con il rito del matrimonio. Per questo motivo non si conosceva nella liturgia romana alcun rito di fidanzamento. Fino a Medioevo inoltrato l’espressione dei consensi si compì nella casa della sposa davanti ai familiari più stretti. «Fu al tempo dello sfacelo dell’impero carolingio, nei secc. IX e X, che la chiesa fu indotta a occuparsi delle formalità giuridiche del matrimonio, senza però fare di questi riti familiari degli atti liturgici. Più ancora che lo Stato, la famiglia era vittima di un’epoca di decomposizione, d’anarchia sociale e di guerre fratricide, in cui i ratti delle donne non si contavano più. La chiesa reagì da principio esigendo il carattere pubblico del matrimonio per assicurare la libertà di consenso della sposa. Lo scambio dei consensi ebbe per la prima volta la consacrazione liturgica in Normandia. Per conferirgli il massimo di pubblicità, si convenne che l’atto avrebbe luogo non più nella casa della fidanzata, ma alla porta della chiesa, davanti alla casa di Dio. L’espressione in facie ecclesiae aveva dapprima un senso puramente materiale»7.

Secondo un messale dell’inizio del sec. XII, della città di Rennes nella Francia settentrionale, un tale rito del matrimonio aveva la forma seguente: il sacerdote rivestito del camice e della stola si recava davanti alla porta della chiesa, aspergeva gli sposi con acqua benedetta, li interrogava sulla loro volontà e sull’assenza di un eventuale impedimento di consanguineità, e li istruiva sulla loro vita secondo l’insegnamento del Signore. Quindi invitava i genitori della sposa a consegnare la loro figlia allo sposo. Questi doveva quindi consegnare alla sposa la dote, con lettura del relativo documento, porre alla sua mano destra un anello benedetto e donarle secondo la possibilità oro e argento. Dopo la benedizione del sacerdote si entrava nella chiesa; gli sposi portavano dei ceri accesi, che poi nella messa presentavano come offerte. Dopo il Padre nostro e l’embolismo il sacerdote copriva la sposa con il velo, recitava su di lei la benedizione e dava allo sposo il bacio di pace che questi a sua volta dava alla sposa8.

In ugual modo si formò anche in altri paesi e regioni una colorita varietà di riti nuziali, che spesso variavano da diocesi a diocesi. Il concilio di Trento9 non solo approvò questa multiforme ricchezza, ma ne raccomandò il mantenimento. Il Rituale romanum consiste nella domanda del consenso, nel porgersi la mano da parte degli sposi con la frase teologicamente equivoca del sacerdote «Io vi unisco in matrimonio», nella benedizione dell’anello, che lo sposo pone alla mano della sposa, e in una preghiera conclusiva.

Dei riti locali si erano mantenuti ad es. in Germania dove si tentò con successo di semplificarli e di unificarli in un rito nuziale comune, che apparve nel 1950 nel rituale delle diocesi tedesche Collectio rituum. Si trattava di «una “nuova costruzione”, però a partire da materiale tradizionale che era stato esaminato, selezionato, ripulito, ridotto e combinato in un nuovo insieme» 10; si era tenuto in particolare a mettere in rilievo gli elementi fondanti del consenso e della libera partecipazione dell’uomo e della donna. Questo rito nuziale ha influito efficacemente sul rito romano postconciliare.

Il Vaticano II ordinò la rielaborazione del rito nuziale del Rituale romano allo scopo di esprimere più chiaramente la grazia del sacramento, e di rilevare più efficacemente i compiti degli sposi. Esso rinnova l’auspicio del concilio di Trento e dell’antico Rituale romanum di mantenere assolutamente abitudini e usi lodevoli di singole regioni. Inoltre alle Conferenze episcopali è lasciata facoltà di «preparare... un rito proprio che risponda agli usi dei luoghi e dei popoli» (SC 77). «Il matrimonio in via ordinaria si celebri nella messa... La benedizione della sposa, [sia] opportunamente ritoccata così da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della fedeltà vicendevole...». I matrimoni fuori della messa devono essere inseriti in una liturgia della Parola (SC 78).

Il rito rinnovato apparve come parte del Rituale romanum il 19 marzo 1969 con il titolo Ordo celebrandi matrimonium. La versione italiana, approvata secondo le delibere dell’Episcopato e confermata dalla Congregazione per il culto divino, fu pubblicata il 30 marzo 1975 con il titolo Sacramento del Matrimonio. Una seconda edizione italiana, più attenta al discorso dell’adattamento, è in preparazione.

3. Il nuovo rito del matrimonio

Nelle premesse vengono innanzitutto ricordate le più importanti affermazioni teologiche sul sacramento del matrimonio e vengono date indicazioni pastorali per la preparazione degli sposi. «La celebrazione del matrimonio in via ordinaria si deve compiere durante la messa» (8). In tale forma emerge infatti meglio la connessione del sacramento con il mistero pasquale di Cristo. Tuttavia «per una giusta causa si può celebrare senza la messa, anzi, in qualche circostanza è consigliabile omettere la celebrazione dell’eucaristia» (8), quando ad es. gli sposi sono lontani dalla vita della chiesa o non intendono comunicare. Se si tratta del matrimonio tra un cattolico e un battezzato non cattolico «si deve usare il rito del matrimonio senza la messa. Se poi la circostanza lo richiede, si può, con il consenso dell’Ordinario del luogo, usare il rito del matrimonio durante la messa» (10). Nel matrimonio tra un cattolico e un non battezzato si deve seguire un rito particolare, senza messa. Come messa del matrimonio si dice la “messa degli sposi” del nuovo Messale (“Messe rituali”) a meno che si tratti di una messa cui partecipa la comunità parrocchiale in domenica o solennità. Tuttavia si deve sempre usare il formulano del giorno nel Triduo pasquale, nelle domeniche del tempo di Avvento, Quaresima e pasqua, nelle solennità di natale, epifania, ascensione, pentecoste, ss. Corpo e Sangue di Cristo o un’altra solennità di precetto (13).

La celebrazione del matrimonio nella messa ha la seguente struttura:

a) Riti di introduzione con accoglienza degli sposi e corteo all’altare;
b) Liturgia della Parola con omelia;
c) Liturgia del matrimonio: domande sulla libertà, fedeltà, procreazione e educazione dei figli; consenso, in due forme possibili, accettazione del consenso da parte del sacerdote (diacono); benedizione e consegna degli anelli; preghiera dei fedeli;
d) Liturgia eucaristica con benedizione della sposa e dello sposo;
e) Riti di conclusione.

a) Di regola il sacerdote (diacono) si reca all’ingresso della chiesa (o all’altare) e saluta gli sposi; se si svolge la processione all’altare egli li precede. Seguono gli abituali riti di introduzione della messa.

b) Le letture vanno prese dalle pericopi previste per la messa nuziale nel Lezionario, con la limitazione che quando si dice la messa del giorno nelle domeniche e solennità si può prendere solo una di tali letture. In tal modo si vuoI garantire che l’assemblea ascolti almeno una parte dell’annuncio biblico specifico del giorno. L’omelia del sacerdote, sul testo sacro, deve illustrare il mistero del matrimonio cristiano, la dignità dell’amore coniugale, la grazia del sacramento e i doveri degli sposi (25).

c) Le domande sulla disposizione a un matrimonio cristiano sono da intendere come una immediata preparazione al consenso costitutivo del matrimonio. Le tre domande che sono rivolte ai due sposi insieme si riferiscono alla libertà del matrimonio, alla fedeltà matrimoniale per tutta la vita e alla disposizione «ad accogliere responsabilmente e con amore i figli che Dio vorrà donarvi e a educarli secondo le leggi di Cristo e della sua chiesa». Queste tre domande si trovano quasi alla lettera già nel rito nuziale della Collectio rituum del 1950.
Per il successivo consenso sono possibili due forme, di uguale valore tra loro e fondate su diverse tradizioni.
Nella prima forma il testo del consenso si rifà alla tradizione anglosassone ed è l’unica accolta nel modello rituale romano. Esso suona: «Io, N., prendo te, N., come mia sposa e prometto di esserti fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita».
Nella seconda forma, il consenso è espresso attraverso il dei due sposi, preceduto ogni volta dalla domanda del sacerdote (diacono): «N., vuoi prendere N., come tua sposa, promettendo di esserle fedele sempre, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, e di amarla e onorarla tutti i giorni della tua vita?» (nella domanda alla sposa, con variazioni corrispondenti). Poiché con questo consenso il matrimonio è concluso, la formula che segue ha solo il carattere di una conferma e proclamazione delle nozze avvenute. Il sacerdote (diacono), mentre gli sposi sono davanti a lui con le destre congiunte (dall’inizio del consenso); dice: «I! Signore onnipotente e misericordioso confermi il consenso che avete manifestato davanti alla chiesa...».
Alla disponibilità all’amore esclusivo e alla fedeltà si accenna anche nella benedizione e consegna degli anelli. Le tre formule di benedizione (a scelta) interpretano gli anelli come segno del patto matrimoniale, come pegno della fedeltà e segno dell’amore. Il costume della Roma antica, per cui nel fidanzamento solo lo sposo dava alla sposa un anello, si affermò anche nelle cerimonie nuziali cristiane e attraverso il Rituale romano del 1614 si era mantenuto fino al più recente passato (in talune diocesi tedesche fino al 1950). In questo porgere l’anello “unilaterale” l’obbligo alla fedeltà delle due parti non trovava alcuna espressione simbolica poiché così, secondo la concezione del paganesimo antico, lo sposo unisce a sé la sposa e l’obbliga alla fedeltà, ma non viceversa. Mentre nel rito bizantino di fidanzamento e nel rito nuziale mozarabico la consegna degli anelli da entrambe le parti si afferma già nel sec. XX, gli sforzi costanti della chiesa ottennero solo nel sec. XIII che ad es. «in Germania anche nel diritto civile si arrivasse a un riconoscimento della fedeltà reciproca e quindi all‘uso di un doppio simbolo di fedeltà»11. Scambiandosi gli anelli gli sposi dicono successivamente: «N., ricevi questo anello, segno del mio amore e della mia fedeltà. Nel nome del Padre...».
Segue la preghiera dei fedeli, che nelle sue intenzioni non riguarda solo gli sposi, ma comprende anche genitori, bambini, parenti e amici come pure tutti quelli che vivono nel matrimonio o nella famiglia. I presenti che sono più intimi degli sposi possono proporre le intenzioni, usando formule proprie o scegliendo tra i quattro formulari preparati. Secondo la regola generale il celebrante dice la formula di introduzione e di conclusione.

d) Nella liturgia eucaristica che segue gli sposi possono prendere parte attiva nella preparazione dei doni presentando il pane e il vino per l’eucaristia. La messa degli sposi del nuovo Messale presenta tre prefazi (“La dignità del matrimonio”; “Il matrimonio come segno della nuova Alleanza”; “L’amore nuziale come segno dell’amore di Dio”).
Nelle Preghiere eucaristiche I-IV è prevista l’inserzione di particolari embolismi (come Hanc igitur o come “intercessioni”).
La benedizione della sposa e dello sposo, per la quale sono disponibili tre forme, mantiene il posto tradizionale dopo il Padre nostro, però al posto dell’embolismo “Liberaci o Signore”, che si omette. La si è designata anche come preghiera consacratoria a motivo del suo carattere in parte epicletico12 , per il quale il gesto delle braccia allargate è assai appropriato. Secondo il Vaticano II (SC 78) è una preghiera per entrambi gli sposi, non solo per la sposa. Mentre la prima forma segue ancora da vicino la formula finora in uso, le altre due sono creazioni nuove, tra le quali la terza forma si distingue per la sua brevità e il suo concreto realismo. Alla comunione gli sposi ma, a giudizio dell’Ordinario, anche tutti i presenti, possono comunicarsi sotto le due specie.

e) La celebrazione del matrimonio si conclude con la solenne benedizione finale, per la quale sono presentati tre formulari a scelta. Conclusa l’intera celebrazione viene sottoscritto l’Atto di matrimonio, meglio se su un tavolo in presbiterio, così che la funzione dei testimoni possa avere una migliore espressione nell’ambito della celebrazione liturgica.

Il matrimonio senza la messa

Se il matrimonio non può aver luogo nella messa, che è il caso ideale, oppure non lo si desidera in tale sede (cfr P 8), i riti nuziali descritti hanno luogo nel quadro di una liturgia della Parola. Dopo l’accoglienza (facoltativa) la liturgia della Parola inizia con i riti di introduzione (saluto e colletta), e quindi si eseguono le letture (anche tre; il Vaticano II chiede che «si leggano l’epistola e il vangelo della messa per gli sposi», SC 78). Dopo la benedizione della sposa e dello sposo, opportunamente ordinata con la Preghiera universale, se non si può celebrare la messa e si deve distribuire la santa comunione, si fa precedere a questa il Padre nostro e si fa seguire l’Orazione dopo la comunione (55).

4. Il problema dei matrimoni ecumenici

Il numero dei matrimoni tra sposi di diversa confessione è andato sempre crescendo nella seconda metà del nostro secolo. Non sempre dietro un tale vincolo c’è l‘indifferentismo religioso. Proprio per questo molti partners di diversa confessione lamentano il fatto che la legislazione canonica nel matrimonio nella chiesa di uno degli sposi non rispetta la coscienza dell’altro e si giunge così a frequenti divergenze con i familiari. A questo disagio dai molti aspetti cercò di rimediare il motu proprio Matrimonia mixta di Paolo VI, del 31 marzo 197013, introducendo la possibilità in caso di “difficoltà gravi” di chiedere la dispensa dalla forma canonica del matrimonio. Essa viene concessa dal vescovo su domanda degli sposi, attraverso il competente parroco cattolico, e ha per conseguenza che già il consenso pubblico e legale davanti all’ufficio di stato civile costituisce un valido matrimonio. «Esso viene iniziato davanti a Dio ed è un sacramento. Al riguardo si dovrebbe considerare che una forma religiosa corrisponde meglio alla dignità del sacramento che non il matrimonio solo civile... Alla celebrazione ecclesiastica sia nella chiesa cattolica che - con dispensa dall’obbligo della forma - in una chiesa non cattolica può prendere parte volta a volta il ministro dell’altra confessione. Per molti questa sarà una confortante conferma che essi rimangono nella comunione della loro chiesa anche quando il matrimonio ha luogo nella chiesa del loro partner. I responsabili delle chiese cercheranno insieme di elaborare testi per una tale celebrazione14»

E in effetti sono stati elaborati, specie in paesi a consistente presenza protestante, dei rituali che contemplano ad es. (in Germania) un matrimonio cattolico nella chiesa cattolica con partecipazione del ministro evangelico e un matrimonio evangelico nella chiesa evangelica con partecipazione del ministro cattolico.

Sarebbe certo inesatto e prematuro designare un tale matrimonio già come ecumenico, poiché un tale concetto presuppone una comunione nella valutazione teologica del matrimonio religioso, la quale purtroppo non c’è ancora. Infatti il matrimonio civile obbligatorio che precede, secondo la concezione protestante è il vero contratto matrimoniale, mentre il matrimonio religioso è solo una benedizione successiva; la chiesa cattolica invece vede nel matrimonio religioso il vero contratto matrimoniale, a prescindere completamente dalla diversa concezione in rapporto alla sacramentalità Per questo si evita intenzionalmente l’espressione “matrimonio ecumenico”.

Altrove (Svizzera) riti del genere prevedono anche una celebrazione presieduta solo da un ministro - evangelico o cattolico - ma strutturata in modo che essa possa essere senz’altro compresa, accettata e compiuta insieme dai partecipanti delle due confessioni. Nel caso che a celebrare il matrimonio sia il pastore protestante, provvisoriamente è ancora necessaria per il partner cattolico la dispensa dall’obbligo della forma cattolica.

In altri casi (archidiocesi di Freiburg i.B. e chiesa evangelica del Baden) si ha anche un ordinamento rituale che non è legato a una determinata chiesa e permette una cooperazione, possibilmente con gli stessi diritti, dei due ministri interessati; in essa le singole parti dei riti nuziali sono ampiamente intercambiabili, per cui è necessaria una intesa previa. La dispensa dell’obbligo di forma per il partner cattolico non è necessaria perché in ogni caso la domanda di consenso è compiuta dal ministro cattolico autorizzato alla celebrazione.

Sembra che sia imminente una revisione dell’Ordo celebrandi matrimonium romano, e in connessione a ciò è prevedibile una rielaborazione dei rituali descritti. In essa sarebbe auspicabile che «fosse più l’interna struttura liturgica della celebrazione a determinare il cambio dei moli che non il problema di una uguale distribuzione dei compiti tra le confessioni. Dovrebbe essere indispensabile che la prassi della comunità che di volta in volta celebra in una chiesa fosse la norma fondamentale della celebrazione con partecipazione del ministro di un’altra confessione. Sarebbe inoltre desiderabile che possibilmente non si dovesse rinunciare a nessuna delle azioni simboliche (il porgersi reciprocamente la mano, lo scambio degli anelli) nel quadro di un matrimonio religioso comune».16

5. La celebrazione del fidanzamento e degli anniversari di matrimonio

Il Benedizionale romano apparso nell’autunno 1984 (come parte del Rituale romanum) contiene un “rito di fidanzamento”17. Esso può sere guidato da uno dei genitori o da un altro laico o anche d un sacerdote o diacono; in quest’ultimo caso bisogna far attenzione che la celebrazione non sia scambiata dai presenti con quella del matrimonio (196). Sempre per questa preoccupazione viene proibito di unirla con una messa (198). Mantenendo la struttura e gli elementi importanti del rito, questo può essere adattato alle circostanze. Esso consiste in: riti di introduzione, liturgia della Parola (fortemente influenzata dal Benedizionale tedesco del 1978), benedizione degli anelli o di altri doni di fidanzamento, e una preghiera di benedizione con una formula di benedizione conclusiva.

Già nel primo Medioevo si incontrano testi liturgici per il trentesimo giorno dopo il matrimonio e per gli anniversari. Però solo con l’inizio dell’Illuminismo si trovano in molti rituali diocesani dei riti per le nozze d’oro e più tardi anche per quelle d’argento. Il Rituale romanum solo nel 1950 accoglie un tale rito18.

Il nuovo Messale raccomanda per gli anniversari del matrimonio, quando è possibile secondo le rubriche, la messa votiva di ringraziamento (MI 747), presentando le orazioni presidenziali, per l’anniversario, il venticinquesimo e il cinquantesimo di matrimonio (MI 748-750).

Adolf Adam

Note

  1. M. SCHMAS, Katholische Dogmatik, vol. IV/1, München 19522-3, 622 [trad. it., Dogmatica cattolica, vol. IV/1, Marietti, Casale M., 716).
  2. Il Matrimonio come comunità di fede (in prospettiva protestante), in Handbuch der Elterbildung, vol. I, Einsiedeln 1966, 400; cfr. ID., Die Ebe im Neuen Testament, Zürich 1967, 232-235.
  3. M. SCHMAUS, op. cit. (nota 1), 623 [trad. it., Dogmatica IV/1, 717.
  4. GS 48.
  5. Nr. 9: EV III, 1449-50, 2439.
  6. P. JOUNEL, Die Ehe, in MARTIMORT (1) II, 130 (trad. It. La Chiesa in preghiera, Desclée, Roma, 640).
  7. Ivi, 138 (trad. It., La Chiesa…,649).
  8. Il testo latino in K. RITZER, Formen, Riten und relidiöses Brauchtum der Eheschliessung in den christlichen Kirchen des ersten Jahrtausends (LQF 38), Münster 19621, 314.
  9. Sess. XXIV (11 novembre 1563), De matrimonio, cap. 1 : De reformatione, in J. ALBERIGO e altri, Conciliorum oecumenicorum decreta, Freiburg i.Br. 1962, 732.
  10. J. WAGNER, Zum neuen deutschen Trauungritus, in Lj 11 (1961) 165.
  11. R. KÖSTER, Ringwechsel und Trauung, in Zeitschrift: der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanon. Abt. 22 (1933) 11.
  12. K. RICHTER, Die kirchliche Trauung, Freiburg i. Br. 1979, 63.
  13. Testo tra gli altri in III in, 1440-53; particolarmente importante il nr. 9.
  14. Ad es. per la Germania vedi il pieghevole pubblicato dai vescovi The neue Ordnung für die konfessionsverschiedene Ebe (20 novembre 1970) nr. 5; cfr. anche le norme esecutive della Conferenza episcopale tedesca del 23 settembre 1970, pubblicate nei fogli ufficiali diocesani (ad es. Mainz 112, 1970, 71s.).
  15. Cfr. H. HAMMER, Ökumenische Trauung, in GD 4 (1970) 97 s.
  16. B. KLEINHEYER, in HLW VIII, 145.
  17. Ordo benedictionis desponsatorum, p. 79-84, nr. 195-214.
  18. Documentazione in B. Fleinheyer, in HLW VIII, 148 s.

 

Letto 8782 volte Ultima modifica il Venerdì, 24 Gennaio 2014 17:33
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Altro in questa categoria: « 32.a. La domenica Corso di Liturgia »

Search