Formazione Religiosa

Lunedì, 22 Dicembre 2008 00:49

Dall’«Evangelo» ai vangeli (Marco Vironda)

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Vangelo secondo Marco


Dall’«Evangelo» ai vangeli


di Marco Vironda



 


Verso la metà del primo secolo della nostra era l'apostolo Paolo parlava del vangelo in termini di annuncio, pressoché orale, della salvezza che Dio offriva agli uomini in Gesù Cristo; Giustino, verso la metà del II sec. d.C., citava le «memorie degli apostoli dette euanghélia », intendendo con questo termine i testi scritti: in cento anni il termine greco euanghélion (evangelo) aveva assunto nuovi significati, che lo avrebbero caratterizzato per i successivi due millenni, e ancora oggi l'accezione più comune del vocabolo si riferisce a quattro opere letterarie che narrano grossomodo la vita di Gesù, i Vangeli. Che cosa portò a utilizzare il termine in modo nuovo? come si ebbe questa estensione di significato? quale processo condusse alla formazione di queste opere letterarie, nel nostro caso al Vangelo di Marco?



 


Dietro la storia di questo termine c' è la storia della comunità che lo adottò, ci sono gli eventi e le idee che ne caratterizzarono l'uso. Ci pare interessante ripercorrere questa vicenda ponendola in parallelo con lo sviluppo della scienza che ha studiato il vangelo e i Vangeli, l'esegesi.


 


Un lieto annuncio



Sull'accezione originaria del termine vangelo si è molto discusso, nel tentativo di rintracciarne la provenienza dal mondo ellenistico, dove al plurale indica una buona notizia con valenze politico-religiose (cf l'iscrizione di Priene sulla nascita di Augusto o il romanzo Calliroe di Caritone), o dal mondo giudaico, dove il sostantivo denota un lieto annuncio, anche qui spesso di carattere religioso-politico, ed il verbo corrispondente può presentare come contenuto la salvezza da parte di Dio (cf Is 40,9; 52,7-8; 60,6; 61,1-2). In nessun caso però ritroviamo la pregnanza di significato che il vocabolo aveva nella Chiesa primitiva quale ci è attestata negli scritti del NT.


 


Per comprendere quindi l'uso di euanghélion nella primitiva comunità cristiana possiamo partire dal suo significato di base, ovvero lieto annuncio (nell'antichità classica il termine al singolare indicava la ricompensa per il latore della notizia). Questo annuncio riguarda sempre la salvezza, a volte descritta come regno, che Dio offre agli uomini in Gesù Cristo, quindi con un preciso riferimento alla persona del Nazareno, alla sua vita, morte e risurrezione, che manifestano la presenza salvifica di Dio. Tale salvezza era anticipata per profezia nella Scrittura ed ora veniva finalmente offerta a tutti gli uomini. La predicazione della comunità primitiva non legava la salvezza ad una data, ma certo ne riconosceva la relazione vincolante con la persona e l'evento di Gesù di Nazaret, per cui l'annuncio necessitava di un riferimento storico, come è evidente nei Vangeli, ma riscontrabile anche nelle lettere di Paolo (es. Rm 1,3-4; 1 Cor 11,23; 15,3-5).


 


La cura nei riguardi del ricordo storico della persona di Gesù Cristo favorì la trasmissione degli eventi della sua vita, principalmente quelli che potevano illustrare ed illuminare il messaggio salvifico legato alla sua persona: è logico supporre che nella Chiesa primitiva coloro che avevano vissuto insieme a Gesù comunicassero ciò che egli aveva detto e insegnato, i miracoli compiuti e le parabole narrate, la sua passione e la sua risurrezione (esigenza manifesta in At 1,21-22). Tale racconti circolarono quindi nelle comunità, furono adattati alle esigenze della memorizzazione per favorirne la trasmissione fedele, che almeno inizialmente doveva essere orale secondo le modalità dell'epoca, furono utilizzati per organizzare la vita dei cristiani e per rispondere ai problemi che potevano sorgere all'interno delle comunità o nei rapporti con il mondo, furono probabilmente raccolti per analogia di contenuto o di forma (raccolte di parabole, di miracoli, la storia della passione).


 


La tradizione orale



Possiamo affermare ciò perché l'esegesi ha conosciuto un periodo in cui era vivace l'interesse verso la persona storica di Gesù ed il ruolo della comunità nella trasmissione delle notizie riguardanti lui; quindi ha elaborato alcune metodologie per ricercare, a partire dai testi a nostra disposizione, quali furono le fonti a cui si riferirono gli evangelisti, cioè le tradizioni accennate. sopra, e ne studiò la trasmissione e lo sviluppo anche in riferimento all’ambiente in cui erano nate; furono così messi a punto il source criticism , ricerca delle fonti o delle tradizioni, ed il form criticism , in tedesco Formgeschichte , storia delle forme, studio dello sviluppo delle piccole unità letterarie (ad es. una parabola, un miracolo) e dell'ambiente in cui queste forme si sono consolidate (ad es. la liturgia, la controversia con il mondo giudaico). In tal modo, grazie ai risultati di queste metodologie, oggi siamo in grado di avvicinarci con buona approssimazione alla fase preletteraria, o, per dire meglio e più ampiamente, al periodo in cui le tradizioni venivano elaborate e trasmesse in modo orale o comunque precedente alla redazione dei nostri vangeli.


 


Anche per quanto riguarda il Vangelo di Marco gli esegeti hanno tentato di recuperare le fonti o le tradizioni di cui si servì per comporre il testo, ed hanno ottenuto risultati diversi a seconda del ruolo che essi attribuivano all'evangelista: quando Marco era considerato poco più di un compilatore o raccoglitore di memorie, si presumeva una stretta dipendenza letteraria dalle tradizioni utilizzate, e quindi c'era maggiore fiducia circa la possibilità di ritrovarle intatte nel testo; più Marco era stimato come autore, meno la sua opera era giudicata aderente alla forma originaria delle fonti. Bisogna ammettere che c' è varietà circa l' estensione e la forma delle fonti supposte, ma è comunque possibile avanzare delle ipotesi.


 


Le fonti di Marco



Si può immaginare che Marco avesse a disposizione alcuni elementi di una tradizione circa il Battista (1,2-15), una raccolta di controversie (2,15-3,6), una di parabole (cf c. 4), una di miracoli (es. 3,7-12; 4,35-39; 5;1-43; 6,32-56);una tradizione circa una giornata di Gesù a Cafarnao (1,29-39), una raccolta di materiale catechetico e comunitario (cf c. 10), una versione primitiva della storia della passione (cf cc. 14-15), forse comprendente anche gli annunci di essa (ad es. 8,27-33; 9,2-13.30-35; 10,32-34). È bene precisare che anche all'interno di questi brani il ruolo dell'evangelista può essere stato rilevante: ad es. si può ammettere l' esistenza di una raccolta di controversie a cui si sia riferito il nostro autore e ritenere al contempo che la forma attuale di 2,1-3,6 sia frutto del suo genio letterario (come sostiene Dewey).


 


Attualmente un buon numero di esegeti, particolarmente fra quelli che si interessano delle caratteristiche letterarie del Vangelo, tende a riconoscere all' evangelista un ruolo sempre più indipendente e attivo, e a dubitare dell'esistenza di rigide collezioni premarciane ( es. circa una raccolta di miracoli, di controversie, e una storia della passione). Essi giungono a tali risultati partendo dalla constatazione che nel testo sono in atto espedienti letterari che si ritrovano anche all'esterno dei blocchi di tradizioni menzionati sopra (es. relazioni fra storie simili, doppioni, strutture concentriche o chiastiche, del tipo A B C B A, un intreccio particolarmente coerente della vicenda), espedienti che possono essere quindi accreditati alla capacità dell'autore di unificare il testo. Senza nulla togliere all'abilità dell'autore, si deve però riconoscere all'interno delle citazioni sopra riportate gli elementi di una tradizione orale che ha assicurato la tra-smissione del Vangelo e lo ha reso comunicabile e comprensibile con alcune splendide icone letterarie.


 


L'opera dell'evangelista


 


Abbiamo fin qui seguito il percorso che va dal Gesù terreno all'elaborazione, trasmissione e raccolta delle tradizioni apostoliche che lo riguardavano, e abbiamo tentato di riconoscerle nel Vangelo di Marco grazie ai risultati dell'esegesi storico-critica. Ma come e perché si è giunti ad avere un testo unico a partire da molteplici tradizioni? Quasi seguendo lo stesso percorso del Vangelo, anche l'esegesi, dopo aver studiato le fonti della Scrittura, si è interessata alla composizione degli scritti sacri. A questo problema ha tentato una risposta un'altra metodologia esegetica, la Redaktionsgeschichte , ovvero la ricerca della storia della composizione o redazione.


 


Nell'ipotesi classica, formulata ad esempio da R. Bultmann nella sua storia della tradizione


sinottica e condivisa da buona parte degli studiosi, si ritiene che il nucleo primitivo del vangelo, inteso come predicazione orale, fosse strutturato attorno allo schema di 1 Cor 15,3-5; morte e risurrezione di Cristo secondo le Scritture; da qui con l'aggiunta di altre tradizioni circa l'operato e l'insegnamento di Gesù si sarebbe giunti alla configurazione di un’opera letteraria scritta quale Marco; con ulteriori integrazioni (ad es. i capitoli sulla nascita) in seguito vi sarebbe stata l'elaborazione degli altri Sinottici ed infine, per un processo di deviazione e selezione del materiale, i Vangeli apocrifi.


 


Questa teoria deve però confrontarsi con un'ipotesi altrettanto seria e meritevole di essere presa in considerazione, quella espressa ad esempio da C.H. Talbert. L’autore nota anzitutto che non è possibile ritenere che esistesse una sola forma del cherigma primitivo, quella identificata in 1 Cor 15,3-5: Paolo stesso conosce altri schemi, come dimostra 2 Cor 5,17-19, dove descrive la salvezza come riconciliazione del mondo in Cristo; inoltre la morte di Gesù poteva essere spiegata anche con il rifiuto da parte del popolo e la sua risurrezione come vittoria e approvazione finale da parte di Dio (così probabilmente era nella fonte Q, un gruppo di tradizioni precedenti la redazione dei nostri Vangeli concernente soprattutto discorsi di Gesù), ed il perdono dei peccati, connesso in molte tradizioni alla morte di Gesù, si trova peraltro descritto anche come proveniente dal Cristo risorto (cf Lc 24,47). C'erano quindi nella Chiesa primitiva molti modi per parlare della salvezza. In secondo luogo, nell' antichità un genere letterario, nel nostro caso il tipo di opera che avremmo poi chiamato Vangelo, era adottato in modo consapevole come strumento espressivo che unisce inscindibilmente forma e contenuto: è difficile pensare al Vangelo come ad un testo nato per aggregazione progressiva di vario materiale senza una visione unitaria precedente.


 


Talbert ci offre quindi una proposta alternativa, partendo da una definizione di «evangelo» più ampia e meno vincolata ad un'unica espressione letteraria: vangelo è la buona notizia che la divina presenza è manifesta in Gesù per la nostra salvezza. Ora questo annuncio può essere espresso in varie forme, non solo parlando della morte e risurrezione secondo le Scritture, ma anche descrivendo la stessa salvezza secondo moduli diffusi nell'epoca. La tesi dell'autore è quindi che molto presto la comunità abbia espresso la propria fede radunando le tradizioni su Gesù per esempio in raccolte di miracoli, sulla base di un genere letterario diffuso nel Mediterraneo, l'aretalogia o esaltazione delle virtù dell’eroe, oppure in raccolte di detti e insegnamenti, anche qui in riferimento ad un genere letterario adottato per la vita e l’insegnamento di maestri e fondatori di scuole, oppure ancora raccogliendo gli insegnamenti di tipo escatologico e apocalittico, sulla base del genere letterario delle apocalissi giudaiche.


 


Chiaramente questi diversi complessi di tradizioni orali offrono una diversa immagine di Gesù, pur essendo espressione dello stesso vangelo di salvezza: una raccolta di miracoli presenta Gesù come uomo divino, taumaturgo e liberatore, che agisce per potenza di Dio e che comunica tale potere alla sua Chiesa; una raccolta di insegnamenti lo descrive invece come maestro, rivelatore di Dio e guida della comunità, nel caso di un discorso apocalittico rivelatore e mediatore della futura salvezza; una storia della passione lo rappresenta come martire, eroe, che percorre con fedeltà il cammino di Dio a favore dell’umanità, eventualmente parlando della salvezza come perdono dei peccati.


 


Di fronte alla molteplicità di queste espressioni gli evangelisti, e Marco per primo, avrebbero riunito queste varie presentazioni in un tutto organico ed integrato, evitando i riduzionismi e le selezioni tipiche delle correnti eretiche: la scelta di una struttura narrativa permise quindi di raccogliere le diverse immagini di Gesù e al contempo di porle tutte sotto una precisa interpretazione.


 


Narrazione e interpretazione



Il nostro Vangelo narra infatti una storia della passione e presenta una connessione fra la morte di Gesù ed il perdono dei peccati (cf Mc 10,45; 14,24), ma l’annuncio della presenza divina manifestatasi in Gesù si realizza anche nella descrizione della potenza che opera in lui nei miracoli e nelle guarigioni, nell'autorevolezza del suo insegnamento, nell'importanza di partecipare con il discepolato alla sua guida-strada, nella speranza che Gesù apre per il futuro. Ora, la storia della passione è ermeneutica della vita di Gesù, ovvero mostra quale dedizione a Dio e all'uomo riluca in lui, quale sia la via di Dio, come si realizzi la salvezza, ma viceversa gli eventi della vita di Gesù (miracoli, insegnamenti, stile) offrono l'unico contesto interpretativo per capire la sua morte e risurrezione: Gesù di Nazaret è compreso correttamente solo nella prospettiva del suo destino di crocifisso, e tuttavia l'uomo crocifisso non è altri che Gesù di Nazaret.


 


Notiamo ancora come ogni particolare tradizione assuma, all'interno di una cornice narrativa, una precisa interpretazione: ad es. un detto avulso da ogni contesto, come spesso accade nel Vangelo di Tommaso o nella fonte Q, può essere soggetto a spiegazioni molto più libere che non in Marco, dove la pericope che lo contiene offre indicazioni per la sua interpretazione; un miracolo descritto in Marco assume una profondità e mantiene una possibilità di influire sulla figura di Gesù, dei discepoli e della folla in modo consistente nell'intera narrazione, mentre in un vangelo apocrifo che presenta unicamente una serie di prodigi ciò non avviene.


 


Comprendiamo bene allora come la forma narrativa del Vangelo abbia permesso di assicurare la trasmissione di un contenuto più ricco e completo di quello delle semplici raccolte di tradizioni, ed inoltre di vincolare alla trasmissione del contenuto anche la fedeltà dell’interpretazione ecclesiale. Quanto questo fosse importante per la comunità primitiva è evidente per se; inoltre constatiamo come altre interpretazioni della salvezza e della persona di Gesù abbiano prodotto opere letterarie dove l'immagine di Gesù è descritta entro schemi più fissi, per esempio solo come rivelatore, oppure solo taumaturgo e operatore di prodigi: è il caso di molti Vangeli apocrifi, cioè di quelli che non sono stati assunti dalla tradizione ecclesiale come rappresentanti di una corretta presentazione del Signore e del suo vangelo.


 


Come l'evangelista abbia dato forma al suo testo, cioè quale risultato abbia ottenuto, sarà oggetto di un successivo articolo che ne esaminerà la struttura e la composizione; con il presente ci proponevamo di introdurre alla storia che portò i racconti intorno alla figura di Gesù a riunirsi in collezioni orali e quindi in un'opera letteraria articolata, mostrandone anche le possibili motivazioni ecclesiali, che trovano riscontro nell'opera letteraria.


 


Torniamo ora al termine «evangelo» : la sua presenza nella titolatura della prima opera letteraria che narrava della buona notizia della salvezza in Gesù (cf Mc 1,1), il fatto che il contenuto e la finalità di questi libri coincidessero in buona parte con il contenuto e la finalità della predicazione-evangelo, che l'oggetto del loro racconto risalisse alle tradizioni trasmesse dai «testimoni oculari» (Lc 1,2), che siano stati scritti a vantaggio della missione e della fede della comunità cristiana (cf Gv 20,31), che in essi trovi riferimento l'esigenza di storicità insita nell'annuncio di un evento salvifico, sono tutti motivi che favorirono l'ampliamento di significato per cui, con una sorta di sineddoche (il contenuto per il contenente), si passò ad indicare con «evangelo» non solo l'annuncio, ma anche il testo che poteva veicolarlo.


 


Non riteniamo probabile che al tempo della formazione del Vangelo di Marco il vocabolo euanghélion potesse designare un particolare genere letterario (il tipo di letteratura) né tantomeno la singola opera; esso indicava la buona novella della salvezza in Gesù Cristo. Fu merito degli evangelisti averla descritta in termini di narrazione, offrendo un'immagine completa del suo protagonista, una precisa interpretazione, tanto che le loro opere furono in seguito identificate con la buona novella o «vangelo».


 

Letto 3348 volte Ultima modifica il Giovedì, 03 Settembre 2009 18:25
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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