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Martedì, 18 Novembre 2008 23:54

Teologia dell'Antico Testamento. Cap.2.3.A. Profezia - Le origini

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I libri profetici sono considerati dalla maggior parte dei critici moderni il punto più alto della rivelazione, dell’esperienza religiosa di Israele e della Teologia dell’Antico Testamento. Eppure è difficile delineare le origini della rivelazione profetica. Ciò che si conosce della profezia più antica indica che il punto più alto della rivelazione biblica proviene da origini umili e persino poco dignitose.

Teologia dell'Antico Testamento

Cap. 2.3.A
Profezia


A. Le Origini

I libri profetici sono considerati dalla maggior parte dei critici moderni il punto più alto della rivelazione, dell’esperienza religiosa di Israele e della Teologia dell’Antico Testamento. Eppure è difficile delineare le origini della rivelazione profetica. Ciò che si conosce della profezia più antica indica che il punto più alto della rivelazione biblica proviene da origini umili e persino poco dignitose. Samuele il veggente era il saggio di un villaggio che per un piccolo compenso poteva dire dove cercare gli animali smarriti, e presumibilmente anche altre cose che si fossero perdute (1Sam. 9,6-8.20).

I precursori dei profeti di Israele in altri contesti dell’antico Vicino Oriente presentano delle analogie soltanto remote e limitate alla forma. I profeti di Mari parlavano al re servendosi della stessa “formula del messaggero” usata dai profeti di Israele. La formula del messaggero è quella formula usata dal corriere del re che imparava a memoria il messaggio e poi, dopo un’introduzione formale: “Così dice X re di Y”, recita il messaggio in prima persona, parlando a nome del re. I profeti di Israele differiscono chiaramente, sia dal punto di vista della forma sia da quello del contenuto, dagli indovini e dai vati.

Il termine ebraico per indicare il profeta, nabi’, ha significato ed etimologia incerti. Nella sua attestazione più antica il termine designa dei gruppi che comparvero agli inizi della monarchia. Gruppi simili compaiono più tardi, sempre nel periodo monarchico, al tempo di Elia, e sono chiamati “figli dei profeti”. Le caratteristiche di questi gruppi sono diverse, ma non fino al punto che non si possa riconoscere tra di essi una certa continuità. Il gruppo più antico può essere considerato un gruppo cultuale, la cui forma di culto specifica consisteva in una sorta di culto estatico con il canto e la danza (1Sam. 10,10-12; 19,20-24). Il gruppo più recente è meno chiaramente un gruppo cultuale; i suoi membri sono piuttosto colleghi, compagni, discepoli o assistenti dei profeti Elia ed Eliseo, che sono chiamati nabi’. I due gruppi rappresentano l’elemento conservatore in Israele, sia in campo religioso che in quello politico, aderivano cioè alle tradizioni sociali e cultuali e si opponevano alla monarchia e alle sue innovazioni.

Non c’è però una relazione evidente tra un simile gruppo o anche i suoi leaders e il tipo di portavoce cui si applica il titolo di nabi’, nei libri profetici. Ci sono poi altri gruppi di profeti che si possono chiamare profeti reali o di corte. Pronunciavano oracoli e conservavano un po’ del carattere estatico dei gruppi più antichi. Il fatto che fossero consultati regolarmente si ritiene che il titolo di profeta fosse applicato ad alcuni funzionari del culto. Questo tipo di profeta proclama la parola di Jahweh ed è questo che ha in comune con quelli chiamati “profeti classici”, i profeti le cui parole sono conservate nel canone profetico.

I riferimenti ai profeti cultuali di Jahweh nell’A.T. non sono chiari; se ne parla in opposizione ai profeti di Baal, che sono chiaramente descritti come impegnati in atti di culto (1Re 18,17-40). Il profeta cultuale è per definizione un funzionario del culto, regolarmente incaricato di compiere una certa funzione cultuale; la sua capacità di compiere la funzione gli viene dall’incarico. Si pensa che questi profeti cultuali rispondessero alle domande e alle richieste nell’ambito del culto; essi parlavano a nome di Jahweh (Sal. 2,6-10; 20,6-8). C’è chi pensa che i profeti di 1Sam. 9-10.19 abbiano i loro corrispondenti o i loro successori nel culto dei templi in coloro che formavano i cori del tempio e partecipavano al culto con i canti e con la danza. Questi sono i predecessori dei cori levitici del Cronista.

Questo tipo di profeti sembra non essere omogeneo, però, tutti i profeti di questo tipo sollevano il problema della profezia “di professione”. Questo termine è usato in opposizione alla condizione dei profeti classici, nessuno dei quali dimostra di essere membro di un gruppo di professionisti. Amos nega di essere profeta o figlio di profeta (Am. 7,14-15); egli “profetizza” (cioè parla e agisce da profeta)in seguito ad un ordine esplicito di Jahweh. Il testo, pur rivelatore, è anche difficile. Le parole “profeta” e “figlio di profeta” possono soltanto significare la negazione di appar­tenere a quei gruppi chiamati con quei nomi. Con questo Amos non nega che anche gli altri che si dicono profeti parlino anch’essi in seguito ad un ordine di Jahweh. È in base all’ordine ricevuto che egli chiama “profetizzare” il suo parlare? L’elemento unico e comune non sta nel contenuto o nell’incarico, ma nel fatto che le parole di Amos, come quelle dei profeti, sono la parola di Jahweh che era il carisma dei profeti, così come la Torah era il carisma dei sacerdoti e il consiglio il carisma del saggio (Ger. 18,18); in questa prospettiva Geremia ammette un conflitto tra lui e gli altri che sono chiamati profeti.

Il profeta di professione possedeva una certa capacità che lo distingueva dagli altri che questa capacità non avevano; la sua unica o principale fonte di reddito era la sua professione. La capacità in questione, che noi chiamiamo carisma, è quella di annunciare la parola di Jahweh. Il carattere professionale del carisma implica che esso poteva essere acquisito diventando membro di un gruppo di professionisti e attraverso la pratica. I profeti praticavano una disciplina estatica di gruppo. Non viene detto esplicitamente (eccezione per Eliseo) che la proclamazione della parola di Jahweh fosse il risultato normale ed atteso dell’estasi di gruppo; ma è probabile che fosse proprio questo il risultato atteso. Possiamo supporre che il profeta di professione fosse un appartenente a uno di questi gruppi e conosceva le tecniche dell’estasi sufficientemente bene per proclamare la parola di Jahweh, sia come membro del gruppo, sia – più raramente – a titolo personale. Dietro a questo atteggiamento professionale c’è questa teoria: Jahweh è disposto e vuole parlare a coloro che vogliono ascoltare; e quelli che accettano di sottoporsi ad una disciplina appropriata possono riuscire ad aprire le loro orecchie e a sentire la parola che molti uomini sono incapaci di sentire.

I profeti di corte compaiono con il regno di David. Gad è associato a Davis ancor prima che questi diventi re (1Sam. 22,5). Sia a Gad (2Sam. 24) sia a Nathan (2Sam. 12) sono attribuite espressioni caratteristiche dei profeti, vale a dire rimproveri morali rivolti al sovrano. A Gad è attribuita la scelta del sito del tempio di Sion (2Sam. 24), a Nathan l’oracolo che assicura la stabilità della dinastia di David (2Sam. 7). Non si sa nulla sull’origine di questi profeti; sembra fossero profeti di professione nel senso definito sopra, ed è impossibile che provenissero dal gruppo dei profeti addetti al culto.. Quando sale al trono Salomone – ci si sarebbe aspettato un oracolo profetico – l’intervento di Nathan consiste semplicemente nella partecipazione ad un intrigo di corte (1Re 1). La scelta di un successore di David non fu fatta in base alla parola di Jahweh, ma in base alla parola di David, e così fu intesa. Sembra che sia Gad che Nathan fossero funzionari reali, ma essi non sono inclusi nelle liste dei funzionari di David (2Sam. 8,15-18; 20,23-26; 1Re 4,1-6). In altri casi troviamo dei re che consultano dei profeti senza che sia specificato se si tratta di profeti di corte (1Re 14,1-16), e qualche volta è detto esplicitamente che non lo sono (2Re 3,11-19; 23,14-20). Tra i profeti classici, sia Isaia sia Geremia furono consultati dai re, ma è molto improbabile che Isaia fosse un profeta di regale e Geremia certamente non lo fu.

La posizione di Samuele va considerata ambigua. Non si può affermare con certezza che:

- ciascuno dei brani narrativi di Samuele conservi il suo carattere originario;

- che il nabì’, anche nella sua forma più primitiva, sia nato con Samuele o nel suo periodo.

L’importanza e l’influenza di Samuele si spiegano meglio se si suppone che egli fosse il capo dei “figli dei profeti” e pertanto esercitasse un’influenza più vasta, non limitata ad un luogo o ad una tribù. In un periodo più tardo della trasmissione delle tradizioni, non si conosceva nessuna figura analoga in Israele e Giuda, e il ruolo e la missione di Samuele furono allora trasferiti nel nabì’.

La coerenza che lega i profeti dei libri dei Re consiste nel carattere conservatore, come rappresentante delle tradizioni religiose, politiche e sociali di Israele. Non è che ogni cambiamento di dinastia avvenga per la parola di un profeta; però, quando la parola è pronunciata, è una parola conservatrice. La parola di Shemaia a Geroboamo, che gli ordina di ribellarsi a Salomone, è il prodotto degli storici Deuteronomisti e accusa Salomone di favorire il culto di altri dèi. Il racconto di 1Re 12 fornisce altre informazioni a proposito di Salomone; qui l’obiezione principale contro la monarchia è l’istituzione del lavoro forzato, esattamente lo stesso tipo di schiavitù dalla quale Jahweh aveva liberato gli antenati di Israele in Egitto. Lo stesso Shemaia più avanti legittima la rivolta (1Re 12,22-24) con un oracolo che proibisce a Roboamo di reprimere la rivolta con la guerra.

È curioso che i racconti successivi si interessino molto di più ai profeti di Israele che non a quelli di Giuda. Non si fa menzione di nessun profeta nel regno di Giuda tra Roboamo e Isaia, un lasso di tempo di circa 200 anni (Cronache forniscono i profeti mancanti, ma saranno esistiti questi profeti?). È del tutto inverosimile che non ci siano stati profeti in Giuda; è possibile che la monarchia di Giuda e il clero di Gerusalemme abbiano lasciato poco spazio di azione ai profeti. Nella rivolta di palazzo durante la quale Joash succedette ad Atalia (2Re 12), fu il sacerdote Joiada che svolse il ruolo di guida. In Israele i profeti erano attivi, o almeno le parole profetiche erano registrate. La parola di Akhia predisse la caduta della dinastia di Geroboamo (1Re 14,1-6); lo stile è deuteronomistico. Jehu predisse la caduta della casa di Baasha (1Re 16,1-4); le parole attribuite a Jehu sembrano riferirsi alla caduta della casa di Omri, ma a noi non interessa la citazione esatta in questa sede. Quello che ci interessa è la tradizione ricorrente, secondo la quale i profeti sono associati alle rivoluzioni dinastiche di Israele.

Elia ed Eliseo sono quelli di cui si parla di più rispetto agli altri profeti preletterari. Il racconto non è esente da aggiunte o modifiche di sapore leggendario. D’altro lato però i profili di Elia e Eliseo non sono disegnati sull’immagine di nessuno dei profeti scrittori e neppure di nessun altro personaggio dell’A.T. Nessuno dei due è descritto come facondo oratore; i detti che proclamano sono brevi; se fossero stati raccolti sotto il titolo di profezie di Elia e Eliseo, così come lo furono le profezie dei profeti minori, non supererebbero in lunghezza il libro di Abdia. I detti di Elia, fatta eccezione per la storia di Naboth (1Re 21) sono tutti ammonimenti contro il culto del Baal. Elia e i 7000 che non avevano piegato il ginocchio a Baal (1Re 19,18) rappresentavano gli Jahwisti conservatori di Israele, i quali non credevano che lo stato potesse associare al culto di Jahweh il culto di un altro Dio. Secondo qualche autore la rivoluzione profetica era diretta non soltanto contro il culto del Baal, ma anche contro l’aristocrazia cananea che deteneva il potere e contro un sistema giuridico-sociale che era in diretta opposizione al sistema giuridico sociale tradizionale della legge dell’alleanza.

La definizione tradizionale di Elia ed Eliseo come “profeti d’azione”, in opposizione ai classici “profeti della parola”, pare appropriata se si ricorda che il tipo di azione cui si allude comprendeva l’intrigo e la rivoluzione. In realtà, sia Elia sia Eliseo sono presentati come autori di miracoli in una serie di racconti che, specialmente per Eliseo, eccedono i limiti della credibilità. I miracoli attribuiti ad Elia sono tutti in relazione con la siccità durata tre anni, che fu il grande segno della carriera profetica di Elia; egli ne annunciò l’inizio e la fine durante la prova del Monte Carmelo, e la storia della vedova di Sarepta (1Re 17,8-24) si colloca nello stesso periodo. Paragonati a quelli di Eliseo, i miracoli di Elia appaiono alquanto modesti; la maggior parte degli episodi di Eliseo si riferiscono a miracoli senza rapporti fra loro, compiuti dal profeta a favore di persone pure senza rapporti fra loro. Il personaggio classico del profeta non includeva tra i suoi tratti caratteristici la taumaturgia, e sotto questo aspetto, le storie di Elia ed Eliseo sono originali. Però, che la parola del profeta sia una parola dotata di potenza è detto chiaramente in passi come Ger. 1,10; il potere del profeta di costruire e distruggere sta nel suo potere di predire la nascita e la caduta delle nazioni. Tutto questo è presentato in modo più primitivo nella domanda rivolta dagli anziani di Betlemme a Samuele (1Sam. 16,4), Essi gli chiedono, tremando, se la sua venuta è pacifica; la potente parola del profeta poteva causare gravi danni. Però questa credenza, sicuramente antica, nella potenza della parola profetica non ha prodotto leggende taumaturgiche per molti dei profeti menzionati dall’A.T. e in particolare per i profeti del canone letterario. D’altra parte, un esiguo numero di rivoluzionari, capaci di rovesciare una potente monarchia e, secondo l’interpretazione di qualche autore, l’aristocrazia che la sosteneva, risultò capace di evocare tutta una serie di leggende sui suoi poteri taumaturgici. Queste storie non pongono la taumaturgia tra le qualità caratteristiche del profeta.

È possibile che ai profeti di Baal che Elia incontrò sul Monte Carmelo (1Re 18), menzionati anche in occasione dello sterminio dei cultori di Baal operato da Jehu (2Re 10,19), sia attribuito un titolo che essi non avevano nella religine cananea; non esiste un corrispondente ugaritico all’ebraico nabì’. Il loro comportamento indica che facevano parte di un gruppo cultuale estatico, molto simile a quello israelitico dei “figli dei profeti”; e un culto estatico di questo tipo non è esclusivo né di Israele né di Canaan. È normale che tali gruppi cultuali nella religione israelitica e cananea avessero dei tratti comuni ed esercitassero delle influenze reciproche. Se il titolo era usato nel culto cananeo di questo periodo, era probabilmente preso a prestito da Israele.

Tra le storie di Elia ed Eliseo ci sono alcuni episodi riguardanti profeti che non hanno avuto, sembra, rapporti con Elia ed Eliseo. I profeti di corte sono presenti alla corte di Akahab (1Re 22) e predicano la sua vittoria sugli Aramei, sbagliando. I profeti che gli avevano predetto una precedente vittoria (1Re 20), erano stati più precisi. Questi uomini rappresentano il co0nservatorismo caratteristico dei gruppi profetici più antichi; il nemico di Israele è il nemico di Jahweh ed è votato alla sconfitta. Essi non presentano né il conservatorismo di Elia ed Eliseo, pronti a mettere a repentaglio il potere militare di Israele pur di respingere il culto cananeo con le annesse implicazioni sociali, né la successiva interpretazione profetica dei nemici stranieri come esecutori del giudizio di Jahweh su Israele. È interessante notare che anche Eliseo appare come profeta di vittoria in molti episodi. Questo lo si capisce meglio se si colloca l’episodio durante il regno di Joash, della dinastia di Jehu (2Re 13,14-19); ma di episodi simili si parla anche durante il regno di un re di cui non è detto il nome e che nel racconto precede Jehu (2Re 6-7). Ma quando Eliseo incita Khazael ad assassinare Ben-Hadad di Damasco (2Re 8,7-15), il racconto implica che le atroci guerre di Khazael contro Israele indebolirono la dinastia di Omri. Non è necessario supporre che il profeta stesso fosse, nelle sue azioni e nei suoi pensieri, più coerente di quanto non lo siano le storie su di lui. Ogni volta che si fa appello alla politica per appoggiare una causa religiosa, è difficile conservare la coerenza sia nella politica che nella religione. Non deve sorprendere che Eliseo possa aver parlato, in un certo contesto, come i patriottici profeti di corte, e, in altro contesto, come parlò a Joram durante la sua campagna contro Moab (2Re 3,13-14); però anche in questo episodio l’oracolo era favorevole.

Sembra che Michea Ben Jimla (1Re 22,13-27) debba essere classificato tra i profeti di professione; egli però non fece alcuna profezia favorevole ad Akhab, ma gli predisse solo del male (1Re 22,8) e pertanto è difficile che fosse un profeta di corte. Sembra collocarsi sulla stessa linea di Elia, ma non ci sono relazioni tra i due. Però Michea non è presentato come il jahwista intransigente che fu Elia. Il racconto non rivela il motivo dell’ostilità reciproca tra Akhab e Michea. L’interpretazione che Michea dà dei profeti di corte è che essi sono indotti in errore da Jahweh stesso. Sia Michea che i profeti di corte erano profeti di Jahweh; l’opposizione tra di loro non era l’opposizione tra Jahweh e Baal. Le parole di Michea non rivelano nessuna traccia dell’intolleranza di Elia nei confronti della compromissione di Akhab col Baalismo.

Letto 4134 volte Ultima modifica il Lunedì, 25 Marzo 2013 09:10
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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